Dal congresso dei popoli d’oriente (1920) alla conferenza di Bandung (1955) sino alla organizzazione mondiale del “rest” contro il “west” (2009……), nell’ultimo vertice africano ai quattro membri originari: Brasile, Russia, India, Cina, si sono aggiunti in successione Egitto, Emirati, Iran, Etiopia (BRICS+). Vediamo le conseguenze

Se nel novembre del 1917 i Bolscevichi si erano impadroniti del potere in Russia, si ritrovavano comunque alle prese con un regime fragilizzato da tre anni di guerra civile e dal fallimento delle rivoluzioni comuniste in Germania e Ungheria. Vedendosi, nella visione marxista del tempo, l’URSS come ferro di lancia della lotta di classe impegnata in una guerra permanente e sistemica contro l’Occidente, i suoi dirigenti prendono la decisione di estendere la rivoluzione in Oriente. Il presidente dell’Internazionale Comunista, Grigori Zinoviev, appella “la seconda metà del congresso dell’Internazionale” a riunirsi a Baku, in Azerbaigian, dopo che i membri europei si erano già riuniti a Mosca fra luglio ed agosto 1920.

Baku era diventata parte della RSS Azera il 27 aprile 1920. In quel momento i bolscevichi erano impegnati in una disputa con i britannici per la restituzione dei territori della Persia settentrionale, in virtù dell’Accordo anglo-russo del 1907. Ma i britannici, che avevano occupato tutto il territorio nel 1917 non intendevano considerare più valido tale accordo, in quanto non riconoscevano nella Russia bolscevica lo stato successore dell’Impero russo che l’aveva firmato.

Il congresso, che si svolse dal 1° all’8 settembre, definito “primo congresso dei popoli d’Oriente” si proponeva, nell’ambito del Comintern, la diffusione del comunismo in Asia. In particolare,  si proponeva l’abbattimento dell’Emirato di Bukhara, che poi avvenne l’8 ottobre 1920 con la creazione della RSS di Bukhara, e il soffocamento avvenuto solo nel 1931 della rivolta dei Basmachi, che perdurava sui monti del Pamir, contro le riforme rurali dei Soviets in Tagikistan, Kirghizistan, Turkmenistan ed Uzbekistan.

Il congresso fu seguito dal giornalista comunista americano John Reed.

Parteciparono ai lavori 2850 delegati non solo comunisti 235 Turchi, 192 Persiani e Parsi, 157 Armeni, 100 Georgiani , 8 Cinesi, 8 Kurdi, 3 Arabi, diversi caucasiani,  15 Indiani, dei Coreani. Fra i rappresentanti tartari era presente al congresso anche un avvocato di Kazan, Mirsaid Sultan Galiev, che immaginava la creazione in Asia centrale di un partito comunista musulmano con lo slogan: ”L’Oriente non è Occidente, e i Musulmani non sono Russi”.  

Sessantacinque anni dopo, la Seconda Guerra Mondiale aveva indicato un solo vincitore morale, economico, militare, politico, gli Stati Uniti d’America, anche se l’URSS con la “guerra patriottica” aveva dato un contributo indispensabile alla vittoria alleata contro il nazi-fascismo grazie al sacrificio di 26 milioni di Russi. La “cortina di ferro” (Iron Curtain)  individuata poco dopo da Winston Churchill dividerà presto fra loro le potenze vincitrici in due blocchi contrapposti, sino alla frantumazione dell’URSS. Ma tutta una serie di paesi non intendeva integrare nessuno dei due blocchi contrapposti. Se ne era già fatta interprete l’India, indipendente dal 1947, impedendo la spartizione franco-britannica della Libia ex-italiana.

Fra il 18 e il 24 aprile 1955, 29 paesi africani ed asiatici si riuniscono in Conferenza a Bandung, in Indonesia, creando il Movimento dei Paesi Non Allineati. Sono presenti 200 personalità in rappresentanza di 54 paesi. 23 sono asiatici (Afghanistan, Arabia saudita, Birmania, Cambogia, Ceylan, Repubblica popolare di Cina, Filippine, India, Indonesia, Iraq, Iran, Giappone, Giordania, Laos, Libano, Nepal, Pakistan, , Siria, Tailandia, Turchia, Vietnam del nord, Viet nam del sud, Yemen). Sei africani (Costa d’Oro, Egitto, Etiopia, Liberia, Libia, Sudan). Progressivamente il Movimento conterà 120 Stati più altri 17 Stati osservatori sui 193 Stati membri dell’ONU. Il suo attuale segretario generale è Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda.

Molto più vicino a noi, un’altra conferenza diplomatica riunirà a Iekaterinbourg il 16 giugno 2009 quattro delle dieci potenze economiche mondiali, Brasile, Russia, India, Cina. Nel 2011 vi aderisce l’Africa del Sud (nascono i BRICS). I cinque paesi totalizzano 3,2 miliardi di abitanti cioè ca. il 40% della popolazione mondiale (ormai prossima agli8 miliardi di abitanti) e il loro PIL complessivo (2021) eccede quello degli Stati Uniti ( 24.313.202 mil. USD contro 22.997.500  mil.). Dal 2024 si aggiungono ai BRICS Etiopia, Iran, Egitto, Emirati Arabi Uniti (la denominazione diventa BRICS+ o BRICS PLUS), mentre due paesi candidati, l’Argentina (dopo l’elezione del presidente Milei) e l’Arabia saudita, non hanno ancora concluso il processo di adesione. Ma altri 23 paesi risultano ufficialmente candidati, meno gli ultimi quattro citati  passati all’adesione dal 2024. Tra questi Vietnam, Venezuela, Nigeria, Senegal, Kazakhistan, Tailandia, Kuwait, Indonesia, Palestina.

