Nella cappella raccolta e sobria un pugno di persone muovono braccia che sono ali e i loro piedi si sfiorano in una danza che è pensiero e preghiera. Le mura della stanza sono narici tappate. Il profumo di salsicce arrosto soffia a pochi metri, ma lì dentro non si sente. Lo gustano adulti e ragazzini dal buon appetito. Che migrano con il loro piatto verso la grande sala.
E lì c’è il tutto. Quel grande salone con tavolo apparecchiato, un grande palco e bancarelle si apre famelico e spera di ingoiare generosità. Generosità che sgorga come latte di luna. Quella luna che qui mostra l’altra faccia di una città che nel primo weekend di luglio ha voluto smentire stereotipi malsani. Perché la Lussemburgo di banche ed evasioni fiscali per fortuna ogni tanto gira su un’altra giostra. E su questa giostra noi c’eravamo.
Volontari instancabili fra tombole e servizio al tavolo, mercatino delle pulci e sculture di palloncini. Tutti a fare il proprio mestiere o a inventarsene uno. Sorridendo a quel denaro che, come per miracolo (perché l’amore è in ogni istante miracolo), sarà vita per bambini senza nulla se non la speranza che forse, grazie a tutti noi, a tutti voi, avranno una scuola per studiare o un vaccino per salvarsi. È questa la festa annuale delle Missionarie Père Kolbe, che ha riunito quella gente discreta e buona. Sempre. Capace di celebrare la magia di un’ azione modesta in salvezza degli ultimi.
Azione che è stata a volte preghiera, a volte canto, gioco, commozione, movimento. Come il movimento di quelle braccia che incidevano nei nostri cuori il senso della danza ebraica. O il movimento di un giovane uomo che trasformava palloncini in fiori. Ed ancora quelle mani che pescavano biglie di numeri e sfornavano lasagne caserecce. Mani giunte per pregare. A occhi chiusi. Per immaginare un mondo che possiamo pensare migliore. E che può cominciare anche con questa festa.
Maria Grazia Galati
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