La Granduchessa Maria Teresa del Lussemburgo è stata l’ispiratrice e l’anima del Forum internazionale «Stand Speak Rise Up!» che si è svolto il 26 e il 27 marzo nel Granducato presso lo European Convention Center della capitale.
Da sempre coinvolta in azioni umanitarie la Granduchessa ha voluto riunire 3 Premi Nobel, vari parlamentari europei, esperti provenienti da tutto il mondo per cercare, come ha dichiarato, “di dare voce a coloro che non sono ascoltati” e sensibilizzare sulle violenze che molte persone e donne in particolare subiscono durante le guerre. In particolare violenze sessuali. Forse per la prima volta lei ha dato la parola alle vittime, le sopravvissute, che ci hanno raccontato cosa è loro successo in varie parti del mondo. Ma ha voluto anche trovare soluzioni ed aiuti internazionali per cercare almeno di alleviare questa tragedia. Tragedia che tocca principalmente le donne ma anche uomini.
I partner del Forum, oltre alla Fondazione del Granduca e della Granduchessa di Lussemburgo sono stati la Fondazione della Repubblica democratica del Congo del dr. Denis Mukwege, la Fondazione francese We Are Not Weapons of War (WWOW), con il supporto del Governo del Lussemburgo ed in collaborazione con WOMEN’S FORUM for the Economy & Society.
89 gli speaker che si sono alternati nella grande sala centrale o nei workshop sempre affollatissimi e con interventi di altissimo livello. Inoltre, c’è stata la proiezione del film “Zero impunity”, documentario che unisce al giornalismo investigativo l’appello urgente all’azione e che dà finalmente voce alle vittime; e è stato organizzato l’atelier “Guarire con la danza”, dedicato ai sopravvissuti che hanno l’occasione di sperimentare alcune tecniche di danza per guarire il corpo, lo spirito e l’anima.
Al di là della cronaca, quello che ha molto colpito il pubblico è stato l’intervento del Prof. Denis Mukwege, “colui che ripara le donne” diventato uno degli specialisti mondiali del trattamento delle mutilazioni genitali. Dal 1999 ha curato più di 40.000 pazienti nel suo ospedale a Bukawu nella Repubblica democratica del Congo, nel cuore dell’Africa. Premio Nobel nel 2018 ha spiegato chiaramente che gli autori delle violenze non solo sono quelli che le compiono ma anche coloro che scelgono di distogliere lo sguardo. I massacri, la tortura, l’essere violentati, l’insicurezza diffusa e la mancanza di educazione creano una spirale di violenza senza precedenti. Il bilancio umano di questo caos perverso e organizzato è stato, solo in Congo, di centinaia di migliaia di donne violentate, più di 4 milioni di persone spostate all’interno del Paese e 6 milioni di morti.
Insieme a lui il Premio Nobel 2018, Nadia Murad, che ha creato una Fondazione “Nadia’s iniziative” dedicata a chi come lei ha subito violenze nel corpo e nell’anima. Nadia, nata nel 1993, irachena e yazita è stata rapita dall’Isis nel 2014. Dal 2016 è la prima Ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani. Terribile il suo racconto sulle donne schiave dell’Isis.
Il terzo Premio Nobel (nel 2006) è stato Muhammad Yunus che ha creato la Banca Grameen, la prima Banca a prestare denaro ai chi denaro non ha. Il papà del microcredito in Bangladesh con la sua idea è riuscito a far rifiorire l’economia del Paese grazie alle donne che hanno avuto la possibilità finanziaria di svolgere attività utili all’intera famiglia. Questa indipendenza femminile ha di fatto modificato anche i rapporti sociali tra uomini e donne e molte violenze domestiche sono diminuite.
Come ha ricordato anche Cristine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, le donne hanno bisogno anche di una sicurezza economica che le fortifichi anche nei rapporti sociali e le aiuti a non subire violenze e soprusi.
Le violenze contro le donne sono di natura diversa, non solo quelle etniche perpetrate durante le guerre (ricordate il film La Ciociara?) come in Bosnia o in Kosovo, ma anche quelle domestiche.
Certamente le donne migranti sono attualmente tra le più esposte non solo nei campi lager della Libia ma anche in Turchia o spesso purtroppo nei campi di accoglienza in Europa. Racconti terribili di sopravvissute per poco scampate alla morte. A queste violenze sono spesso sottoposti anche i migranti di sesso maschile che, secondo molti esperti intervenuti, hanno molta difficoltà ad uscire allo scoperto a causa del senso di colpa che non riesce ad abbandonarli.
Roberta Alberotanza
La foto di copertina è di CGD/Sophie Margue