Paese drammaticamente frammentato politicamente, economicamente e socialmente sopravvive solo grazie ai miliardi USD di rimesse che gli haitiani emigrati mandano in patria
Chiamata Guanahani dagli indigeni e divenuta Hispaniola dopo la scoperta da parte di Cristoforo Colombo, durante il primo viaggio del 1492, rimasta sotto l’incontrastato dominio spagnuolo sino quasi alla metà del XVII secolo, quest’ isola delle Grande Antille (oggi divisa fra Haiti e la Repubblica Dominicana), conosce una penetrazione francese sull’isola della Tortuga, piccola isola al nord della costa ovest. Si tratta di un primo insediamento francese in territorio spagnolo segnato dall’arrivo nel 1640 del primo governatore francese François Levasseur.
La Francia che non riconosceva l’efficacia del trattato di Tordesillas, sanzionato dal Papa Giulio II nel 1504 per definire le zone di espansione di Spagna e Portogallo, aveva tentato un secolo prima una analoga penetrazione in Brasile con un contingente comandato da un cavaliere ugonotto, Nicolas Durand de Villagaignon, che si era arroccato nel 1555 su di un isolotto nella baia di Guanabara battezzato “France antarticque” Ma ne erano stati cacciati nel 1567 dai portoghesi. A Tortuga arrivano invece corsari, filibustieri, bucanieri e diventano Los Hermanos de la Costa, i Fratelli della Costa.
Corsari non certo celebri come il fiammingo Jean Bart o il bretone Robert Surcouf, o gli inglesi Edward Thatch detto il Barbanera, Jack Rakham, Anny Bonny e Mary Read, operanti in altre epoche e in altri quadranti. Ma sono attivi, ottengono con la “lettera di marca” la protezione della Francia ed una parte del bottino e se catturati non vengono impiccati. Ma sono attivi e numerosi, di religione quasi sempre protestante: Jean David Nau, detto François l’Olonese, Daniel Monbards detto lo Sterminatore, Michel le Basque, Jacques Cassard, Michel de Grandmont, Alexandre-Olivier Exmelin. Si uniscono ai filibustieri, i vrijbuiters, i friboutiers, gente alla ricerca di bottini. Ma sulla Tortuga, che fa parte del quadrante occidentale di Hispaniola trascurato dagli spagnoli, insediati più a ovest, intorno a Santo Domingo, ci sono anche i bucanieri che, approfittando del’inselvatichimento della fauna, fanno commercio della carne di bue essicata con la lignite, il bucan, da cui il nostro uso in inglese del termine barbecue. In realtà interessati solo all’oro, gli Spagnoli avevano fatto arrivare nell’isola una grande quantità di cavalli, bovini, capre, maiali che dopo la partenza dei francesi infesteranno tutta la parte occidentale dell’isola.
I Fratelli della Costa partiranno circa un secolo con l’isola che conoscerà l’ultimo governatore, Ogeron de la Bouère, e li ritroveremo dispersi soprattutto nel nuovo teatro delle loro gesta, l’Oceano Indiano. Nel frattempo la Francia ottiene il controllo della parte occidentale di Hispaniola nel 1697 con il trattato di Ryswich, sancito definitivamente nel 1777 dal trattato di Aranjuez. Mentre gli spagnoli continuano il controllo della parte orientale che diverrà la Repubblica Dominicana, la colonia francese si chiamerà Saint Domingue. E’ popolata principalmente da popolazioni di schiavi neri che la Spagna aveva fatto arrivare sin dal XVI Secolo dal Dahomey, dalla Guinea e dalla Nigeria, il che spiega la diffusione nell’isola del culto vudù. Le colture di zucchero e caffè ne fanno alla fine del XVIII secolo la più ricca delle Antille francesi. All’epoca le sue esportazioni superano quelle degli Stati Uniti. Dopo un periodo complesso, condizionato dall’abolizione della schiavitù durante la Rivoluzione francese e dall’invasione francese dell’isola del 1802 dopo la rivolta degli schiavi, Saint Domingue proclama la sua indipendenza nel 1804, primo paese di America latina. Vi troverà rifugio Simon Bolivar. Ma per riconoscere la indipendenza del Paese, divenuto Haiti, la Francia di Carlo X chiede nel 1825 un indennizzo enorme, di 150 milioni di franchi oro, somma ridotta poi a 90 milioni. Si può dire che Haiti non si sia mai risollevata dal peso di questo indebitamento. Il Paese vivrà per tre quarti di secolo nella instabilità e nella violenza politica alimentata dalla contrapposizione delle élite meticce soprattutto rurali e di quelle nere, proprietarie terriere al nord. A partire dal XX secolo Haiti rientra, dal 1908, sotto l’influenza e lo sfruttamento degli Stati Uniti vittoriosi sugli spagnoli a Cuba nel 1898. Delle compagnie private americane negoziano delle concessioni esorbitanti per costruire delle ferrovie e sviluppare delle piantagioni di banane, mentre la National City Bank americana compra dalla banca nazionale di Haiti una buona parte del debito pubblico per imporre condizioni finanziarie di rimborso peggiori delle precedenti.
