#crisidimenticate: il primo articolo a cura del prof. Carlo degli Abbati
Se l’Egitto è il “dono del Nilo” è lo stesso fiume a bagnare come Nilo bianco il territorio del Sudan del Sud, portando la fertilità nella valle che attraversa da Nord a Sud il paese. Eppure nelle classifiche mondiali del PNUD che studia la situazione dei paesi del mondo, non analizzando esclusivamente come fanno lo FMI o la Banca Mondiale i dati economici, ma prendendo in conto nei suoi rapporti dal 1990 anche i parametri sociali, realizzando la visione umanistica di Amartya Sen, il Sudan del Sud occupa l’ultimo posto, 191° sui 191 paesi censiti.
Dobbiamo chiederci perché ed oggi dovremmo essere particolarmente sensibili alle sue cause: la guerra. Dal 1983 le popolazioni sudanesi sono prigioniere della guerra. Prima l’insurrezione nella regione dell’Alto Nilo del MPLS (Movimento popolare di Liberazione del Sudan) contro il potere arabo-musulmano di Khartum e il suo tentativo dal 1989 con l’avvento del Fronte nazionale islamico, emanazione dei Fratelli Musulmani, di Hassan al-Turabi e Omar al-Bechir, di reislamizzare l’intero Sudan, comprese le popolazioni cristiane e animiste del sud. Un conflitto che riguardava anche il controllo strategico della ferrovia nella regione di Wau e delle risorse petrolifere della regione.
In una situazione favorita dall’indebolimento progressivo a Khartum del regime islamista di Bechir, il Sud Sudan ottiene l’indipendenza il 9 luglio 2011 dopo un referendum tenutosi in ottemperanza degli accordi di pace del 2005 fra Khartum e il MPLS. Ma anche nella nuova condizione di indipendenza il paese negli ultimi dieci anni continua a conoscere degli stati di guerra. Prima per il conflitto col Sudan intorno al controllo di alcune zone petrolifere di confine (Abiyei) cui l’Unione Africana riesce a trovare una provvisoria soluzione. Ma in seguito dal 2013 a causa dello scoppio del conflitto inter-etnico. Il paese è in effetti multietnico, con i Dinka e i Nuer studiati da Evans Pritchard come etnie principali, mentre etnie minori sono i Bari, i Shilluk/Anywa, gli Zande, gli Arabi. In particolare dal dicembre del 2013 iniziano gli scontri fra le milizie guidate dall’ex-vice presidente Riek Machar, di etnia Nuer, e le truppe regolari fedeli al Presidente Salva Kiir Mayardit.
Dopo anni di conflitti, un accordo di condivisione del potere nel Paese è stato trovato nel 2018 e dal febbraio 2020 Machar è stato ripristinato nella carica di vice-presidente. E’ proprio per consolidare questa intesa che Papa Francesco durante un ricevimento in Vaticano dei due leader sudanesi nel 2019 ha voluto con un gesto clamoroso inginocchiarsi di fronte al Presidente Kiir e all’allora ex- Vice-presidente Machar, implorando il ritorno della pace e il dialogo fra le differenti confessioni del paese, fra cristiani cattolici e evangelici, animisti, musulmani. In realtà questo conflitto interno nel Sud Sudan, universalmente trascurato, ha rappresentato per le popolazioni un costo enorme.
Dei 10,9 milioni di abitanti si calcola ci siano state 400.000 vittime cui si aggiungono 4,5 milioni di sfollati interni o fuggiti verso i paesi confinanti. In questo paese, mentre i bisogni umanitari sono enormi gli aiuti internazionali sono nettamente scesi dopo la guerra in Ucraina, per cui le Nazioni Unite considerano che il 64 % della popolazione sia oggi in una condizione di “insicurezza alimentare grave”. Si aggiunga che per il quarto anno consecutivo il Paese è stato colpito da grandi inondazioni portando a piu’ di un milione le persone private di mezzi di sussistenza. In ragione della gravissima situazione interna, le autorità hanno disposto di riportare le elezioni politiche al febbraio 2025. Il paese ha conosciuto così dall’indipendenza la regressione del suo Indice di sviluppo umano passato dallo 0,43 del 2010 al 0,385 del 2021, mentre il PIL/ab. che era nel 2010 di 2029 USD (PPA 2017) è sceso sino al 767 USD del 2021 che sono in effettivo 364 USD annui. Eppure, la valle centrale attraversata dal Nilo è molto fertile per le colture sia di sussistenza che di esportazione, ma il paese è anche ricco di cromite e di petrolio estratto nelle aree di Melut, Abu Jabra e Heglig, convogliato in oleodotti sino a Khartum e Porto Sudan. Un paese quindi esemplare archetipo di spiegazione di quelli che sono i tragici effetti delle guerre all’interno e al di fuori della logica dei blocchi e delle cortine di acciaio, che tante risorse preziose sottraggono ai problemi reali del pianeta.
Come il Papa, voce nel deserto delle coscienze, non smette mai di sottolineare. Mentre la macabra politica delle iperpotenze contrapposte nel loro gioco di morte continua, moltiplicando le vittime e i fattori di distruzione del pianeta. Arricchendo soltanto i loro complessi militaro-industriali, giocando sull’affermazione di opposti principi di superiorità ideologica. Sulla pelle del mondo.
Il Sudan del Sud ultimo paese nelle classifiche basate sulle statistiche economico-sociali del PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) (191° posto) con una popolazione stimata di 10,9 milioni su una superficie di 644.000 km2 in maggioranza costituita da allevatori e agricoltori , una speranza di vita alla nascita di 54,9 anni, un tasso di fecondità di 4,5 , presenta un PIL di 5,2 miliardi USD e un PIL pro-capite effettivo di 364 USD annui, dai 2029 USD pro-capite che contava al momento dell’indipendenza (2010).
Bibliografia consigliata:
Hilde F.Johnson, South Sudan. The Untold Story from Independence to Civil War, IB Tauris, Londra, 2022
Virginie Raisson, 2038 Les Futures du Monde, Robert Laffont, Parigi, 2016 (per le prospettive africane)
Carlo degli Abbati
*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento; è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo