Tre domande al professor Alfredo Luzi, protagonista degli eventi in Lussemburgo che si terranno martedì 12 e mercoledì 13 novembre per celebrare i 200 anni de L’infinito, una delle poesie più famose della letteratura italiana e tra le più amate del repertorio del poeta e scrittore recanatese: Giacomo Leopardi.
Lei che, pur con una carriera dai risvolti decisamente internazionali, vive ed opera nella regione che ha visto nascere ed evolvere Giacomo Leopardi oltre due secoli fa, può dirci quale significato può assumere oggi questo bicentenario leopardiano che travalica ormai anche le frontiere?
Gli anni 1819-1820 costituiscono per Leopardi un periodo in cui l’esperienza vissuta dal giovane conte assume la funzione di terreno fertile d’ispirazione poetica, trasformando la sofferenza fisica della malattia agli occhi e quella psicologica successiva alla mancata fuga da Recanati in occasioni di riflessione sulla presenza del dolore e della morte nell’esistenza e sul valore dell’immaginario e dei sentimenti umani. Sono questi due anni un tempo di fitta attività di scrittura. Leopardi compone L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, La vita solitaria, Il sogno, Lo spavento notturno. E questa è una traccia della grandezza di un poeta che riesce a sublimare gli eventi della sua biografia in temi che attengono all’umanità intera. Sul piano critico può risultare un fatto straordinario che un poeta che vive isolato nella remota provincia pontificia delle Marche sia riuscito a toccare temi e stilemi fondamentali della cultura del tempo.
Ma se consultiamo diacronicamente lo Zibaldone, ci possiamo rendere conto della evoluzione concettuale e poetica di Leopardi, grazie al brodo di cultura letteraria, filosofica, scientifica, artistica, che fermentava nella regione. Le Marche, nonostante l’arretratezza economica ed industriale, non erano prive di una dinamica intensa sul piano culturale, magari rallentata dalle difficoltà di comunicazione ma recuperata, soprattutto in Leopardi, dalla partecipazione diretta, o mediata dai libri, alla attività artistica che andava sviluppandosi in Italia in quegli anni. Si pensi al rapporto, in ambito scientifico, tra Leopardi e Puccinotti e all’amore di Giacomo per la musica, i cui maggior interpreti (Pergolesi, Rossini, Spontini) allora erano legati alle Marche.
Come spiega l’interesse mediatico, addirittura “virale” in certi casi (e che supera di gran lunga il rituale approccio fornito dai programmi scolastici), suscitato da una personalità poetica apparentemente così schiva e il cui pensiero non sembra comunque prestarsi a facili banalizzazioni?
Nel mondo contemporaneo caratterizzato dalla comunicazione globale e dalla connessione continua si è avverata, in prospettiva negativa, la profezia di Mc Luhan “Il medium è il messaggio”. Lo stesso lemma “virale” ha perso la sua significanza primaria derivante dal linguaggio medico e dal settore della malattia ed ha assunto una dimensione valoriale. In effetti l’interesse mediatico che si limita alla informazione senza una successiva attività critica, un approfondimento dei contenuti, rischia di banalizzare la figura e l’opera di Leopardi, riducendo l’incidenza culturale del poeta recanatese ad un fenomeno di moda di cui si parla ma di cui non si ha conoscenza. Ma forse possiamo sforzarci di vedere il fenomeno in un contesto positivo. Come ci ha insegnato Benjamin, l’accesso delle masse all’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ha favorito la democratizzazione della cultura, anche se ha fatto perdere all’arte la sua “aura”. Oggi noi viviamo in una semiosfera segnata dalla sinergia tra varie forme comunicative. Rispetto a decenni passati, quando la poesia di Leopardi rimaneva comunque confinata nel processo di acculturazione scolastica italiana, oggi si determina una osmosi tra linguaggi diversi. Da una parte un film di successo come Il giovane favoloso trae lo spunto dalla biografia leopardiana e sollecita negli spettatori un interesse per Leopardi.
Dall’altra la recente mostra del grande fotografo marchigiano Mario Giacomelli Giacomo Leopardi: L’Infinito, A Silvia sollecita nel contempo riflessioni sul rapporto immagine-parola e conoscenza sulla interpretazione leopardiana dell’artista senigalliese, invitando magari il pubblico colto a rileggere le composizioni di Giacomo.
D’altronde dobbiamo anche considerare il fatto che le opere di Leopardi sono state spesso motivo di ispirazione per altre forme d’arte. Ad esempio, nella musica che potremmo definire “colta” troviamo opere come A Giacomo Leopardi di Mascagni, L’Infinito di Nono, Coro di morti di Petrassi; nella musica “leggera” Roberto Vecchioni pubblica nel 2018 la canzone L’Infinito dedicata a Leopardi che è a Napoli nel 1836, un anno prima della morte.
Potrebbe riassumere in quattro espressioni chiave l’attualità di Giacomo Leopardi per il nostro tempo e il messaggio che il poeta può ancora trasmettere alle nuove generazioni?
La ragione è inutile senza la forza dell’immaginario (L’infinito). Esaltazione della teoria delle emozioni e dei sentimenti (lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno). Difesa della funzione consolatoria della poesia presso il lettore attraverso la testimonianza della propria sofferenza (O come grato occorre… il rimembrar delle passate cose ancor che triste e che l’affanno duri). Trasformazione del pessimismo soggettivo e storico in utopia libertaria (gli uomini confederati).
Maria Luisa Caldognetto
Il professor Luzi è stato ospite di Voices, su Radio Ara nel 2014. Per riascoltare la puntata, cliccate QUI/ICI