Michela Murgia a Francoforte lo scorso 30 ottobre ha incontrato la comunità italiana presso l’associazione deutsche-italianiesche Vereinigung, evento in collaborazione con Italia Altrove.
Sono tanti gli argomenti toccati da Michela Murgia durante il suo incontro con il pubblico italiano di Francoforte moderato dalla giornalista Cinzia Sciuto: sfera privata vs. vita pubblica, integrazione, multiculturalismo, identità, femminismo e ambiente.
Si parte dai suoi esordi e dal libro “Il mondo deve sapere”, che ha portato la Murgia a farsi conoscere al grande pubblico, merito anche del regista Paolo Virzì, a cui si è ispirato per la sceneggiatura del suo film “Tutta la vita davanti”. «Il personale non esiste», afferma con convinzione la scrittrice sarda, commentando il suo esordio in letteratura che trae spunto da un episodio della sua vita privata, la sua esperienza di lavoro in un call center, diventata poi collettiva. L’urgenza di scrivere, nata da un’esperienza individuale, si permea di uno spessore che riguarda molte persone.
L’ultima opera della scrittrice “Futuro interiore”, raccolta di saggi in cui la scrittrice tocca il tema dell’identità e dell’integrazione, contrapposto al concetto di appartenenza: la Murgia ci fa notare come in Italia da quando il partito della Lega Nord si è affacciato con prepotenza sul panorama politico italiano si parli sempre più spesso di identità, che secondo lei ha una connotazione negativa, in quanto, visto che la radice della parola “identità” è la stessa di “identico”, identità significa “chi è identico a me”. «Ma chi è identico a me?» – si chiede la Murgia. Infatti, dal momento che noi stessi siamo esseri in divenire («a 20 anni ho fatto cose che a 40 non rifarei»), non è facile individuare a chi dovremmo essere identici. «Anche il termine integrazione inganna» afferma la Murgia. «Essere integri significa essere interi. Quando chiedi a qualcuno di integrarsi, gli stai dicendo: io sono l’intero e tu sei in frantumi». La scrittrice fa un chiaro rimando alle politiche applicate in Europa, molto pericolose, a cui contrappone l’esempio nato dalla sua esperienza personale in Canada («lì la parola d’ordine non è multietnico ma multiculturalismo»), un puzzle di culture in cui ognuno è una tessera e non c’è un “intero”.
La Murgia chiude l’incontro toccando il tema del femminicidio facendo notare come in Italia si registrino soltanto il 10% di presenze femminili nei programmi letterari e televisivi. Le donne vengono ospitate, nella maggior parte dei casi, soltanto per affrontare temi prettamente femminili. Sebbene le donne secondo le statistiche siano più numerose degli uomini non hanno visibilità e, quindi, non guadagnano autorevolezza dal momento che «più volte fai parlare una persona, più cresce la sua autorevolezza. Se i nomi di personaggi femminili non si affermano, il loro pensiero non si diffonde».
Il femminicidio nasce dal tentativo di spostarsi dal ruolo di genere, secondo la Murgia, che lo definisce «la morte civica» (citando l’esempio delle differenze salariali nel mondo dell’editoria o in quello giuridico). Il femminicidio non si palesa soltanto quando una donna muore fisicamente, ma si può anche uccidere socialmente una donna negandogli la possibilità di raggiungere posizioni prestigiose nonostante la preparazione e le competenze. Il femminicidio porta anche a una grossa perdita economica, dal momento che nelle università sono le ragazze ad eccellere, sebbene poi ci capiti di trovare soltanto uomini nei posti di comando.
È un bell’incontro quello con Michela Murgia, il pubblico molto partecipe e numeroso interviene per criticare, approvare, discutere e chiedere. La Murgia cerca di accontentare tutti, ma purtroppo per questioni di tempo si vede costretta ad accelerare e a ringraziare la platea. Resta solo il tempo per qualche foto e qualche autografo mentre si fa spazio la voglia di approfondire la conoscenza dell’autrice sarda attraverso le sue opere.
Alberta Acri