In quale labirinto si sta cacciando l’Europa? Tra escalation, stigmatizzazioni e intrattenimento dei media, una riflessione su Europa, economia, demografia

Fa una certa impressione ricordare oggi Altiero Spinelli e la perorazione che faceva nel suo Manifesto composto a Ventotene durante il confino assieme ad Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni sul superamento dei nazionalismi che avevano portato al disastro della Seconda Guerra mondiale. Oggi sui media europei (i media russi come Russia Today sono stati da tempo oscurati pensando che i cittadini europei non fossero sufficientemente maturi per fare distinzioni) non  si sente  parlare che di escalation nella guerra alla Russia in Ucraina. I media parlano dell’invio di Javelin, missili Himar, sistemi Patriot, carri armati Leclerc, Leopard 2 , Challenger come se si trattasse degli strumenti di un videogioco e in alcuni programmi addirittura si stigmatizzano le esitazioni di un capo di stato d’oltre Reno domandandosi se ci si possa ancora fidare …della Germania.

Forse è il momento di fare delle considerazioni. Probabilmente i politici europei di oggi sono troppo giovani per avere vissuto sulla loro pelle l’orrore della guerra e nel dopoguerra, del resto, l’atomico stato di MAD (mutual assured destruction) ha permesso loro di conoscere solo settant’anni di pacifico consumismo.

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Ma chi la Seconda Guerra mondiale l’ha vissuta davvero sa benissimo che la guerra non significa solo l’invio sul campo di battaglia di più batterie di missili, di carri armati, di sistemi difensivi. Questa non è la guerra, ma l’idea del video gioco intrattenuta da media europei sapientemente addestrati ad assecondare  le scelte fatte in ambito NATO, nel quadro di una coalizione antirussa ai cui comandi siede imperturbabile l’unica iperpotenza non europea che dirige le fila di questa guerra ibrida, condotta un po’ con le armi e un po’ con le immagini da dirigere ai focolari degli utenti radiotelevisivi per catturarne il definitivo consenso intorno alla facile equazione: Russia aggressore/Ucraina aggredita.

Guerra significa lo sconvolgimento per anni della situazione sociale e psicologica dei cittadini, dei quadri produttivi, delle catene di valori, delle conquiste sociali, delle reti commerciali. Per ritornare a una mezza normalità, con delle reti fognarie non ancora ristabilite che confondevano acque bianche e acque nere, diffondendo il tifo nelle famiglie, in case non più riscaldate per anni se non, sì e no, a legna, con tutti gli effetti negativi della borsa nera, della disoccupazione e dello sconvolgimento del suo sistema produttivo, l’Italia ha dovuto impiegare almeno 5 anni fra il 1946 e il 1950.

Una guerra in Europa – con il principale attore delle decisioni, gli Stati Uniti d’America, ben sicuro al di là dell’Atlantico, ad offrire armi e shale-gas a caro prezzo agli Europei portando per la prima volta il suo tasso di disoccupazione a 3,5%,  cioè al livello di una semplice disoccupazione frizionale, senza sprecare un solo soldato – significa per l’Europa l’inizio del suo fallimento. Con un quadro sociale immaginato non più sostenibile in ragione dello sforzo finanziario di guerra e un quadro produttivo europeo sconvolto e ridimensionato dall’abbandono di mezzi energetici convenienti. E, nel contempo, di fronte ad un’Europa in crisi dovuta alla guerra, alle sanzioni e alle contro-sanzioni ecco, ad aggravare la situazione, l’introduzione dell’Inflation Reduction Act, una sovvenzione statale di quasi 400 Miliardi USD per le industrie americane attive nel cambiamento climatico che ha l’effetto di indebolire l’apparato produttivo europeo escluso dalle sovvenzioni  riservate alle industrie americane.

Ottenendosi così, nel contempo con la guerra d’Ucraina, non solo l’indebolimento della Russia, prima dell’atteso confronto finale con la Cina, ma anche incidentalmente quello del maggior produttore industriale europeo, la Germania (e l’Italia con essa).

