Diminuiscono gli espatri e aumentano i rimpatri. Presentato a Roma il 18° Rapporto italiani nel Mondo (RIM) della Fondazione Migrantes, organo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)
Se il Belpaese fa i conti con il calo demografico e con la perdita di residenti (in un anno -132,405 persone, -0,2%), c’è un’Italia che cresce fuori dai confini nazionali. È il popolo degli italiani e delle italiane nel mondo – raccontato anche quest’anno dal Rapporto Italiani nel Mondo a cura di Fondazione Migrantes, giunto alla sua diciottesima edizione e presentato ieri (8 novembre, ndr) a Roma – che continua la sua inesorabile crescita anche se in maniera meno sostenuta rispetto agli anni precedenti. Al 1 gennaio 2023 gli italiani iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) sono quasi 6 milioni, il 10,1% dei 58,8 milioni di quelli residenti in Italia. Una presenza che dal 2006 è cresciuta del 91% e ha visto aumentare i minori (+78,3%) e gli over 65 (+109,8%) ma anche il numero delle nascite all’estero (+175%) e le acquisizioni di cittadinanza (+144%).
Sul fronte della migrazione nel nostro Paese si sta lentamente tornando ai livelli pre-pandemici anche a livello di migrazioni interne. Nel 2022, i movimenti migratori interni degli italiani hanno coinvolto 1 milione e 484 mila persone (+4% rispetto al 2021 e +10% rispetto al 2020). Da gennaio a dicembre 2022, gli italiani e le italiane sono partiti da tutte le 107 province di Italia verso 177 destinazioni diverse nel mondo: Argentina, Germania, Svizzera, Brasile e Francia tra i primi cinque Stati di destinazione. Il Lussemburgo si classifica al 19° posto nella graduatoria dei primi venticinque paesi d’emigrazione, con 32 766 iscritti AIRE di cui 1850 cittadini arrivati al 1 gennaio 2023.
Siamo di fronte – sottolineano i redattori del rapporto – ad una nuova fase della mobilità italiana. Se prima del Covid, infatti, le iscrizioni all’AIRE in un anno arrivavano anche a 260 mila e più del 50% erano per espatrio, gli espatri ora sono in calo (dal 49,3% del 2021 su oltre 222 mila iscrizioni al 42,8% del 2022 su oltre 195 mila iscrizioni). Nel 2022 su quasi 209 mila iscrizioni per tutte le motivazioni il 39,2% ha riguardato l’espatrio, motivo che per la prima volta è stato superato dalla nascita all’estero da cittadini italiani (43,4%, quasi 91 mila iscrizioni). Dopo la pandemia sono in aumento gli indecisi, coloro che rimangono in una sorta di limbo e pur essendosi trasferiti e lavorando all’estero continuano a mantenere la residenza in Italia, non ottemperando all’obbligo di iscrizione all’AIRE e al diritto-dovere di spostare la residenza nel Paese estero.
Giovane, meridionale e sempre più spesso donna.
Il 44% delle partenze per espatrio avvenute da gennaio a dicembre 2022, infatti, ha riguardato giovani italiani tra i 18 e i 34 anni. Nonostante, ancora per quest’anno, si sia rilevata per la motivazione espatrio un decremento delle partenze ufficiali, per questa classe di età si rileva una crescita di due punti percentuali rispetto agli anni precedenti. Dati che portano alla ribalta ancora una volta questione giovanile e di fuga dei cervelli, soprattutto nella fascia di età più giovane, che l’Italia non sembra in grado di affrontare. Una questione di cui tanto si parla ma per la quale ancora troppo poco si fa. «Lavorare all’estero, per i nostri giovani, è una grande opportunità di crescita umana e professionale e deve essere una scelta libera, non un obbligo di fatto», scrive nel suo messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Se, dopo un percorso formativo in Italia, si è costretti – ha aggiunto – a lasciare il territorio nazionale per mancanza di occupazione o di soddisfacenti prospettive e, soprattutto, una volta acquisite preziose conoscenze ed esperienze, non si riesce più a tornare, si è di fronte a una patologia, alla quale bisogna porre rimedio. Quando non si riesce a riportare nel nostro Paese professionalità, esperienze e risorse umane, è l’intera comunità che viene impoverita. Individuare percorsi concreti per garantire a chi lo desidera il ritorno in Italia, in condizioni di lavoro soddisfacenti, è una sfida fondamentale che le istituzioni e la politica devono saper raccogliere. Per il futuro del nostro Paese serve una visione nuova ed adeguata».
A partire sono soprattutto i giovani del meridione.
