Il regista di Treviso, ospite lunedì 18 ottobre a CinEast, il Festival del Film dell’Europa centrale e orientale, è stato uno studente Erasmus della Facoltà di Economia dell’Universitè du Luxembourg. Tra ricordi e riflessioni ci racconta la genesi di Brotherhood, la vita da italiano a Praga e cosa è cambiato per lui dopo il Pardo a Locarno.
In agosto ha vinto il Pardo d’Oro alla 74° edizione del Locarno Film Festival sezione Cineasti, con Brotherhood, coprodotto da Italia (con Rai Cinema e Nefertiti Film) e Repubblica Ceca (Nutprodukce). La telecamera di Montagner accompagna per 4 anni la vita di Jabir, Usama e Uzeir, tre giovani fratelli bosniaci nati in una famiglia di pastori che, cresciuti all’ombra del padre, un predicatore islamista severo e radicale, vengono improvvisamente lasciati soli quando l’uomo viene condannato a due anni di carcere per terrorismo.
Un film sulla fratellanza, l’adolescenza, i sogni e il destino. Cosa ti è rimasto nel cuore ?
Esperienze positive e negative vissute con i ragazzi protagonisti che mi hanno permesso di condividere una parte dell’adolescenza. Con loro ho condiviso 4 anni di vita. Ho imparato molto. Anche le loro battaglie, le loro difficoltà nel crescere in una comunità particolare come quella in cui sono cresciuti, con un padre così radicale. Ho continuato a riflettere quanto importante sia la famiglia, quanto il posto in cui nasci determini la persona che poi diventerai. Come la cultura di base influenzi l’essere adulto.
Il tema contemporaneo del radicalismo religioso è molto delicato e intimo. Quanto è stato importante scoprire cosa c’è dietro un fenomeno religioso che spesso ci incute paura?
Uno delle motivazioni che mi hanno spinto ad andare a cercare questa storia, a conoscere i ragazzi, è che io, da Veneto, cresciuto della campagna veneta degli Anni ’90, ho studiato con molti bosniaci che scappavano dalla guerra e non mi ero mai posto la domanda sulla differenza religiosa. Li avevo smpre visti come delle persone molto secolarizzate, quindi, quando scoprì nel 2015 che esistevano delle comunità radicali in Bosnia, la cosa mi colpì molto. Non capivo perchè queste comunità esistessero e dove nascesse questo fenomeno.
Feci degli studi e capii che aveva radici nella guerra di Bosnia degli Anni ‘90 e, quindi, mi posi un’altra domanda : cosa succede ai figli di questi radicali nati in Bosnia che rappresentano una nuova generazione ci cittadini europei. Perchè la maggior parte di loro per difficoltà, emigra in Europa e spesso vengono accolti in Germania, Austria, ecc. La cosa mi ha molto incuriosito e ho cercato, attraverso una storia familiare, di trovare le risposte.
Da Treviso a Praga. Come mai questa scelta?
Dopo la mia esperienza da studente Erasmus in Lussemburgo, che ho fatto nel 2010-11 studiando economia, la mia passione per il cinema è cresciuta e, volendo studiare all’estero, ho trovato la FAMU, la scuola di cinema di Praga ottima, riconosciuta a livello internazionale come una delle prime cinque al mondo. Quindi ho fatto le valige e ho deciso di studiare lì. E’ stata una scelta legata alla scuola. Dopo la prima esperienza in Lussemburgo mi è sempre interessato l’ambito internazionale e, avevo la volontà di imparare piu’ lingue. Ho imparato il ceco per studiare in ceco. Ho scelto Praga anche per conoscere l’est Europa, abbastanza sconosciuto per chi, come noi, vive nell’Europa occidentale. Quindi, è stata sia una decisione legata sia alla carriera accademica e professionale nel cinema sia legata alla mia curiosità verso il mondo slavo. Che mi ha aperto tante possibilità e mi ha permesso di fare anche un film in Bosnia. Conoscendo il ceco, ho scoperto anche il serbo croato, una lingua abbastanza affine. Impararlo mi ha permesso di capire meglio la loro cultura e la loro lingua.
Come vive un italiano espatriato nella capitale della Rep. Ceca?
Ci sono molti italiani. Praga è una citta internazionale e si vive bene, anche se si ha qualche difficoltà a connettersi e intergrarsi con la cultura locale. A livello professionale si vive bene. Conosco italiani che lavorano in ambito accademico come me, che dopo aver studiato alla FAMU, ora ci insegno. Ed è un Paese con i suoi pro e contro. La Repubblica Ceca è uno Stato in grande sviluppo che offre tante opportunità e dove ai giovani viene dato moltissimo spazio. Non come in Italia. Il mio percorso è simile a tutta la diaspora italiana che cerca all’estero opportunità che non ci vengono date cosi facilmente nel nostro Paese, dove ci sentiamo sempre un po’ bloccati e a parità di età i nostri colleghi italiani hanno sempre meno di metà delle nostre esperienze lavorative e hanno avuto meno opportu nità, se ne hanno avute.
Come vedi, dall’estero, il mondo del cinema in Italia?
Da un lato attivo e vivo, con tanti autori giovani che stanno emergendo e tante buone idee, ma anche un po’ chiuso e limitato perchè va ad esplorare tematiche molto italiane e spesso poco universali, non interessandosi oltre i confini italiani. Non dico di temi internazionali ma quanto meno europei e, quindi, rispetto al cinema europeo è un po’ chiuso. Nonostante tutto esprime grande qualità ed è un cinema che mi piace. Nel documentario – rispetto ad altri Paesi come ad es. la Repubblica Ceca – pecca ancora di provincialismo.
Dopo il Pardo a Locarno, cosa è cambiato nella tua professione?
Tutto e niente mi verrebbe da dire….. Io continuo per la mia strada, cercando nove idee per un nuovo progetto e sempre con la volonta di fare meglio. Il Pardo è un grande riconoscimento di cui sono orgoglioso e che spero mi aiuti nella ricerca di progetti e finanziamenti futuri in un lavoro che non è mai semplice. Chiaramente mi aiuta per affermarmi come un autore di documentari a livello europeo e ricevere una certa attenzione per i progetti futuri. Anche questa opportunità molto bella di tornare in Lussemburgo, dove ho vissuto anche solo per 6 mesi e che ricordo con molto affetto. Perchè sono stati 6 mesi di Erasmus molto belli e la mia prima esperienza europea. Sono contento di tornare a CinEast e ritrovare gli amici di allora.
Paola Cairo