Monteverdi, di primo acchito, non ha un animo giocoso. Il suo Il ritorno d’Ulisse in patria venne messo in scena, per la prima volta, al Teatro San Cassiano nel 1640 su libretto di Giacomo Badoaro. Basato sull’Odissea scritta da Omero, l’opera racconta il viaggio tormentato e difficile di Ulisse che, dopo anni di assenza, non desidera altro che ricongiungersi con la sua amata Penelope. Tempo, Nettuno e Antinoo, a Vienna, sono interpretati dall’italiano Andrea Mastroni
Nella messa in scena di Jossi Wieler e Sergio Morabito Ulisse è solo una figura a margine. A margine anche se non marginale. Non viene riconosciuto al suo rientro, quando arriva addormentato sulla sua isola natale, Itaca, e si traveste da mendicante per non venire riconosciuto. L’allevatore Eumeo lo accoglie e, Ulisse, inizialmente si rivela solo al figlio Telemaco. Da 20 anni sua moglie Penelope è combattuta tra la speranza del ritorno e i corteggiatori che la spingono a sposarsi.
Monteverdi inizia con un prologo in cui l’allegoria della fragilità umana si ritrova alla mercé del tempo, della fortuna e dell’amore. È una fragilità costante nel proprio essere che non riesce ad affermarsi. Ma il quadro non è negativo: questo gioco è l’incipit per il tono della messa in scena dello spettacolo. Anna Viebrok crea una scenografia e costumi atemporali. Vaghi richiami all’epoca dell’Odissea che fanno capolino dietro a sedili della Business Class, telai futuristici e poca parsimonia. Il filo rosso sembra essere la presenza non presenza di un tempo che non può essere relativizzato, ma sfugge alle convenzioni. I costumi sottolineano l’aspetto dell’atemporalità: funzionali, eleganti, esagerati ma non troppo. Un mero guscio di una modernità atemporale.
Abbiamo parlato dei suoi ruoli con il cantante d’opera il milanese Andrea Mastroni, basso, con una carriera internazionale nei migliori teatri d’Europa – Valencia, Tolosa, Parigi, Milano, Venezia, Oviedo – attualmente alla Wiener staatsoper.
Cosa ci racconti dei tuoi ruoli?
Nella prassi barocca, spesso lo stesso interprete cantava più di un ruolo. Per me è una specie di sfida: interpreto il Tempo, interpreto Nettuno, interpreto Antinoo, uno dei proci. Si tratta di ruoli molto antitetici, molto differenti. Nel caso del tempo abbiamo un’allegoria: il tempo si trova insieme alla fortuna e all’amore per discutere delle sorti del dell’essere umano. Sono figure che ridacchiano, sorridono e schermiscono, divertendosi alle spalle dei mortali.
Nettuno, il mio secondo personaggio è molto poco in scena: appena 7 minuti. Nettuno è molto arrabbiato con Ulisse e cerca rogne: chiunque si ponga sul suo cammino, come i feaci rischiano di essere alla mercé della sua rabbia. Ricorda un bambino capriccioso, arrabbiato contro tutti ma soprattutto contro Giove. Una rabbia a tratti infantile: Nettuno è sempre molto iroso, arrabbiato, vorrebbe essere lui al posto di Giove, al posto della divinità e non una specie di divinità di seconda classe.
E poi c’è Antinoo, che è appunto uno dei pretendenti alla mano di Penelope che rende la vita agli altri due pretendenti estremamente difficile. Alla fine, ritorno in scena nuovamente nei panni di Nettuno che sembra essersi placato. Ma non del tutto perché il finale è lasciato volutamente aperto.
Elisa Cutullè