In seguito gli Stati Uniti, preoccupati della forte presenza commerciale tedesca nell’isola procedono nel 1915 alla sua invasione, per salvaguardare anche, in caso di conflitto con la Germania, gli interessi della banca americana d’affari Kuhn, Loeb & C: dominante nel paese. Il Presidente Woodrow Wilson, sulle orme del quale il presidente Kennedy tenterà nel 1962 l’invasione di Cuba e Ronald Reagan invaderà nel 1983 Grenada e nel 1989 Panama, invia i Marines a Port Rivière, facendo eleggere Presidente il presidente del Senato Philippe Sudre Dartiguenave e prendendo il controllo delle dogane e dell’amministrazione. Il nuovo Presidente fa approvare per referendum nel 1918 una Costituzione ispirata dall’allora segretario della Marina USA, Franklin D. Roosevelt, che ha il carattere innovante di permette agli stranieri di possedere proprietà immobiliari sull’isola. Il contrasto fra le élites locali e gli occupanti americani rimasti ancora fondamentalmente razzisti contro i neri, provocherà la rivolta dei “cacos”, i contadini armati, che verrà soffocata con una tale brutalità da provocare 2000 morti e da sollevare l’indignazione internazionale. Gli americani invieranno una commissione senatoriale nell’isola nel 1921 che fra l’altro accerterà che la National City Bank non aveva mai pagato gli interessi sui depositi trasferiti a New York e inizia a riconoscerli solo dal 1922 ma al tasso del 2% contro l’abituale 3,5% riconosciuto agli altri depositanti.
Gli americani finiranno per lasciare il paese nel 1934, ma manterranno il controllo delle dogane haitiane sino al 1946.
Dopo la loro partenza, la storia del Paese sarà segnata dalle tensioni di Haiti con la Repubblica dominicana, che conosce un diverso livello di sviluppo e le popolazioni haitiane faranno l’esperienza di un altro massacro. Nel 1937, non ottenendo il rientro in patria di coltivatori haitiani che si erano illegalmente stabiliti in territorio dominicano, il presidente Rafael Trujillo ordina l’operazione Perejil che provoca la carneficina di 30.000 haitiani ed è tristemente nota ad Haiti come il nome di “kout kouto”, colpi di coltello. La frontiera fra i due paesi sarà riaperta solo negli Anni’80.
Dopo un periodo segnato da vari di putsch militari, conseguenti alla definitiva partenza degli americani, le elezioni del 1957 vedono il medico François Duvalier “Papa Doc”, assumere il potere che durerà trent’anni sino al1987 con il figlio Jean-Claude. Sarà una lunga dittatura con una repressione della popolazione assicurata dalla famigerata milizia para-militare dei “tontons macoutes”.
Ma anche nel periodo successivo e anche dopo l’approvazione di una nuova costituzione che istaura nel 1987 una repubblica presidenziale, il paese non conosce alcuna stabilità. Il presidente Jean Bertrand Aristide eletto nel 1990 è vittima di un colpo di stato nel 1991, viene reinstallato dagli Stati Uniti su mandato dell’ONU e riconfermato nel 2000, per poi finire in esilio dopo una nuova insurrezione del 2004 degli oppositori di Convergenza Democratica sedata per mediazione di Francia e Stati Uniti e l’intervento di una missione delle azioni Unite, la MINUSTAH. Divenuto presidente nel 2006, René Preval vede il paese prima devastato nel 2008 da quattro cicloni e nel 2010 da un catastrofico terremoto nella regione di Port-au-Prince.
