Dopo la notizia dell’arresto dell’ex presidente Imran Khan diamo un quadro della situazione attuale del Paese

Molto si è scritto in questi anni sull’Afghanistan, molto meno sul Pakistan, anche se i geopolitici lo associano tanto fortemente al vicino paese da avere coniato un neologismo: l’Af-Pak, l’Afghanistan-Pakistan, quasi legando insieme le vicende dei due paesi. Una situazione che per la verità trova le sue profonde radici nella spartizione del sub-continente indiano da parte britannica nel 1947. Nel 1947 si assistette in effetti alla ripetizione dello schema che già aveva avuto spazio nel XIX secolo con la separazione della etnia pashtun fra l’Emirato dell’Afghanistan e l’allora Impero delle Indie, lungo la linea segnata sulle carte dal maggiore britannico Mortimer Durand. Anche nel caso del mandato attribuito dal premier Clement Attlee subito dopo la seconda guerra mondiale all’ultimo Viceré delle Indie, il Lord e Ammiraglio Louis Mountbatten, primo conte Mountbatten di Birmania, la partizione del sub-continente sulla base del criterio della popolazione prevalente- hindu o musulmana – doveva cozzare con la realtà etnica subendo delle forti torsioni del principio a svantaggio del Pakistan, a causa anche di un differente rapporto personale del Lord con le intellighenzie dei due paesi, ottimo con Jawaharlal Nehru e il Mahatma Ghandi, pessimo con Muhammed Ali Jinnah.

Nonostante le critiche espresse fra gli altri dal grande economista John Maynard Keynes e i drammatici spostamenti di popolazione conseguenti alla partizione, il Bengala verrà così attribuito all’India e il fertile Punjab, a maggioranza musulmana, sarà diviso in due con tragiche conseguenze. Ancora, per un altro stato, anch’esso a maggioranza musulmana, il Kashmir, si lascerà al suo Maharajah hindu’ di decidere dove collocarsi, secondo i risultati di un referendum popolare che, anche se promesso, non sarà mai tenuto. Il Kashmir verrà così suddiviso fra Cina, India e Pakistan cui verranno attribuiti i soli territori himalayani del Azad Kashmir e del Gilgit-Baltistan. Dal 1947 il Kashmir costituirà ragione di un costante confronto fra India e Pakistan. Con la spartizione post-coloniale del sub-continente il Pakistan diventa indipendente il 18 luglio 1947, proclamandosi come Repubblica islamica formata da due entità territorialmente separate, il Pakistan Occidentale e il Pakistan Orientale. Nel 1971 dopo una sanguinosa guerra civile, conseguita alla seconda guerra contro l’India, la provincia orientale si separa dalla madrepatria divenendo l’attuale Bangladesh, con capitale Dhaka (Dacca). La presenza del potente vicino indiano ha sempre condizionato la geo-strategia dello Stato. Frutto della incongrua suddivisione del sub-continente, i contrasti fra il Pakistan e l’Unione Indiana si manifestano già dopo l’indipendenza con la guerra (1947-48) nella regione contesa del Kashmir, che il Pakistan intendeva occupare militarmente dopo aver già perso parzialmente il prevalentemente musulmano Punjab. Altre guerre indo-pakistane avvengono nel 1965-66 e nel 1971, mentre in epoca recente un’invasione militare della regione himalayana di confine (Kargil) disposta nel 1999 dal gen. Pervez Musharraf, recentemente scomparso, dopo la sua ascesa al potere, ha rischiato di provocare la terza vera guerra indo-pakistana. Ora, proprio il confronto con il vicino indiano giustifica l’interesse che lo stato maggiore pakistano ha sempre avuto per il suo vicino occidentale. Il Pakistan è un paese lungo e stretto disposto fra i contrafforti himalayani e l’Oceano Indiano lungo il corso dell’Indo. Con 796.000 km2 di superficie è molto densamente abitato, avviandosi verso una popolazione di 250 milioni di abitanti, che ne fa dopo Cina, India, Stati Uniti e Indonesia il quinto paese più popoloso del mondo. Il vicino Afghanistan con una superficie analoga (653.000 km2) è invece un paese quasi vuoto, con solo 33 milioni di abitanti. Nel caso di una temuta invasione indiana sulle piane dell’Indo, l’Afghanistan potrebbe offrire all’esercito pakistano una sufficiente profondità strategica per preparare la resistenza all’invasione. Per questo l’interesse pakistano per l’evoluzione politica nel vicino Afghanistan è sempre stata fondamentale, al di là dei ripetuti contrasti fra i due paesi intorno al riconoscimento del tracciato della linea Durand.

