In Sicilia il grido di una generazione che vuole salvare la propria terra dal dramma dell’emigrazione si trasforma in un movimento di giovani, universitari e inoccupati che prova a costruire le condizioni per restare. La storia di Verdiana Mineo, atleta, istruttrice e musicista

«Io sono una di quelle che doveva andare via da questa terra. Quasi tutti i miei coetanei l’hanno già fatto». Un destino all’apparenza segnato quello di Verdiana Mineo, trentaduenne palermitana. Già durante gli anni del liceo – «a maggior ragione a noi del linguistico o quelli a indirizzo turistico» – erano, infatti, gli stessi docenti a consigliare insistentemente agli studenti di scegliere un paese europeo in cui andare a vivere dopo gli studi. Un copione già scritto fatto di emigrazione senza ritorno a cui, però, Verdiana e tanti altri giovani hanno deciso di dire un deciso no. «Ero quasi certa di dovermi trasferire in Germania e mi stavo anche preparando a farlo iscrivendomi all’università a Palermo alla facoltà di lingue. Poi, però, ho mollato e ho deciso di restare qui, in Sicilia per dedicarmi parallelamente a due progetti: lo sport e la musica».

In barba alla saggezza popolare, Verdiana al detto Cu nesci arrinesci (chi se ne va riesce e fa strada, ndr) ne ha opposto uno che inverte la tendenza: Si resti, arrinesci. Quello che è a tutti gli effetti il grido di una generazione che vuole salvare la propria terra dal dramma dell’emigrazione e lottare per creare le condizioni per poter restare, diventa il nome di un movimento che nasce nel 2019  ad opera di un gruppo di studenti e studentesse dell’università di Palermo affiancati da giovani precari e disoccupati del capoluogo panormita e delle zone limitrofe. A macchia d’olio poi, iniziativa dopo iniziativa, facendo sin da subito rete con le altre realtà del territorio arriva in ogni capoluogo della regione e poi si connette ai movimenti di altre regioni che vivono situazioni simili come la Sardegna.

Padre Antonio Garau

Come prima di loro fece il Movimento delle valigie di cartone guidato da padre Antonio Garau (nella foto), parroco di San Paolo a Borgo Nuovo (Palermo), perseguono l’obiettivo di fermare l’emigrazione, soprattutto quella giovanile, lanciando alle istituzioni regionali e nazionali proposte per un cambiamento culturale, economico e sociale. Chiedono politiche che rispondano agli interessi reali dei siciliani e che possano creare le condizioni per permettere loro di vivere, studiare, curarsi e lavorare nella loro regione: fondi per la ricerca, servizi, infrastrutture, lavoro, investimenti per scuola e università. «Si resti arrinesci – spiega Mineo –  rappresenta una dichiarazione di intenti e allo stesso tempo un augurio che rivolgiamo a noi stessi cioè quello che si possa riuscire rimanendo nella nostra terra. Abbiamo deciso di fare di queste parole uno stile di vita e di provare individualmente a costruire le condizioni per restare o comunque per cui rimanere o partire non rappresenti più una costrizione ma una scelta. Sempre di più, infatti, l’emigrazione dalla Sicilia è una scelta che viene da una costrizione dovuta a un contesto di vita che non permette materialmente di crescere in questa terra». Libertà di scelta che torna come tema portante anche nel rapporto Migrantes di quest’anno.

Poco più di mezzo milione di residenti hanno abbandonato negli ultimi 10 anni le regioni del meridione d’Italia. Gran parte di loro sono meno che trentenni. Circa 150 mila giovani laureati hanno fatto le valigie e si sono spostati nel centro o nel nord del Paese o direttamente all’estero. La Sicilia non fa eccezione, anzi. Il capoluogo più popoloso dell’isola, infatti, non è Palermo con i suoi circa 630 mila residenti ma si trova fuori dalla Trinacria e vanta una crescita demografica costante. Secondo l’ultimo rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes sono oltre 815 mila i siciliani che abitano all’estero e sono iscritti all’AIRE e fanno della Sicilia la regione d’origine della comunità più numerosa tra quelle residenti all’estero. Ad andare via soprattutto i giovani. «Negli ultimi 10 anni – denunciano gli attivisti e le attiviste del movimento – abbiamo assistito ad un forte svuotamento degli atenei siciliani. Vediamo percepiamo e subiamo sulla nostra pelle il fenomeno dell’emigrazione giovanile forzata dalla Sicilia per raggiungere atenei universitari e posti di lavoro al centro-nord o all’estero. Dal 2012 a ora 25.000 matricole hanno lasciato gli atenei siciliani, in media uno studente su quattro emigra per l’università o per la magistrale, con la media annua di 2500 student3 emigrati. I quattro atenei siciliani (Catania, Palermo, Messina, Enna) nel 2012 contavano 138.000 iscritti, oggi meno di 112.000. Nell’anno accademico 2021/2022 su 26.700 immatricolati siciliani in Italia 5800 hanno deciso di lasciare l’isola per andare in altre regioni, circa il 23%. Vogliamo riprenderci la possibilità di scegliere di restare e per farlo bisogna potersi formare nei propri territori e per le specificità di essi. Per creare, diffondere e allargare saperi e conoscenze relative ai nostri territori e alle necessità di essi, per poter ribaltare la condizione di zona di sacrificio ormai assunta dalla Sicilia».