Il 46,5% degli italiani all’estero è di origine meridionale, di questi il 15,9% delle isole, mentre il 37,8% del Settentrione e il 15,8% del Centro. La Sicilia è la regione d’origine della comunità più numerosa, con oltre 815 persone. Seguono Lombardia (+ 611 mila), Campania (+ 548mila), Veneto (+526mila) e Lazio (quasi 502 mila). Cresce la presenza delle donne che ad oggi sono oltre 2,8 milioni rappresentando il 48,2% dei 6 milioni di italiani residenti all’estero. Un dato che dal 2006 è praticamente raddoppiato (+99,3%). A differenza delle precedenti ondate migratorie che vedevano le donne spinte al trasferimento dal desiderio di ricongiungersi al marito o compagno che l’aveva preceduta nell’espatrio, le italiane che scelgo di lasciare l’Italia sono donne dinamiche e motivate anche dalla prospettiva di una vita indipendente e di un maggior benessere economico e di una carriera professionale più gratificante. Le motivazioni alla base della mobilità femminile – si legge nel rapporto – risiedono non tanto nell’interesse economico quanto nel benessere dato dalla valorizzazione di genere, delle competenze e dei meriti nonché dalla vicinanza degli affetti. Tra le destinazioni preferite c’è l’Europa, sia per la vicinanza geografica, per poter far ritorno in tempi brevi e a costi contenuti, sia per la maggiore facilità nella circolazione e l’espletamento degli aspetti amministrativi sia per la comprensione linguistica poiché quasi tutte le donne con un’istruzione universitaria parlano almeno una o due lingue usate nei Paesi europei. I Paesi del continente europeo rappresentano la meta più ambita per gli expat italiani in genere. Il 75,3% di chi ha lasciato l’Italia per espatrio nel corso del 2022 ha scelto l’Europa che accoglie oltre 3,2 milioni di connazionali (circa il 54,7% del totale), solo il 17,1% ha optato per il continente americano – di questi il 10,5% per l’America Latina – e il restante 7,4% si è distribuito nel resto del mondo.
Una scelta quella dell’Europa che secondo il cardinal Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, ha un significato chiaro e «ci chiede di pensarci in maniera più europea e con una visione più larga». Lancia quindi la proposta di «un passaporto europeo, anche perché i ragazzi ce l’hanno già dentro».
Se c’è chi va, c’è anche chi torna.
Come emerge dal rapporto, diminuiscono gli espatri di italiani e aumentano i rimpatri. Durante il decennio 2012-2021, il numero dei rimpatri dall’estero dei cittadini italiani è più che raddoppiato passando dai 29 mila del 2012 ai circa 75 mila del 2021 (+154%). Una tendenza che, dopo una sostanziale stabilità nei primi quattro anni del decennio, appare in continuo aumento. Nell’ultimo decennio il numero complessivo di rientri in patria è stato di 443 mila. Due italiani su cinque rientrano da un Paese UE, dalla Germania ad esempio è partito il 12% totale dei rimpatri, il 10% dal Regno Unito, l’8% dalla Svizzera e il 5% dalla Francia. Dopo il blocco della mobilità internazionale legato alle prime fasi della pandemia, il 2021 ha rappresentato un anno di forte ri-accelerazione dei flussi di rientro in Italia. L’età media di chi rientra è di 35 anni. Tra i fattori di attrazione per il rientro, le agevolazioni fiscali per il capitale umano in Italia che portano il numero dei rientri a raddoppiare, passando da una media di 2000/3000 all’anno ad oltre 6500. Agevolazioni fiscali che secondo la sociologa delle migrazioni e curatrice del Rapporto, Delfina Licata, vanno «ripensate nelle forme, costruite dal basso con beneficio territoriale e sostegno alle famiglie». «Lo smart working – aggiunge – deve essere applicato non come lavoro da casa ma come possibilità di lavorare dal luogo in cui ci si trova: è un importante salto culturale che dobbiamo fare. Essere in mobilità non è mai assenza ma possibilità di partecipare e dare il proprio contributo al proprio territorio». Si fa strada una nuova tendenza ossia “la restanza”, ossia la decisione di persone o famiglie di rimanere o tornare nelle loro comunità d’origine. Una scelta personale motivata dal forte legame con il territorio che si muove anche su un piano comunitario in quanto può tradursi in iniziative imprenditoriali e progetti culturali.
Un dato, quello dei rimpatri, a cui il Commissario europeo Paolo Gentiloni guarda con ottimismo. «È un segnale che forse qualcosa sta cambiando. È il calo degli espatri negli ultimi due anni, nettamente inferiori rispetto a quanto si osservava fino al 2019 e l’aumento dei rimpatri dall’estero dei nostri connazionali. Meno italiani che lasciano l’Italia, più italiani che decidono di rientrare. E forse non è casuale che questo sia coinciso con un periodo in cui l’economia italiana ha conosciuto una forte ripresa in seguito alla pandemia. Grazie anche alle politiche portate avanti a livello europeo, su tutte l’avvio di Next Generation EU, il Pil è cresciuto del 12%, più di quanto non abbiano fatto le altre grandi economie europee”.
