Ieri i giornali francesi hanno riportato la notizia dell’uccisione di un uomo, Samuel Paty, insegnante di 47 anni, barbaramente ucciso a Conflans-Sainte-Honorine, sobborgo  di Parigi, presumibilmente per mano di un terrorista. Abbiamo chiesto una riflessione a caldo a Giuseppe Cavaleri, professore di Lettere moderne e cinema e ricercatore associato  all’Università Paris-Nanterre.

 

scuola 2

Noi siamo Samuel

Francia, sabato 17 ottobre 2020. Stamani, ho letto i quotidiani e rimango, tutt’ora, basito. Guardo questa data e rifletto…  Mi dico che ci ritroviamo in un’era dove la moderna tecnologia è ormai capace di far transitare attraverso il web, e non solo, una miriade di dati, d’informazioni, di teorie che potenzialmente possono essere capaci di aprire i nostri orizzonti sul mondo che ci circonda.

Malgrado io sia cosciente di tutto ciò, sento uno strano amaro in bocca: si tratta del retrogusto di un’epoca che sa di Medio Evo, di un’epoca dove i dogmi tendono a triturare la libertà d’espressione e di pensiero, di un’epoca dove un professore può essere sacrificato sull’altare della violenza e dell’ignoranza. E allora riaffiorano in me tante, troppe domane, anche se quella più pressante è la seguente: cosa passa per la mente di un ragazzo che decide di commettere un atto che mi lascia senza parole? 

L’unica cosa che posso fare, è tentare di capire la situazione. Partiamo dal principio che in Francia, la libertà d’espressione, è sacra. Su questo principio, dei giornalisti come Georges Bernier e François Cavanna, fondano poco dopo le rivolte studentesche del 1969, il giornale laico e satirico chiamato Charlie Hebdo. La linea editoriale di questo settimanale è sempre stata chiara: fare satira a tappeto, denunciando tutte le devianze dogmatiche di gruppi minoritari già presenti nel Paese in quel periodo. In effetti, durante gli anni 1970, anni dove l’effervescenza del boom comincia a sparire, dei fondamentalisti religiosi cattolici e dei politicanti di estrema destra guidati da un certo Lepen, tendono a vomitare pubblicamente dei discorsi basati sull’odio del diverso. Niente di nuovo mi direte. In effetti, niente di nuovo. L’unica novità è dovuta dalla copertura mediatica di quei messaggi che si diffondono su scala nazionale. Ma la storia ci insegna che anche i gruppi peggiori tendono a sparire, e il vuoto creato dalla loro assenza è colmato da altri. Durante gli anni novanta, in effetti, Charlie Hebdo comincia a dedicarsi ai dogmi di un’altra religione oramai diffusa nel paese: quella musulmana. La satira è la stessa, la libertà di pensiero rimane immutata. I giornalisti di Charlie non attaccano gratuitamente i credenti, ne il credo, ma solo i creduloni di un ramo estremista di questa religione monoteista che, come le altre, propone maggioritariamente messaggi di pace.

Samuel Paty, professore di storia e geografia, questa storia la conosce bene. Il suo ruolo è quello di ricontestualizzare e rendere accessibile il messaggio di libertà diffuso da un gruppo di giornalisti che hanno sacrificato la loro vita sull’altare della libertà di parola. Il professor Paty sa bene che il Paese in cui vive non può piegarsi alla barbarie dogmatica imposta da pochi, poco importa se essa sia religiosa o politica. Ma Samuel sa bene che certi discorsi possono urtare le sensibilità di alunni che vivono in quartieri dove la ghettizzazione avvelena gli animi, e da buon professore, invita gli alunni che non se la sentono di seguire le sue lezioni, a svolgere, temporaneamente, altre attività. Perché un buon professore, sa adattarsi ai suoi alunni, e sa, da professionista, come differenziare positivamente i contenuti delle sue lezioni.

Ma gli animi, in queste ultime settimane, si sono scaldati. Le poche notizie per ora diffuse parlano di una campagna mediatica effettuata da un gruppo di genitori che hanno giudicato inadatti gli insegnamenti di un professore che faceva solo il suo lavoro. Prendendo esempio dai meri opportunisti e da politicanti da strapazzo che esprimono messaggi di odio sui media ufficiali, i genitori radicalizzati di alcuni alunni hanno deciso di mettere in atto una mattanza mediatica sui social network. Il professor Paty era a conoscenza di queste minacce, ne aveva parlato con i suoi superiori, ma nulla è stato fatto.

Scegliere di lavorare in una scuola difficile, a 47 anni, non è un caso, è una scelta. Il professor Samuel Paty, che non conosco, ma che capisco, aveva molto probabilmente deciso, spinto da idee democratiche e repubblicane, di aiutare, con i suoi insegnamenti, dei ragazzi di origine straniera che non hanno accesso alla cultura. Voleva, sicuramente, proporre un’alternativa ai messaggi di odio dispensati da opinionisti e da pseudo-credenti. Alcuni alunni avranno, grazie a lui, aperto gli occhi  su un mondo che è molto più complesso di quanto i dogmi vogliano farci credere. Altri, hanno deciso di togliergli la vita.

I suoi assassini non hanno capito nulla. Non hanno capito che Samuel Paty era uno dei soli rappresentanti delle istituzioni capace di aiutarli concretamente. Non hanno capito che i veri nemici da debellare sono l’ignoranza, l’opportunismo e l’oscurantismo. Non hanno capito che anche se si uccide un uomo, un’idea libera non muore mai.

G.C.

 

 

 

 

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