Oggi Haiti è un Paese alla deriva, vittima della violenza delle gang, della corruzione, dell’incuria dello Stato, ma anche di una situazione sanitaria insostenibile come conseguenza dell’ormai lontano terremoto del 2010. L’assassinio il 7 luglio del 2021 del presidente Jovenel Moïse, attribuito ad un gruppo di oppositori residenti all’estero, ha provocato una crisi indescrivibile che il presidente ad interim Ariel Henry non sembra assolutamente in grado di governare, anche per l’opposizione del precedente ministro, Claude Joseph. Gruppi armati infestano il paese e le loro guerre intestine hanno già provocato nel 2022 più di 300 morti. Lo stesso Palazzo di Giustizia è stato preso d’assalto nel giugno 2022. Per i primi tre trimestri del 2022 sono stati registrati ben 750 sequestri di persona. La Gang di cui è caporione Jimmy Cherizier ha addirittura preso lo scorso settembre il controllo del principale terminale petrolifero di Varreux, riguadagnato solo il 4 novembre 2022 dalla polizia, provocando per due mesi la paralisi economica del Paese.
Intanto, a causa anche del tardivo riconoscimento da parte dell’ONU della gravità del terremoto del 2010 che aveva fatto almeno 10.000 vittime, è ricomparsa nel Paese una malattia ormai debellata, il colera, provocando la ospedalizzazione di 10.000 haitiani, per quasi metà bambini, e cominciando a mietere vittime. Purtroppo la violenza delle gang rende anche difficile il soccorso alle popolazioni, come denunziato fra gli altri dall’ONG Médécins sans frontières presente nel paese. L’idea di un rimedio basato sul ricorso alla comunità internazionale è seguita da Henry ma contrastata da molti altri, lasciando sul terreno una condizione di bloccaggio politico e di inazione. Dopo mesi di immobilismo, Stati Uniti e Canada hanno di recente promesso l’invio di aiuti alla polizia locale. Nel frattempo si assiste ad un forte esodo di Haitiani verso l’estero.
E il Paese drammaticamente frammentato politicamente, economicamente e socialmente sopravvive solo grazie ai miliardi USD di rimesse che gli Haitiani emigrati mandano in patria. Soprattutto dagli Stati Uniti, ma anche da Cile, Repubblica Dominicana, Canada, Francia, soprattutto dalla Guyane, Brasile. Mentre in patria il 65% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, cioè con meno di 2 dollari al giorno, e le mafie della droga e le gang criminali surrogano un potere politico divenuto ormai quasi inesistente.
Haiti con i suoi quasi 11,5 milioni di abitanti è classificato nelle statistiche del PNUD al 163° posto sui 191 paesi censiti. Il suo indice di sviluppo umano, oggi di 0,535, è in discesa rispetto al valore segnato nel 2019. Allo stesso modo l’aspettativa media di vita nel 2021 è scesa dai 64,25 anni del 2019 ai 63,19 attuali, con una mortalità infantile del 46,7 per mille nel 2020, destinata a salire per l’epidemia di colera in corso. Con un PIL di 21 Miliardi di USD e un PIL pro-capite annuo effettivo di 1.765 USD annui (2.847 USD PPA), ridisceso nel 2021 ai livelli del 2006, presenta una popolazione costituita quasi al 30% di agricoltori con un settore secondario che impiega un altro 7% della popolazione. Se il reddito medio sembra relativamente elevato le cifre nascondono che 2/3 degli Haitiani vivano al disotto della soglia della povertà, cioè con meno di 2 USD al giorno. Il che dimostra la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza interna, provato da un coefficiente di Gini particolarmente elevato 41,1 secondo i dati della Banca Mondiale. Il coefficiente di Gini per confronto dell’Italia è stato nel 2020 del 30,2 dopo i trasferimenti statali e l’imposizione fiscale
Bibliografia
-R. Piarroux, Choléra. Haiti 2010-2018, Histoire d’un désastre, Ed. CNRS, Parigi, 2019
– J.Nési- J.J. Cadet, L’affaire Pétro-Caribe en Haiti: la corruption des pays du sud entre la politique et la science, CIDIHCA, Montréal,2002
– International Crisis Group, corrispondenze varie su Haiti di Mark L. Schneider e altri
Carlo degli Abbati
*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.