Il gruppo dei paesi BRICS+, in grado fra poco tempo di eguagliare anche il PIL dei paesi del G-7 (USA, Germania, Francia, Giappone, Regno Unito, Italia, Canada) potrebbe progressivamente mettere in discussione anche l’ordine economico e politico mondiale, oggi di fatto incentrato su istituzioni che riflettono ancora la situazione originata dalla Seconda Guerra Mondiale. Esigendo sul piano politico  in particolare una riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ancora anacronisticamente incentrato sulle cinque potenze vincitrici e spesso bloccato nelle sue decisioni dalla contrapposizione fra membri permanenti cui spetta il diritto di veto, come recentemente nel caso della risoluzione sul “cessate il fuoco” a Gaza, più volte bloccata dai soli Stati Uniti. Ma anche, nell’ambito finanziario, potrebbero chiedere una revisione del processo decisionale oggi fondato ancora sul diritto di veto sui programmi FMI/Banca Mondiale dell’azionista principale (Washington consensus) e sul loro marginale diritto di voto (15% al FMI, 10% alla Banca Mondiale), quando come citato attualmente  i BRICS rappresentano ormai quasi la metà della popolazione mondiale. Ma potrebbero anche immaginare un’uscita collettiva dal sistema dollaro, dal dollar system vigente dal 1971, al posto del gold exchange standard immaginato da J. M. Keynes nel 1944 quale base del sistema monetario internazionale,  dopo che gli Stati Uniti hanno cessato di trattare questa moneta  come un “bene comune mondiale”, asservendolo alla loro politica nazionale attraverso il sistema della sorveglianza delle transizioni finanziarie stilate in dollari e il sistema di extraterritorialità delle loro sanzioni. In questo senso i BRICS stanno attivamente lavorando alla rielaborazione dei diritti speciali di prelievo (Special Drawing Rights) previsti dal FMI per farne una moneta di conto utilizzabile nelle loro transazioni finanziarie in vece del dollaro USA.

Un movimento di sostituzione del dollaro USA che non potrà essere certamente un fenomeno repentino, ma che si sta avviando a rappresentare un elemento fondamentale del futuro panorama monetario internazionale. Movimento a cui potrebbe accompagnarsi anche una progressiva riduzione della presenza dell’EURO come moneta di pagamento internazionale, soprattutto se dovesse prevalere a Bruxelles l’idea deprecabile – e comunque difficilmente realizzabile – della confisca dei 300 miliardi di fondi russi (o dei relativi interessi) congelati a causa delle sanzioni contro la Federazione nelle banche europee, da destinare alla guerra in Ucraina. Perfetto harahiri anche dell’EURO, dopo quella della economia europea, economia di pura trasformazione ormai privata di energia a basso costo, agli occhi di investitori internazionali del resto sempre meno propensi ad investire in Europa, dato la modesta crescita comparativa della zona, rispetto alle altre zone economiche mondiali.

I BRICS hanno comunque già deciso, nel luglio 2014, durante il vertice di Fortaleza la creazione di una banca di sviluppo alternativa al binomio FMI-Banca Mondiale, immaginata con un capitale di avviamento di 100 miliardi. Saranno rivolti a dei prestiti per infrastrutture a favore dei paesi oggi obbligati a subire con i prestiti FMI-Banca Mondiale le condizioni di prestito di scuola ultra-liberista ed i tassi di interesse elevati in dollari che hanno provocato in molti paesi bisognosi dei finanziamenti un peggioramento delle condizioni interne di destabilizzazione sociale e di diseguaglianza distributiva, contribuendo alla salita del coefficiente di Gini in molti dei paesi più fragili del mondo.

Il primo congresso dei popoli d’Oriente voleva nel 1920 l’estensione del comunismo in Asia.  La Conferenza di Bandung voleva creare una terza via di paesi non allineati, fra i due blocchi Est-Ovest. La conferenza dei BRICS+ vuole innovare, quasi ottant’anni dopo, un ordine politico ed economico mondiale rimasto incentrato dal 1945 intorno alla superpotenza americana e ai suoi alleati (Gran Bretagna, UE, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Giappone, Corea del Sud, Taiwan) mentre il resto del mondo, lavorando duro nei mestieri produttivi più ingrati, esternalizzati per commissione da un “West” specializzato essenzialmente nella finanza, nell’alta tecnologia e nei servizi, non cessava di sudare e di crescere. Oggi, in un certo senso, i paesi del “Rest” presentano il conto.

Carlo degli Abbati

Professore associato di Politica Economica e Finanziaria insegna Diritto della Unione Europea al Dipartimento di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova

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