Quando ad emigrare sono i lussemburghesi. Terra d’accoglienza ricca di opportunità sin dal 1900, il bacino lussemburghese è stato per un millennio luogo di partenza e non meta d’arrivo. Il Paese ha infatti vissuto continue mutazioni territoriali secondo le appartenenze politiche. Le conseguenti fluttuazioni delle fortune economiche, come il raccolto agricolo, hanno spinto intere generazioni ad andarsene
Nel 12° secolo e di nuovo nel 18° molti lussemburghesi seguirono l’onda migratoria del Palatinato e della Svevia verso la Transilvania e il Banat, nell’attuale Romania. Questi spostamenti furono favoriti dai rispettivi principi germanofoni che avevano conquistato quei territori, per dare un’impronta culturale a loro più consona. Sussistono tracce di questi spostamenti di massa nelle tradizioni e nel dialetto ancestrale che si parla ancora, seppur sempre di meno, attorno a Sibiu, capitale della cultura europea nel 2007 assieme a… Lussemburgo. Dal 1841 al 1914 si stima a 72 000 (30% della popolazione) il numero di lussemburghesi emigrati, soprattutto dal Nord, cercando il loro “altrove” nei tre Paesi confinanti o nel nuovo mondo.
La Francia, con Parigi in primis, era la meta preferita di chi restava in Europa. Gli uomini, per lo più artigiani, partivano per perfezionare la propria arte (il tradizionale “Tour de France des compagnons”), mentre le donne prestavano servizio presso famiglie borghesi.
Le Americhe attiravano invece i più arditi. Mentre le avventure in Sudamerica, Brasile e Argentina in testa si sono saldate malamente col ritorno dei sopravvissuti malconci. Chi partì negli Usa trovò spesso miglior fortuna. Nella sola Chicago, attorno al 1900, vivevano 15 000 persone nate in Lussemburgo e alcuni villaggi del Corn Belt (area agricola del Midwest, letteralmente: cintura di mais, ndr) si chiamano Luxemburg. Qualcuno capisce ancora l’idioma dei suoi antenati; e si tramandano anche alcune feste tradizionali, a cavallo tra religione e boccali di birra.
Altra migrazione, seppur al quotidiano, era il fenomeno del lavoro transfrontaliero, che fino agli Anni ’50 si svolgeva al contrario rispetto al flusso attuale. Migliaia di Lussemburghesi lavoravano nella vicina Lorena e qualcuno si stabilì per sempre fra Thionville, Metz e Nancy.
Il benessere attuale crea una distorsione nella memoria collettiva lussemburghese, la quale ha rimosso povertà ed emigrazione che regnavano in queste lande fino a un secolo fa. E persino la ricchezza non riesce a frenare i moti migratori dei lussemburghesi: oggi oltre 20 000 cittadini granducali vivono più o meno stabilmente all’estero. C’è chi va lontano per amore, per studiare o lavorare, ma anche chi si ferma appena oltre frontiera per alloggiare a prezzi meno proibitivi. Rapportata alla popolazione italiana, la diaspora lussemburghese rappresenterebbe qualcosa come 3 milioni di abitanti. Tutti pensiamo che il saldo migratorio lussemburghese sia diventato positivo sin dall’esplosione dell’industria del ferro, mentre i numeri dicono che ciò sia avvenuto soltanto negli Anni ’50: chi l’avrebbe detto?
Remo Ceccarelli