Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.
Luigi Fallacara
Pugliese, nato a Bari nel 1890, dopo gli studi classici nella sua città, sale a Firenze dove studente di lettere viene subito coinvolto dall’intensità culturale e letteraria che Firenze conosce a cavallo del secolo. Stringe amicizia con Giuseppe De Robertis e da lui viene introdotto a Giovanni Papini. Allora a Firenze si pubblicavano riviste di avanguardia qualche volte dalla durata effimera ma straordinarie nei contenuti, come la Voce, Lacerba, Il Frontespizio. Fallacara inizia la sua collaborazione alla rivista Lacerba che ospita scritti di Aldo Palazzeschi, Dino Campana, Giuseppe Ungaretti, Ardengo Soffici.
Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale la cui tragedia gli ispirerà l’inizio di una riflessione cattolica, ottiene il suo primo insegnamento ad Assisi dove insegna lettere dal 1920 in un Istituto tecnico, per cinque anni. La misticità dei luoghi in cui giunge dopo il matrimonio favorisce quello che chiamerà “il suo incontro con San Francesco” Da allora il suo contenuto poetico si arricchirà di una dimensione metafisica esprimendo un forte lirismo mistico. Continuata la sua carriera di insegnante e nominato ordinario a Reggio Emilia resterà per lunghi anni nella città dell’Ariosto per ritornare infine nella città della sua autentica formazione letteraria, Firenze. Al suo secondo periodo fiorentino si deve il periodo massimo della sua fioritura letteraria, del suo periodo piu’ felice di creatività. Ritrova il contatto con gli autori raccolti intorno ad una delle riviste che avevano formato i suoi riferimenti giovanili, Il Frontespizio. Piero Bargellini lo accoglie in redazione, ne sarà sino alla fine un componente attivo. In quel periodo pubblica nuove raccolte di poesia Confidenza (1934), Poesie d’amore (1937), Notturni (1941) in cui la influenza dell’ermetismo è arricchita dalla sua vena di lirismo mistico, da quella che il poeta definisce la sua “ansia di assoluto”.
Richiamato alle armi anche per la seconda guerra mondiale, evitati per poco i campi di concentramento nazisti, ritornato a Firenze conclude con qualche passaggio alla pittura il suo itinerario poetico con due ultime antologie Residui del tempo e Il Frutto del tempo (1962) che gli valgono un ampio consenso della critica. Si spegnerà a Firenze il 15 ottobre 1963. Ma come spesso accade nella vita degli artisti – nemo propheta in patria, sia pure con qualche eccezione – sarà l’Università di Pavia a raccogliere i suoi scritti nel Centro per gli studi sulla traduzione manoscritta di autori moderni e contemporanei. Destino forse di chi formato a Firenze non era comunque fiorentino di stirpe, non aveva dietro alle sue spalle la forza della sua contrada.
Loris Jacin
“Cominciata, dopo la prima esperienza di “Lacerba” con una frequentazione dei Simbolisti, la mia poesia si trovò a condividere alcune istanze della “poesia pura” per la sua ricerca di assoluto. Si trattava, come è noto, di una poetica del Verbo per cui la parola non era considerata valida se non enucleata in una superiore, luminosa sfera, a cui tendere in un’ansia dell’anima, religiosa per la sua riposta fiducia nell’essere oggettivo, non per definizione.
L’incontro con l’ermetismo fu per me un incontro di contenuti più che di forme e presuppose, come lo presuppone l’ermetismo, una umanità totale nella sua ansia di assoluto, con tutte le sue angosce e le comuni tristezze.
Se queste allora non apparvero sempre, rimasero però sempre come presupposto e condizione delle singole conquiste. Esse infatti apparvero più tardi, quando si scinderà la mirabile sintesi, per dar luogo alla poesia postermetica, a una più diretta espressione delle istanze esistenziali.
Una prova ce la dà proprio Mario Luzi, il quale, mentre scriveva le poesie dell’ Avvento notturno, pubblicava nel Frontespizio ( 1938) le sue istanze morali che solo piu’ tardi, e specialmente con “Onore del vero” (1957) troveranno espressione poetica e, insieme, il proprio tempo storico.
Finita quella meravigliosa stagione, all’ermetismo rimase sempre affidato il compito di consegnare un linguaggio e un problema del linguaggio alle nuove generazioni già fuorviate dietro un facile realismo. Poiché, con quello stesso linguaggio gli ermetici approfondirono i problemi dell’uomo, cercarono di dare una risposta alle domande che la guerra e il dopoguerra rendevano urgenti per tutti.
Quanto a me, nella ripresa dopo dieci anni di silenzio, con Le poesie, Residui del tempo, Celeste affanno, Il mio giorno s’illumina, ho cercato di indurre quel linguaggio a seguire una specie di intima dialettica tra l esigenze metafisiche e le istanze esistenziali.
Cosi` quel mondo che poteva sembrare astratto nel suo platonismo concettuale scende sulla terra e si mescola con la nostra vita quotidiana e, senza perdere nulla delle sue conquiste, partecipa alla nascita della speranza, là dove essa puo’ ancora apparire e rifulgere”
IL SOLE DEGLI ADDII
Sorpreso sole degli addii, stupita
verità che discopro nel paese,
sui volti delle case (e s’indovina
suono di voci racchiuso dall’aria
oscura a me delle finestre aperte)
le fontane di cui conosco il gelo,
l’erba dei prati minuta alla mano.
Allontanato è questo velo dolce
dove si stendono i vostri colori,
stanno gli sguardi e lo stormir degli alberi,
e s’avvicina il canto degli uccelli.
Più di questa distanza non conosco.
Nel ricordo che docile risorge,
minimo e caro presente del cuore,
fiere giornate d’ardore e tormenti,
calme sere, il momento in cui rinasce
l’improvviso aspettar della speranza
evocherete; ma questo vedervi
di là dal sole e già fuori del mio
vivere, è il vostro vero volto, eterno
e delicato, la vostra sorpresa
vita, oltre il tempo del nostro soffrire.
Cosi’ la donna è nei saluti estremi.
Mentre lo sguardo amante s’allontana
Dall’aria mossa dei gesti d’addio,
di là dal punto dolente ove indugia
umido il raggio della sua pupilla,
un’ora non più nostra, ecco, si posa
su lei, la veste d’un sole remoto.
Noi, col distacco, portiamo in quel velo
di luce il volto, le parole, il pianto
fuori del tempo, oltre la nostra chiusa
ansia d’amore, e la rapita immagine,
in un sereno senza mutamento,
silenziosa sorride all’eterno.
( da Poesie d’amore)
UN GIORNO IN PUGLIA
Il barocco di chiese e di palazzi
è bianco e nero come i giorni sazi
divisi dalla notte in parti uguali,
metà vita e metà sonno mortale.
Guardavo il chiaro ed il cupo pensiero,
come l’angelo della cattedrale
che ha un occhio bianco ed ha l’altro occhio nero.
Al sole, per i vicoli tortuosi
aprivano i gerani i rossi irosi,
ma all’ombra, in un canale di miasmi,
vedevo, vita, come l’uomo plasmi.
Sole azzurro di fumi, ombra in recessi,
tagliata a filo netto di coltello;
e di qua e di là era pur bello,
nel buio e nella luce, esser lo stesso.
(da Celeste affanno)