Benché la cronaca degli ultimi anni non cessi di proporci l’immagine di un Islam monolitico e intransigente, un osservatore più attento non potrà non stupirsi di quanti tipi di Islam esistono in realtà e proprio alle porte dell’Europa, in quel Paese che ormai da 50 anni aspetta di entrare a far parte dell’Unione europea, la Turchia. Metti i dervisci rotanti, cantati da Battiato negli Anni ‘80. Sembrano un gruppo folkloristico.
Non c’è pubblicità che non li rappresenti volteggiare leggiadri come gabbiani, quasi volessero ascendere al cielo sui loro candidi gonnelloni. In realtà i sufi, la setta cui appartengono i dervisci, sono i seguaci di una delle discipline mistiche più rigorose apparse nel panorama delle scuole islamiche. La mortificazione della carne, la ricerca della trascendenza, della fusione con l’ente divino, la vita conventuale che li caratterizzano potrebbero farne dei seguaci del santo cristiano che ha incarnato gli stessi valori, quel San Francesco di cui sono peraltro contemporanei. Eppure non è certo per le loro virtù quanto per il loro appeal pubblicitario, cioè la capacità di incuriosire e di attirare turisti, che si sono salvati dalla furia laicista che negli Anni ‘20 mise fuori legge tutto quanto in Turchia ricordava l’Islam o meglio un certo Islam, additato come freno allo sviluppo economico e sociale, se non addirittura come responsabile della sconfitta subita dallo Stato nella Prima guerra mondiale.
Di tutto ciò e di molto altro narra il bel libro di Alberto Fabio Ambrosio, con la stessa leggiadria e lo stesso volteggiare tra date, eventi e personaggi assolutamente ignoti al lettore italiano, in una lunga carrellata storica che inizia col tramonto dell’Impero ottomano e arriva ai giorni nostri con il partito islamista del presidente Erdoğan al potere da oltre 15 anni grazie alla leggenda dell’Islam moderato inventato dagli europei. Apprendiamo così che i sufi sono solo la punta dell’iceberg di un vasto e ramificato tessuto religioso che sottende come una trama talvolta impercettibile ogni settore della vita pubblica e privata turca. Se nei Paesi musulmani l’Islam è anche diritto, organizzazione sociale, disciplina familiare, usi commerciali, in un paese dalla storia ultramillenaria come la Turchia, l’Islam non poteva non assumere una sua particolare coloritura grazie all’incrocio con tradizioni e religioni preesistenti, quali lo sciamanesimo importato dalle tribù turche dall’Asia centrale o il cristianesimo ereditato dall’Impero bizantino.
Il risultato è un complesso intreccio di correnti teologiche e politiche che non smettono di lacerare il corpo dei credenti sin dalla morte del profeta, allorché con l’assassinio di Alì, il genero di Maometto, si produsse la prima insanabile scissione tra sunniti e sciiti. Vennero poi gli Aleviti, da noi erroneamente confusi con gli Alawiti siriani del presidente Assad, e tutte le altre confraternite più o meno titolari di corposi interessi economici con importanti ricadute sulle scelte politiche del Paese. La più famosa, perché assurta agli onori della cronaca più recente, la confraternita del predicatore Fetullah Gülen, vera bestia nera del presidente Erdoğan che gli attribuisce ogni sorta di nefandezze, non ultimo il tentato colpo di Stato del 15 luglio scorso.
Tutto ciò fa sì che persino un Paese che gli occidentali considerano laico per effetto delle riforme di Atatürk, destina in realtà una parte ingente del proprio bilancio al mantenimento di circa centomila moschee e al sostentamento dei relativi imam, ulema e muezzin. Oltre a smontare i tanti pregiudizi che talvolta offuscano la visione degli osservatori occidentali, si pensi al velo, che le statistiche dicono in ritirata e non già in espansione, il libro traccia una mappa accurata della capillare presenza delle organizzazioni islamiche nel paese sulla base di una vasta bibliografia. Non va dimenticato, infatti, che Alberto Fabio Ambrosio, attualmente visiting professor presso la Luxembourg School of Religion and Society, oltre ad avere una conoscenza di prima mano della Turchia grazie agli 11 anni trascorsi a Istanbul, è laureato in turcologia all’Università di Strasburgo ed è membro del gruppo di ricerca sulla storia ottomana dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. In conclusione, se il libro ha un difetto, è quello di essere apparso troppo tardi per influire sulla politica europea verso la Turchia.
È vero, si dirà, gli uomini politici non leggono libri di teologia, non ne hanno il tempo. Ma fanno male, anzi malissimo. Perché se si fossero documentati meglio, se avessero letto un libro come questo, non avrebbero aperto insensati quanto improvvidi negoziati di adesione all’UE né si troverebbero oggi esposti allo stillicidio pressoché quotidiano di minacce ricatti e insulti da parte dell’attuale governo turco.
Jean Ruggi d’Aksaray
L’Islam in Turchia
Alberto Fabio Ambrosio
Carrocci editore, Roma 2015, 126 pagine, 11 euro
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