Antigone a Scampia è un libro scritto dalla musicologa, giornalista e scrittrice di racconti partenopea Serena Gaudino. Se accostare Antigone a Scampia potrà sembrarvi un ossimoro allora vi state sbagliando di grosso. Quello della Gaudino non è un libro scontato, ma è frutto di un’esperienza di lavoro in uno dei quartieri più degradati di Napoli, ben noto alle cronache per faide camorristiche e spaccio di droga. La tragedia sofoclea di Antigone traslata a Scampia si veste di modernità.
Per saperne di più, l’ANPI di Lussemburgo ha organizzato un incontro con Serena Gaudino il 28 giugno alle 19, presso la sede di Culturando (evento gratuito). In questa occasione, la Gaudino non solo racconterà la storia del suo libro ma darà vita anche ad una performance teatrale.
PassaParola ha intervistato l’autrice.
Come nasce l’idea di parlare di Antigone alle donne di Scampia e perché?
Per diversi anni ho lavorato a Scampia come cultural project manager per alcune associazioni del quartiere. Frequentando il posto, la gente, provando a capire i loro bisogni e analizzare il loro modo di vivere la società ho provato a elaborare e proporre attività che potessero interessarle o meglio che riuscissero a smuovere le loro coscienze. Ma soprattutto a far capire loro il tipo di vita che facevano, la condizione in cui vivevano. Così ho pensato al progetto che aveva Simone Weil: negli anni Trenta lei era convinta che per alzare il livello culturale delle persone bisognava far sì che queste capissero che vita vivevano. E come farlo? Leggendo loro i classici latini e greci, perché questa letteratura era la sola in grado di far crescere le persone, comprese le loro coscienze.
Così ho provato a riprendere il progetto della Weil e a riproporlo a Scampia, alle donne di Scampia. A quelle donne che combattevano ogni giorno per i loro diritti e per quelli dei loro famigliari, in un clima di degrado, abbandono e ignoranza.
E’ stato complicato far partecipare le donne di Scampia a questa iniziativa?
All’inizio sì. Poi man mano e grazie anche alle associazioni con cui lavoravo le donne da cinque sono diventate dieci e poi venti. Fino a cinquanta, il numero massimo raggiunto. Alla fine si sono appassionate perché venendo ai miei incontri si sentivano finalmente coinvolte in qualcosa che riguardava solo loro, che faceva loro bene, che le aiutava a capire la loro condizione di vita. Grazie soprattutto ai momenti di condivisione, di lettura ad alta voce e di scambio di esperienze.
Quali sono state le prime impressioni delle ascoltatrici?
Il racconto aveva fatto molto presa su di loro. Per un anno intero si sono succeduti gli incontri una volta al mese e nel corso di questi leggevamo un brano, ne discutevamo, lo rileggevamo, a volte lo mettevamo anche in scena. Ci sono stati momenti molto belli: finalmente, mi dissero a un certo punto, alla fine del racconto, che avevano capito fino in fondo il significato del termine tragedia. E che forse la loro vita si avvicinava proprio a una tragedia. E alla fine hanno cominciato a raccontare le loro storie. Storie che io ho raccolto e ho ricucito insieme al racconto completamente riscritto del mito di Antigone.
Ha in mente altri progetti simili da poter realizzare in altre periferie napoletane?
Ho provato subito dopo a proporre l’Elettra. Ma il panorama era cambiato. Le stesse donne erano già cresciute e meno appassionate, altre erano troppo colte per aprirsi alla nuova tragedia come avevano fatto quelle del primo gruppo. Abbiamo finito il percorso sì ma la preziosità nata con il progetto sull’Antigone non c’è più stata. Va bene così però, evidentemente il progetto ha avuto una buona ricaduta e una vita molto intensa grazie anche al libro che ho pubblicato, lo spettacolo che il regista Giancarlo Gentilucci sta portando in giro e la performance che io stessa propongo.
Amelia Conte