E’ stato un countdown durato un anno che sembrava non dovesse terminare mai.
E invece, l’attesa infinita per un evento, Euro2020, che era già “nuovo” nella sua concezione di condivisione organizzativa, con ben 11 città ospitanti, Roma, Amsterdam, Baku, Bucarest, Budapest, Copenaghen, Glasgow, Londra, Monaco, Siviglia e S. Pietroburgo, si è finalmente interrotta con la cerimonia d’apertura e il calcio d’inizio della prima partita in calendario a Roma venerdì 11 giugno, Italia-Turchia.
L’aspettavamo da tanto tempo e per tanto tempo abbiamo avuto il timore che potesse essere ancora soltanto un sogno (im)possibile. Abbiamo avuto paura di non poterci essere, perché un anno, come il 2020, può stravolgerti la vita e indirizzarti altrove. Negli ultimi mesi, poi, quando un filo di luce si cominciava a vedere all’orizzonte ci siamo aggrappati ai numeri dell’epidemia e a quelli ipotetici e possibili dentro lo stadio.
L’emozione venerdì era tanta: tra gli addetti ai lavori, tra i 935 volontari come me, ma anche tra i fortunati 16.000 tifosi che hanno “gremito” – si fa per dire – le poltroncine dell’Olimpico. Sembravamo un po’ tutti in gita scolastica, per festeggiare il termine della scuola, quando dimentichi compiti in classe e interrogazioni che potrebbero far saltare l’anno, e ti lasci trasportare da una sana euforia rigenerante.
“Allora, forse, si può fare!” – sembravano dire, ancora quasi increduli, i tanti che incontravano i nostri sguardi. Si può passeggiare insieme, tifosi italiani e tifosi turchi, tra le strade rese pedonali dall’organizzazione, quasi perfetta, dell’evento. Si può cantare a squarciagola – la mascherina non frena il suono! – e si può accedere allo stadio facendo una fila, non sempre ordinata ma rispettosa delle indicazioni.
Sembravamo tutti un po’ dentro una bolla di felicità: sorrisi, pugnetti, fotografie, selfie tra tifosi. Quasi un universo parallelo che, improvvisamente, è riuscito a cancellare le privazioni, le sofferenze, le tante solitudini che da marzo 2020 ci portiamo dentro e fuori di noi. E nonostante l’ebbrezza da “siamo fuori dal tunnel”, ogni tanto affiorava anche la paura che tutto questo ci potrà essere di nuovo portato via. Ma era solo un attimo… poi si tornava ad esultare.
Abbiamo visto bambini e genitori, fidanzati e giovani coppie, papà e mamme anziani insieme ai loro figli, turchi e italiani fianco a fianco, immagini di vita che pensavamo di dover ricercare solo nel cassetto della nostra memoria e di aver perduto per sempre.
Non era il tifo, non era Italia-Turchia, era ed è la vita che rinasce, la sensazione bellissima di riappropriazione dei sentimenti umani, di condivisione, di libertà.
Il colpo d’occhio dell’Olimpico è stato un tuffo al cuore. Sembrava strapieno eppure era al 25% della capienza. Chi c’era voleva far sentire la sua presenza e c’è riuscito benissimo: cori, bandiere, applausi, inno nazionale, ola.
La vittoria dell’Italia, meritatissima, è stata una bella soddisfazione ma non la principale. Con la ripartenza di Euro2020 abbiamo vinto tutti, anche i non tifosi che, per mesi, hanno criticato la scelta di farlo disputare. Oggi eravamo qui anche per voi, per un futuro che sia come stasera, senza paure e divisioni ma insieme, da compagni di squadra e da avversari, rispettosi di tutti e di ciascuno e del verdetto finale del campo.
Gilda Luzzi