Quali saranno i trend del futuro?
Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istat, prova a fare qualche previsione sulla base dei dati raccolti dall’istituto. «Il 42% dei ragazzi italiani da grande vuole vivere all’estero. Una percentuale che sale al 59% tra gli alunni stranieri. Gli Stati Uniti sono la meta preferita. Siamo di fronte a generazioni cosmopolite, dato da non trascurare in un Paese che ha sempre più bisogno di giovani». «L’Italia – ha spiegato il sociologo Mauro Magatti, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – si trova in un momento molto delicato, perché da 20 anni non riesce più a crescere, sono aumentate le disuguaglianze e le disparità tra territori e pesa il debito pubblico. Si trova al punto in cui deve decidere del suo futuro, se vuole avere un futuro, o declinare gravemente. Deve decidere se vuole riconoscere un bene comune aprendo una nuova stagione di rilancio, non per ragioni morali ma perché non c’è più crescita economica se non si lavora per crearne le condizioni».
Torna, come per i migranti in arrivo in Italia e come evidenziato dal rapporto 2023 di Caritas e Fondazione Migrantes, il tema della diritto alla scelta. È il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel suo messaggio a ribadire che «il diritto a restare, il diritto a migrare, il diritto di ritornare sono tre facce dello stesso dilemma esistenziale provato dal migrante. È quanto viene sottolineato nella ricerca e nell’approfondimento ed è una delle questioni che fin dal suo insediamento in Governo italiano ha affrontato». «Le comunità italiane nel mondo – ha poi aggiunto – possono essere considerate un modello, sotto questo punto di vista. Con il passare del tempo hanno acquistato, anziché perderla, la consapevolezza della propria identità, ponendosi anche obiettivi di carattere politico in quanto collettività di origine italiana. Ed anche per questo offrono un grande apporto nel processo di internazionalizzazione che l’Italia deve assolutamente attraversare per tenere il passo con gli altri Paesi nell’era della globalizzazione. Uno degli elementi qualificanti del Governo è proprio l’interesse per i nostri connazionali all’estero». Tra le pratiche messe in campo dal Governo – oltre alla valorizzazione delle attività intellettuali, all’informazione e l’aggiornamento sull’evoluzione della società italiana, all’intervento coordinato dello Stato e delle regioni a favore delle comunità all’ estero e le agevolazioni fiscali per gli italiani che rimpatriano (ridotte però con l’ultima finanziaria, ndr) – il ministro Tajani sottolinea anche il Turismo delle Radici, ovvero «l’offerta turistica strutturata attraverso appropriate strategie di comunicazione, che coniuga alla proposta di beni e servizi del terzo settore (alloggi, eno-gastronomia, visite guidate) la conoscenza della storia familiare e della cultura d’origine degli italiani residenti all’estero e degli italo-discendenti che, vale la pena ricordarlo, sono stimati in un bacino di utenza che sfiora gli 80 milioni di persone». «Affinché non stia solo nell’indotto – conclude – il ritorno dell’investimento fatto, formando cittadini che poi scelgono di mettere a frutto altrove le loro conoscenze come manager e ricercatori, l’Esecutivo ha messo in atto interventi che favoriscano rientri, reinserimenti e progetti di scambio e ricerca plurinazionali. Inoltre, ha puntato anche sul ruolo dei media, tanto nazionali (Rai Italia, in particolare), quanto nei Paesi d’accoglienza per informare meglio chi sta fuori e realizzare un’informazione di ritorno, in grado cioè di far finalmente conoscere in modo esauriente in tutti i loro aspetti gli italiani fuori a chi sta in patria».
La “ricetta magica”?
Nessuno la sa. «Un grande investimento sull’istruzione, sullo studio, combattendo la precarietà, dando condizioni di sicurezza, la casa ad esempio. La lotta alla precarietà è una delle condizioni migliori per dare sicurezza sul futuro e per la bellezza di restare nel proprio Paese», propone il cardinal Zuppi invitando ad «uscire dalla polarizzazione. Parliamo dei problemi e impariamo a capire e non a schierarsi. La polarizzazione brucia le opportunità. Uno statistico mi ha detto che l’Italia è un Paese in via di estinzione. Non è una prospettiva allettante, perciò dobbiamo chiederci cosa vogliamo lasciare dopo di noi. Forse ancora qualcosa si può fare».
Valentina Ersilia Matrascìa