Source: University of Texas, Perry Castaneda Library Map Collection – Courtesy of the Un. of Texas Libraries, The University of Texas at Austin

Ma ci sono altre ragioni per attribuire al Pakistan una attenzione meno distratta.

Nel 2022 le disastrose inondazioni che hanno interessato la metà del territorio soprattutto nelle province del Sind e del Penjab hanno fatto quasi 15.000 vittime, distruggendo 2 milioni di abitazioni, un milione di animali, 13.000 km. di strade e soprattutto sottraendo ad uno dei paesi piu’ popolosi del mondo 2,2 milioni di ettari di terreno coltivabile. Aggravando la situazione di un paese che già è classificato come il piu’ vulnerabile al clima dell’Asia meridionale, dopo aver avuto già altri 9989 morti per ragioni climatiche fra il 1999 e il 2018.

Ma il problema del Pakistan non è solo ambientale, riguarda anche la sicurezza di un paese dotato come l’India dell’arma atomica.

Con una situazione interna che ha conosciuto dal 1947 un palleggio costante dei governi fra civili e militari  – da Ayyub Khan a Zulfikar Ali Bhutto, da Zia ul-Haq a Benazir Bhutto, da Pervez Musharraf sino a Imran Khan – con una politica estera che ha visto a fisarmonica il paese avvicinarsi o allontanarsi dall’Occidente anche di recente, con il precedente presidente, il settantenne ex-campione di cricket Imran Khan, fortemente anti-americano, mentre l’attuale presidente, Shebhaz Sharif cerca invece un riavvicinamento agli Stati Uniti sostenuto dai militari, decisi a ridurre la dipendenza del paese dalla Cina, oltre che dai paesi del Golfo.

Ma è soprattutto il quadro interno a suscitare apprensione.

Il Pakistan nasce nel 1947 come il Paese dei Puri, identificando il fatto nazionale con la religione, l’Islam e si proclama Repubblica islamica. Ma l’islam pakistano si è sempre diviso in tre grandi accezioni. In primis l’accezione sufi con le tre grandi tariqa, confraternite, presenti nel paese che sono poi le stesse che troviamo in Afghanistan, la Chestiyya, la Qadiriyya, la Naqshbandiyya. Poi, nata nell’Uttar Pradesh ma diffusa in Pakistan, la scuola di Deoband da cui discende dal 1867 l’ideologia talebana basata sui tre principi, opposizione allo sciismo, rifiuto del ruolo sociale della donna, opposizione ad ogni gerarchia religiosa. In contrapposizione alla scuola di Deoband, abbiamo poi l’interpretazione che a partire dalla scuola giuridica hanafita, la giurisprudenza coranica prevalente in Pakistan, offre il barelvismo, la corrente fondata nel 1904 da Ahmed Raza Barelvi che, se mette la sharia al centro, cerca anche una conciliazione con il sufismo, accordando, a differenza del deobandismo, uno spazio anche ai santi e ai santuari sufi.

Le contrapposizioni fra queste correnti musulmane sono state nel passato frequenti, animando dal ceppo deobandi anche dei gruppi di combattimento anti-sciiti come Sepa e-Sahaba, Jaish e Mohammed, Tehrik-e-Taliban che si sono distinti particolarmente per dei massacri di sciiti hazara anche in territorio afghano.

