La regione sahelica, oggi tormentata dal jihadismo e da una successione di colpi di stato, è stata nel Medio Evo, molto prima della colonizzazione europea, sede di alcuni regni ricchi e potenti

Si distinguono da Ovest ad  Est il Tekrur,  l’Audaghost, il Ghana, Gao e Tadmekka. Nell’VIII secolo, la fondazione della città-stato di Sidilimassa, ai margini del deserto marocchino, costituisce l’inizio del grande commercio transahariano. Nella seconda metà dello stesso secolo, molto prima che il geografo alla Corte di Ruggero il Normanno, Ibn al-Idrisi, celebrasse ammirato nel XII secolo i ”grattacieli” della Genova medievale, l’astronomo arabo al-Fazari descriveva il regno del Ghana come “il paese dell’oro”. Dal X secolo una chiara documentazione prova che nel Sahel Occidentale esistono dei solidi regni che controllano il commercio dell’oro che viene acquistato nelle città carovaniere di transito o nelle capitali reali.

Le rotte dell’oro nel XI Secolo  Se per il periodo medievale manca una documentazione scritta, dato che la grande avventura dei manuscritti arabi dell’Ovest africano comincia solo dal XVI secolo, abbiamo comunque delle acquisizioni indirette. Sappiamo così che se l’economia dell’Europa nel XV secolo manca drammaticamente di metalli preziosi e soprattutto d’oro, l’unica risorsa disponibile in questa crisi dei metalli è l’oro africano. L’oro che arriva sino agli approdi del Nord-Africa e che le galee genovesi e pisane trasportano verso l’Europa viene dal Sudan, in cambio di tessuti di lana, cotone d’Oriente, fustagno di Lombardia, carta e sete ormai prodotte anche fuori dalla Cina, nell’Impero di Bisanzio. L’oro del Sudan è “l’auro tiberi”, della c.d “insula tiber”, espressione di derivazione araba che significa “l’isola dalla polvere d’oro”. Si tratta dell’isola senegalese di Bambouk posta nella regione di confine senegalese-gambiana fra due affluenti del fiume Senegal, il Falême e il Bafing, situata allora In Senegambia ai confini con il Sudan. E’ questo l’oro africano del Sudan, che arriva in Europa attraverso due vie diverse. la prima, traversa il Sahara ed arriva nei porti mediterranei dell’Ifriqiiya (Tunisia/Algeria), Algeri, Orano e Honein in particolare. Le carovane collegano i porti verso il Touat, il Sahara sino a Timbuktu. Sulla costa della Berberia l’oro è l’oro “tiberi”, i genovesi lo usano come unità monetaria. Ci sono anche i barcellonesi che trasportano l’oro su navi catalane, ma anche cera e datteri, per Barcellona o Majorca.

Bambouk, la regione medievale dell’oro

L’altra via è quella occidentale, con l’oro che arriva alla costa occidentale del Marocco e da qui raggiunge Cadice. In concorrenza con i genovesi, le galee fiorentine caricano a Cadice oro, cuoio lavorato, grano. I fiorentini, sulle orme dei genovesi, l’oro lo esportano anche verso il Mare del Nord, nelle Fiandre e in Inghilterra. Nel XIV secolo Giovanni di Carignano, autore del celebre planisfero studiato da La Roncière, parla di Sidilimassa, tappa sulla via del Touat e del Tafilalet come “la porta del Sahara verso la terra dei negri, il paese dell’origine dell’oro, una delle più grandi città del Maghreb e delle più illustri nell’universo”, la città da cui “i mercanti portano mercanzie senza valore e tornano con cammelli carichi di oro grezzo”. Commercio che susciterà la cupidigia di molti, una vera corsa all’oro africano, con viaggi dei genovesi Antonio Usodimare sulla costa del Gambia (1455), Antonio di Noli a Capo Verde (1460), di Antonio Malfante verso l’interno, che raggiunge Touat nel 1447. Nella regione sahelica l’Islam arriva nel X secolo, il viaggiatore arabo Ibn Hawqal visita Sidilimassa e Audaghost nel 952 e vi nota la prima moschea. Anche a Tadmekka i musulmani marcano la loro presenza con delle iscrizioni in lingua araba sulle pareti del massiccio sahariano dell’Adrar d’Ifogas. Ma Hawqal riporta anche della preminenza nella regione del regno del Ghana. Qualche anno dopo è il geografo andaluso al-Bakri che ci lascia una descrizione del Sahel occidentale fra il 950 e il 1068. Il regno del Ghana appare ai visitatori come il regno dell’oro. Del resto, nell’XI secolo la scoperta di un giacimento di salgemma nel Sahara  a Teghaza, a metà strada fra la capitale Koumbi e Sidilimassa, aveva aperto un nuovo asse transahariano a favore del Ghana. A metà dell’XI secolo, una dinastia berbera del Nord Africa Occidentale, che sono dei discendenti dei Sanhâgah del ceppo el-Brânes, oltre ad invadere l’Andalusia, scendono verso il Sahara e fondano a Marrakesh la loro capitale nel 1062. Conquistano Audaghost nel 1054, ma non sono loro a convertire all’Islam i regni sahelici. Già dall’XI secolo le dinastie di Tekrur, del Ghana e di Gao sono islamizzate, anche se l’Islam coesiste con le religioni politeiste locali, come conferma proprio Ibn al-Idrisi nel 1154.

