Siamo qui, tranquilli nelle nostre case mentre il mondo ci gira intorno. Arrivano dalla tv e dai social media immagini di morte e distruzione : in Siria, in Ucraina, in Sudan, nella Repubblica Centraficana. E ci giriamo dall’altra parte. O deleghiamo ad altri il lavoro da fare. “Ci sarà -ci diciamo- chi si occuperà di loro. Ho donato i miei soldi alle organizzazioni non governative che lavorano in vari paesi del mondo. I Governi prepareranno azioni per contrastare la violenza”. Ci convinciamo. Mettendo a tacere la coscienza. Non ci impegnamo mai in prima persona, abbiamo altro da fare…noi, cittadini inconsapevoli di aver avuto solo la fortuna di nascere in un mondo senza guerre. Gli altri, invece dalle guerre scappano, a ragione, per salvare la propria vita e lo fanno su barconi di fortuna che attraversano il Mediterraneo. Salvo poi morirci in quello stesso mare, che da culla della civiltà è diventato un cimitero: come da anni ripete Gabriele del Grande che nel suo blog (http://fortresseurope.blogspot.com/) raccoglie i nomi dei migranti che non ce l’hanno fatta-.
Con tutti i problemi di crisi che abbiamo in Europa, la disoccupazione, le fabbriche che chiudono, la violenza negli stadi (e fuori), il potere d’acquisto che non è più lo stesso… figuriamoci quanto può interessarci di quelli che per mesi e mesi vengono rinchiusi nei centri di detenzione in Grecia senza il rispetto dei loro diritti più basilari; degli stranieri torturati nelle prigioni libiche; dei rifugiati siriani che protestano nei campi libanesi; di quelli che sono arrivati a Lampedusa e di cui vediamo le immagini in televisioni per poi dimenticarcene il giorno dopo.
Bene, ora abbiamo l’occasione per esserci, partecipare, sostenere la Marcia per la libertà che da Strasburgo arriva a Bruxelles, passando per Lussemburgo. Non accade tutti i giorni di avere la possibilità di riscattarci. Di “far parlare la nostra coscienza”. Di metterla in gioco con noi e col nostro coraggio. Il coraggio di guardare negli occhi cosa non va in questo mondo e soprattutto di ammettere che esso ci riguarda molto più da vicino di quanto fingiamo di non sapere. Marciamo con loro, che a differenza di noi “comodi-abitanti- di-un-mondo-pieno-di-privilegi”,, non hanno territorio, documenti e soprattutto speranza. Restituiamola a loro con un gesto di solidarietà e condivisione. E restituiamola a noi, col coraggio di non voltare lo sguardo. Salvando “fratelli disperati”. E salvando, con loro, le nostre coscienze.
Paola Cairo e Maria Grazia Galati