Al riguardo ha le idee più che chiare l’attivista panormita: «Partire non vuol dire riuscire e restare non vuol dire perdere. Appare sempre più evidente che esiste un disegno che mira a tenere la Sicilia priva di infrastrutture essenziali e di interventi strutturali di manutenzione e cura dei territori. Lo vediamo ogni  estate quando la nostra terra continua a prendere fuoco ed ettari di vegetazione vengono bruciati o quando le scuole crollano in testa agli studenti o i centri per l’impiego, dopo il ritiro del reddito di cittadinanza, non riescono a sopperire alla richiesta di lavoro che è crescente. Esiste un disegno politico che vuole la Sicilia nell’arretratezza di modo che si formi un bacino di forza lavoro a basso costo fatto dai tanti giovani costretti ad emigrare». 

Cosa fare allora? «È necessario – spiega – invertire questa tendenza e creare delle alternative. Finora, i governi, di ogni colore politico, non l’hanno fatto. Abbiamo incalzato più volte l’ex governatore Musumeci, autore di alcune uscite poco felici in cui definiva i giovani siciliani come gente che non vuole lavorare e si vuole adagiare. Abbiamo avuto con lui anche un botta e risposta quando definì “siciliani onesti” solo quelli che se ne stanno a casa e non vanno a manifestare. Il movimento all’unisono rispose che alzare la voce rispetto alle ingiustizie è uno dei modi per cambiare le cose. Ma, a parte questo, niente di concreto. L’episodio più recente che ci ha visto protagonisti è quello in cui abbiamo risposto alle ennesime invettive contro i giovani siciliani (definiti fannulloni e senza dignità) dello stilista Domenico Dolce».

Restando nella sua Palermo, Verdiana Mineo, tutt’altro che fannullona, è diventata in qualche anno un’atleta agonista di sollevamento pesi – in particolare nel powerlifting – e ha conquistato varie medaglie d’oro a livello nazionale e una medaglia d’argento ai mondiali di specialità nel 2021. «Ho sempre portato con me – racconta – nelle varie competizioni, nazionali e non, oltre al tricolore anche la bandiera della Sicilia per sottolineare la mia appartenenza ad un territorio che mi vede anche come unica atleta siciliana che abbia mai partecipato ai mondiali. È uno sport che vede in campo pochissimi atleti e atlete del sud Italia proprio a causa della carenza di impianti e di programmazione nella diffusione della pratica sportiva. Per me, lo sport è stato anche un modo di portare in alto nel mondo la mia appartenenza a questa terra e allo stesso tempo anche per affermare che restando qui ho potuto sviluppare la mia professione e la mia prospettiva di vita come atleta e come istruttrice nella Palestra Popolare di Palermo. Un modo per dire “si può costruire un’alternativa e trovare il modo per vivere nel territorio senza per forza andare via”».

Verdiana Mineo – atleta & coach ( (6) Facebook)

Oltre allo sport c’è la musica. «Mi sto dedicando a Mavaria, quartetto folk che canta in siciliano. Ho deciso di cantare nella nostra lingua che è sempre più spesso dimenticata e ormai non si parla quasi più nemmeno all’interno delle famiglie. Tramite il lavoro musicale voglio portare in giro per la Sicilia, per riscoprirlo e valorizzarlo, il nostro patrimonio musicale che racconta storie molto belle come quelle dei braccianti, dei minatori, delle donne e delle asperità che caratterizzano la nostra isola. Vicende da conoscere e apprezzare».  E tra queste donne e tra queste voci non può mancare Rosa Balistreri con il suo grido disperato a quella terra ca nun senti e che ca nun teni cu voli partiri e nenti cci duni pi falli turnari (terra che non sente e che non tiene chi vuole partire e non fa nulla per farli tornare, ndr).

A lei è dedicato uno degli appuntamenti annuali principali del movimento. «Ogni anno, dal 2019, a Palermo organizziamo il “Canta e cunta festival”. La prima edizione si è tenuta nella Chiesa di Santa Maria dello Spasimo a Palermo grazie alla capacità dell’associazione di fare rete con altri soggetti sociali del mondo dell’associazionismo, della discografia, del teatro e dell’opera dei pupi. Negli anni abbiamo cambiato più volte location in modo da attraversare diversi luoghi della città. Abbiamo voluto dedicare questo festival a Rosa Balistreri perché proprio a partire dalla sua storia, che l’ha vista andar via per affermarsi, tante giovani e tanti giovani possano trovare il coraggio di restare trasformando la rabbia che suscita la condizione di difficoltà in cui vivono in volontà di restare», spiega. 

Un altro appuntamento è quello annuale a Campobello di Licata (Agrigento) per “Questa  è la mia terra e io la difendo – festival per il diritto a restare”. Un festival organizzato da un gruppo di giovani ispirati dal nome del blog di Giuseppe Gatì, un ragazzo (classe 1986) che voleva rimanere nella sua Sicilia e che nella sua terra è morto nel 2009 per un incidente sul lavoro. Restare per lottare e lottare per restare. Le storie, i numeri e le rivendicazioni sono diventate un libro (“Si resti arrinesci. Per fermare l’emigrazione dalla Sicilia”, a cura di Antudo.info e edito da Derive Approdi , con introduzione di Elio Di Piazza) il cui secondo volume è già in lavorazione. 

Per non lasciare una terra senza il suo popolo e un popolo senza la sua terra e per strappare simbolicamente quei biglietti aerei che li porterebbero lontano, i giovani siciliani lanciano la loro scommessa perché solo restando le cose si possono cambiare. Saranno pronte le istituzioni a raccoglierla?

Valentina Ersilia Matrascìa

Leggi anche: Rapporto Italiani nel Mondo: l’Italia che cresce fuori dai confini nazionali – PassaParola Magazine

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