La prima grande modifica del paesaggio politico dell’Africa dell’Est ha inizio invece nella prima metà del XIII secolo. Nella savana sahelica il piccolo regno di Malal (Mali) inizia un’espansione e conquista Gao nel 1300. Il sultanato del Mali si estende rapidamente sino ad Aulil  ad est  di Kumbi e provoca il declino del Regno del Ghana. Sull’importanza del Sultanato del Mali si hanno delle evidenze documentali: il viaggio del Sultano Mansa Mussa di tre mesi al Cairo nel 1324 sulla via della Mecca e le cronache di Ibn Battuta, storico marocchino delle Crociate, che viaggia nel 1352-53 da Sidlimassa-Teghaza e Oualata sino alla capitale del Mali, descrivendola come un centro amministrativo importante.

Vittima della sua eccessiva espansione territoriale, il sultanato del Mali decade circa un secolo dopo. Timbuktu è invasa da tribù arabo-berbere Tuareg nel 1433, mentre la dinastia songhai dei Sonni stabilitasi a Gao inizia una serie di conquiste avviate dal Re Sonni Ali Ber fra il 1464 e il 1492. Una nuova egemonia sul Sahel occidentale è esercitata dal regno di Songhai con Ali Ber e con il successore Askia Mohammed che fonda una dinastia che prende le forma di un sultanato islamico. Il Songhai ha una storia documentata da cronache che risalgono al XVII secolo, il Tarikh al-Sudan d’Al-Saadi e il Tarikh di Ibn al Mukhtar. Ma il sultanato giunge ormai all’era della globalizzazione post-medievale, segnata dalle scoperte atlantiche del XV e XVI secolo e dall’arrivo in Africa del Nord dell’Impero Ottomano nel 1517, che si limita peraltro a ripetere le conquiste del limes romano senza addentrarsi profondamente nel continente. Evoluzione forse già percepita da Askia Mohammed che, nel XV secolo, aveva conquistato l’oasi di Teghaza, in pieno Sahara, per controllare la via principale del commercio transahariano attraverso Touat dopo la decadenza di Sidilimassa. Saranno i Saadiani del Marocco a mettere fine nel 1591 al sultanato del Songhai. Pochi anni dopo la scoperta dell’America, nel 1503 il primo carico di schiavi africani a bordo di un galeone spagnolo toccherà Hispaniola. La tratta degli schiavi cominciata dai portoghesi, dopo le spedizioni africane di Diego Cão, Bartolomeo Dias, Pedro Alvares Cabral (1482-1501), resterà comunque un monopolio iberico per tutto il XVI secolo.

Dal XVII secolo questo monopolio sarà contestato da altri paesi del Nord Europa, in primis olandesi e britannici, poi anche francesi, dopo che Luigi XIII nel XVII secolo ha autorizzato la tratta. Nel 1829 si arriverà numericamente al massimo di 110.000 schiavi africani destinati dalle potenze europee alle colonie americane, che verrà abolita completamente dalle stesse solo nel 1927 con la abolizione britannica per l’Higiaz e il Negd. Intanto, per tre secoli, il continente africano dovrà subire un duplice pregiudizio, dovuto alla privazione di una popolazione giovane deportata verso le colone americane e all’arrivo di merci legate alla tratta che avrà contribuito alla distruzione delle produzioni locali, ulteriormente affossate dalla economia di piantagione creata in funzione dei consumi di madrepatrie lontane, nelle colonie europee d’Africa.

Carlo degli Abbati

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

  • Francesco GABRIELI, Storici arabi delle crociate, Einaudi, Torino, 2000
  • Jacques HEERS, Genova nel Quattrocento, Jaca Books, 1984
  • H.COLLET-F.-X. FAUVELLE – J. SIRUN (ed.), Atlas historique de l’Afrique. De la préhistoire à nos jours, Autrement, 2019

*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.

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