Quando la popolazione civile in Europa, e più in generale nel mondo, viene colpita da attentati che strappano alla vita e a quella loro famiglie degli anonimi cittadini non solo europei, si rinnovano le condoglianze, i propositi di una migliore coordinazione dei corpi di polizia e di intelligence, ma non si vede mai traccia di una risposta organica, politica, diplomatica, mediatica da parte dei paesi occidentali attaccati dal nuovo terrorismo islamista.
Anzi, si resta interdetti della totale contraddizione fra gli obiettivi dichiarati della politica interna e quella della politica internazionale degli stati occidentali. Da ultimo, disfacendo fin dal suo arrivo la politica di Barack Obama in Medio Oriente, fornendo all’Arabia saudita 380 miliardi di contratti tra cui 110 miliardi di dollari di nuove armi, dichiarando l’Iran come nuovo stato canaglia della politica americana, il nuovo presidente Donald Trump si è rapidamente trasformato nel nuovo pompiere incendiario della regione e forse del mondo.
Sensibile solo ai contratti economici con l’Arabia saudita e ai condizionamenti della politica isrealiana per la quale il limes conosciuto si ferma agli hebzbollah sciiti libanesi e alle forze iraniane a sostegno del presidente siriano Bachar al–Assad, il presidente Trump si assume la responsabilità di incoraggiare politicamente nei fatti il terrorismo internazionale, mentre gli Stati Uniti sono militarmente impegnati contro lo Stato islamico in Siria e in Iraq, ma partecipano anche alle missioni di bombardamento sul più disgraziato paese della regione, lo Yemen, vittima della percezione di accerchiamento del regno saudita dopo la destabilizzazione della regione provocata dalle guerre americane d’Iraq e dal passaggio di questo importante paese confinante alla maggioritaria popolazione sciita.
Il nuovo establishment trumpiano sembra sordo e cieco alla evoluzione positiva della società civile iraniana, chiaramente dimostrata dalle ultime elezioni che hanno rinforzato il campo moderato rappresentato da Rohani contro lo schieramento fondamentalista dei religiosi. Insensibile al fatto latente che il terreno di coltura dell’estremismo è proprio l’interpretazione radicale dell’islamismo sunnita diffuso nel mondo dalla Arabia Saudita e l’appoggio internazionale alla azione politica dei Fratelli musulmani sunniti da parte del Qatar – sponsor del Paris Saint Germain…- e della attuale Turchia di Erdogan.
Ora indicare l’Iran e il mondo sciita come sponsor esclusivo del terrorismo internazionale significa non volere volutamente vedere la realtà politica del terrorismo. Vietare l’ingresso al territorio americano ai cittadini di certi paesi musulmani, ma ovviamente omettere il bando per i cittadini sauditi, non lanciare una vera guerra al finanziamento dei gruppi terroristici, forse per non dover rivelare l’origine dei finanziamenti fra i Paesi alleati del Golfo, significa aver perso in partenza la guerra al terrismo, favorendo obiettivamente la moltiplicazione degli attentati.
In Medio Oriente una guerra di influenza regionale fra Arabia Saudita e Iran è in corso, provocata dalla destabilizzazione del Medio Oriente indotta prima dalla guerra irano-irachena e poi dalla due guerre americane all’Iraq, nel 1991 e nel 2003. L’abbandono della ragionata politica di Obama, che cercava di recuparare l’Iran al campo occidentale consentendo gli accordi sul nucleare, l’adesione unilaterale al campo saudita nell’ambito di una guerra civile in corso nel mondo sunnita che porta alla violenza terrorirstica, significa provocare un terreno politico favorevole al moltiplicarsi degli attentati anche in Europa, e a favorire la destabilizzazione in corso dell’Africa subsahariana da cui arrivano sulle sponde del Mediterraneo gli eserciti di disperati. Disperati in fuga da stati sempre più destabilizzati anche dalla predicazione degli agenti religiosi diffusi nel mondo musulmano dal nuovo COMINTERN saudita rappresentato dalla Università di Medina e dalla diffusione mondiale della ideologia wahhabita.
Tutto ciò che il nuovo establishment americano si rifiuta di vedere, esprimendo il vero obiettivo geopolitico trumpiano con le ultime parole pronunziate da Trump durante la recente visita ufficiale in Arabia Saudita « Jobs, Jobs, Jobs »….
Carlo degli Abbati, docente di relazioni internazionali all’Università di Genova