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Sono passati circa 14 mesi dall’inizio di un incubo globale battezzato con un codice e due cifre. Prima i mesi dello sgomento, poi quelli della chiusura totale, poi è stato il tempo dell’illusione e dopo ancora della seconda ondata. Si è poi giunti alla speranza: il vaccino. Per qualcosa che (prima o poi, si spera!) finisce, c’è qualcosa che comincia. Che ci fa sperare, che ci aiuta a ricominciare. Dal danno alla soluzione. In questi 14 mesi tutti a domandarsi: quando finirà? quando passerà? Arrivato il vaccino, di nuovo tutti a domandarsi: quando avremo dosi per tutti? quando avremo l’immunità di gregge? Ora che siamo in piena fase vaccinale ecco di nuovo le domande insistenti e trafelate: quando potremo viaggiare senza tampone? quando potremo togliere la mascherina? Domande, tutte, che tradiscono l’impazienza e che spesso, non raccogliendo (ovviamente) risposte precise e definitive, collocano gli addetti ai lavori sulla gogna.

Perché questo virus, più ancora che ammalarci, ha mostrato il male che già avevamo coltivato in un contesto sociale e culturale viziato. Viziato dal benessere e dalla libertà. A cui eravamo talmente abituati da crederlo scontato. Ora, che ci avviciniamo all’estate e virologi vari ci invitano alla prudenza, molti di noi scalpitano, sbuffano, come bambini stufi di stare in castigo. E tornano a chiedere: perché devo tenere la mascherina se mi sono vaccinato? perché sono ancora contagioso anche dopo la seconda dose? E non capiamo che siamo come un fragile malato convalescente. Dopo la bronchite non stiamo attenti ai colpi d’aria? dopo un’operazione non stiamo attenti a non far saltare i punti di sutura? dopo una frattura non dobbiamo fare la riabilitazione dal fisioterapista? Ecco, forse dovremmo cominciare a pensare di essere tutti “un grande malato in convalescenza”. Che ha avuto la fortuna di non morire, che guarirà, che avrà imparato a proteggersi e che, con i tempi della soluzione riparerà il danno. E che probabilmente non avrà più la stessa vita di prima…già… Partendo forse da questa consapevolezza potremo accettare più di buon grado ancora un po’ di attesa, raggiungendo il cosiddetto giro di boa.

Altra metafora tanto usata nelle recenti settimane, ma che ci riporta anche al mare, a quel mare che vi mostriamo in copertina, che ci conduce con la mente nella nostra estate italiana ed è il protagonista di uno dei tanti articoli che ci auguriamo possiate apprezzare. Quel mare immenso come la speranza che dobbiamo coltivare. Convinti che combattere l’impazienza dipende solo da noi. Per quella non esiste vaccino!

Espoir et patience doivent nous accompagner pour enfin parvenir à vaincre ce virus qui a bouleversé nos vies. Patience, dans l’espoir de jours meilleurs. Tous ensemble, nous y arriverons. Bonne lecture !

Maria Grazia Galati e Paola Cairo

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