Un’Europa che, a causa della  guerra, non solo deve dimenticare di fatto i suoi grandi programmi di rinforzo della transizione climatica e digitale, ma anche il grande e prioritario obiettivo della relativa riduzione delle diseguaglianze interne, perdendo il riferimento a fonti energetiche a basso costo essenziali per  una economia come quella europea di pura trasformazione, con la progressiva chiusura politica imposta verso mondi che avrebbero potuto rappresentare delle favorevoli occasioni commerciali e ora sono confinati nell’asse ostile russo-cinese, con la progressiva pressione americana per una definitiva chiusura commerciale europea verso la Cina.  Questa ultima, pura creazione dell’Occidente, come fabbrica del mondo, inizialmente luogo del made by foreigners in China  che come un genio uscito dalla lampada minaccia di oscurare la imprescindibile egemonia americana sul mondo.

Soprattutto la guerra in Ucraina viene decisa in un momento complessivamente sfavorevole per le sorti dell’intera umanità. Prima della orribile Prima Guerra mondiale, quando i socialisti partivano per la guerra insieme ai nazionalisti la fleur au fusil, perlomeno l’Europa stava complessivamente crescendo industrialmente e demograficamente.

Oggi l’Intera Europa è in una drammatica decrescita demografica. Il continente che contava all’inizio dell’800 uno su quattro degli abitanti del pianeta è adesso ridotto ad uno striminzito 8%. L’anno scorso – 2022 – è passato in regressione demografica in Europa il paese dalla fecondità media – 1.83 -più alta, la Francia. E tutti gli altri membri della UE sono messi molto peggio. L’Italia con coefficiente di fecondità di 1,23 avrà fra qualche decennio solo quaranta milioni di abitanti. Certo saranno quasi tutti bianchi, nati in Italia, ma avranno più di 65 anni di età e i bar del paese saranno pieni di tavoli di tresette ma a luce di candela perché il PIL col 35% soltanto di attivi sarà inevitabilmente franato. Ma la regressione demografica non riguarda solo l’Europa, con una Gran Bretagna già al centro del mondo avviata al fallimento post-Brexit, ma quasi tutto il mondo sviluppato, dalla Cina al Giappone, con la sola eccezione degli Stati Uniti per la loro sapiente gestione del fenomeno migratorio, che li destina a rimanere dopo India e Cina il terzo paese più popoloso al mondo. Per non parlare della crisi climatica, oggi ulteriormente dimenticata per le esigenze della guerra e delle necessità produttive che impongono per la continuazione del business as usual addirittura il ritorno al carbone.

Fa una certa impressione considerare che, quando Putin assunse la tragica decisione di invadere l’Ucraina immaginando a torto una vicenda di rapido successo militare e politico come i neo-cons americani avevano immaginato nel 2003 invadendo l’Iraq, siano bastate sei ore alla Commissione europea per decretare la prima volata di sanzioni contro la Russia.

Tranne Macron, nessun uomo politico europeo aveva tentato di dissuadere Putin dal tentare la guerra. E gli altri europei? 26 stati-membri UE hanno fatto sentire in nome della NATO rinata come Lazzaro dal suo “cadavere” (secondo Macron), il più assordante dei silenzi prima del febbraio del 2022. Questo significa che l’obiettivo dell’Europa non era cercare la pace ma accettare l’obiettivo americano dichiarato di indebolire la Russia. Per poi potersi meglio disporre su di un solo fronte alla guerra contro la Cina a partire da Taiwan. Sulla pelle dell’Europa. In Costa d’Avorio circola un antico proverbio: “Quando due elefanti si battono è l’erba la prima a soffrire”. Se l’Europa, con tutto l’entusiasmo guerriero espresso dai Nove dal Gruppo di Tallin nel suo seno (i Paesi limitrofi alla Russia) capitanati dalla Polonia, di cui si fa sinora eco esclusivo la Commissione europea di Ursula Von der Leyen nata Albrecht e di Josep Borrell Fontelles, il senso di questo proverbio non l’ha ancora capito, temo che lo dovrà constatare molto presto. E come Altiero Spinelli anche il Gen. de Gaulle starà domandandosi dal suo caveau di Colombey-Les-Deux-Eglises in che labirinto l’Europa si sia cacciata. Per comodità? Per inazione? Per astratto angelismo? Per superficialità? Per sudditanza, Ubi maior minor cessat? (dove è presente chi ha maggiore autorità, cessa [il potere di] chi è inferiore).

  La storia ci risponderà molto presto. Permettendoci perfettamente di individuare dove sta l’erba e dove stanno gli elefanti.

Carlo degli Abbati

Professore di Diritto dell’Unione europea al Dip. di Lingue e Culture moderne dell’Università degli Sudi di Genova

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