Oggi la gravissima decisione americana di liberarsi del lungo e costoso (e per noi inutile e immotivato, oltre che tragico nelle conseguenze) impegno afghano lasciando il paese, ma anche regalandolo nel contempo ai talebani, ha prodotto un netto peggioramento della sicurezza interna in Pakistan. Nei fatti la caduta di Kabul nell’agosto 2021 ha significato la liberazione dalle prigioni di 2300 combattenti del Tehrik-e-Taliban-e- Pakistan, la componente talebana pakistana. In parallelo, nel 2022 si è constatato in Pakistan un aumento degli attentati terroristici sino al drammatico attentato recente costato la vita di 100 persone, soprattutto membri della polizia, nella moschea di Peshawar di cui hanno parlato le cronache, oltre alle altre 450 vittime sempre nel corso del 2022 degli attentati precedenti. In altre parole, malgrado le assicurazioni ufficiali degli ambienti governativi talebani afghani di mantenere il paese in una stretta neutralità, in un anno dopo la disastrosa partenza degli Occidentali dall’Afghanistan, gli attentati in Pakistan sono aumentati di più del 50%. Ma si deve aggiungere che suscita preoccupazione anche la deriva interna estremista del partito che è l’emanazione dell’ideologia barelvi: il Tehrik-e-Labbaik Pakistan (TLP) che abbandonando i principi delle origini si distingue per una radicalizzazione contro le minoranze, in particolare gli sciiti e gli ahmadi, membri di una setta messianica ufficialmente dichiarata non musulmana. E’ in questo clima che è scaturito anche il tentativo di uccisione dell’ex-premier Imran Khan, accusato di avere infranto la legge vigente contro la blasfemia comparandosi al Profeta dell’Islam. Prosecuzione penale che poi la Corte pakistana ha di recente abbandonata di fronte alla reazione massiccia dei suoi sostenitori.

Imran Khan

Il Pakistan quindi come paese popolosissimo, dotato dell’arma nucleare, strategicamente localizzato, ma anche vittima di una doppia insicurezza climatica e interna. Per Joe Biden nella sua dichiarazione del 13 ottobre scorso semplicemente “una delle nazioni più pericolose al mondo”. Per noi che non abbiamo le responsabilità politiche del grande capo di stato, sono tanti invece i motivi sufficienti per interessarci di questo paese, come scrive il grande giornalista e scrittore pakistano Ahmed Rashid, del fragile “Pakistan on the Brink”…

Carlo degli Abbati

Il Pakistan, 161° sui 191 paesi censiti nelle classifiche economico-sociali del PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), figura nel gruppo dei paesi a basso livello umano (Low HD) con un PIL di 347,7 Miliardi di USD e un PIL pro-capite annuo di 4.624 USD (calcolato in PPA 2017), effettivo di 1562 USD. La popolazione di 231,4 milioni (stima 2021) è al 40 % ca. costituita da agricoltori, presenta una speranza di vita media di 66,1 anni, una scolarità effettiva media di solo 4,5 anni, (5 maschile, 3,9 anni femminile), un indice di fecondità del 3,4 e un indice di mortalità infantile di 54,2 per mille (per confronto in Italia è del 2,7 per mille, venti volte inferiore) . I nuclei familiari sono composti in media da 6 persone.

Bibliografia

Ahmed Rashid, Pakistan on the Brink. The Future of Pakistan, Afghanistan and the West, Penguin Books, Londra, 2014

Elisa Giunchi, Pakistan. Islam, Potere e Democratizzazione, Carocci, Roma, 2009

Carlo degli Abbati, Il radicalismo nel nome dell’Islam. Una responsabilità condivisa?, Aracne, Roma, 2013 (disp.in ed. francese, Persée Parigi )

Carlo degli Abbati-Pietro Pistolese, Afghanistan: futuro cercasi, Genoa University Press, 2014

Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.

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