Quale avvenire per l’Europa ?
Après les élections européennes, quelle direction pourrait prendre l’Europe?
La sera del 2 giugno si è tenuto al Cercle Cité di Lussemburgo una tavola rotonda sull’avvenire dell’Europa organizzata congiuntamente dall’Istituto Pierre Werner, dal portale Europaforum.lu e dall’Ufficio di Informazione del Parlamento Europeo in Lussemburgo.
Una settimana dopo le elezioni europee 2014, il dibattito sull’avvenire dell’Europa è ancora molto acceso, in particolare qui in Lussemburgo, paese fondatore dell’Europa, fisicamente al centro dell’Unione e patria di uno dei candidati alla presidenza della Commissione, Jean-Claude Juncker.
Victor Weitzel, responsabile del sito Europaforum.lu, ha moderato l’incontro inizialmente sviluppatosi sulla base delle riflessioni di Yves Bertoncini, direttore di “Notre Europe – Institut Jacques Delors” e di Frank Priess, vice direttore del dipartimento “Cooperazione europea e internazionale” della fondazione Konrad Adenauer.
Diverse sono state le questioni affrontate: sulla base di quali condizioni e compromessi l’Europa sarebbe in grado di rilanciare il suo progetto?
Tutti gli stati membri sono ancora effettivamente coinvolti nel processo di integrazione?
In quali rischi incorre l’Unione visti gli esiti delle ultime elezioni?
I temi trattati sono stati due in particolare: la nuova composizione del Parlamento Europeo e le sue implicazioni e la complessità della scelta del futuro presidente della Commissione.
Per quanto riguarda il primo punto, Yves Bertoncini ha messo in luce tre tendenze determinate dal voto di domenica 25 maggio. In primo luogo, si osserva una vittoria della destra moderata (PPE) che in ogni caso perde seggi rispetto alle elezioni del 2009; la sinistra moderata (S&D) si rivela “stagnante” e i voti persi dalla destra sono guadagnati dagli euroscettici. Le conseguenze politiche sono incerte. Se gli estremisti non rappresentano la maggioranza, questi ultimi possono comunque avere una certa influenza sui partiti di governo per quanto riguarda questioni come la libera circolazione. Allo stesso tempo, non possiamo considerare gli estremisti come un terzo blocco: estrema destra ed estrema sinistra non siedono insieme, ed anche tra i gruppi della destra estrema sono molte le frammentazioni ideologiche e politiche.
Passando al secondo argomento, sempre Yves Bertoncini ha elencato i criteri principali alla base della nomina del Presidente della Commissione: il partito di appartenenza, il profilo personale e il paese d’origine. Il candidato a tale funzione è proposto dalla maggioranza qualificata del Consiglio europeo “tenendo conto dei risultati delle elezioni europee” (novità introdotta dal Trattato di Lisbona) e approvato dalla maggioranza dei membri del Parlamento.
Come sostiene Frank Priess, la nomina del Presidente della Commissione è il frutto di un “pacchetto di decisioni” e di riflessioni ben meditate. I principi elencati rappresentano quindi solo una guida ed un punto di partenza, perché, se da una parte il Partito popolare europeo ha ottenuto il piú gran numero di voti, non si puó sottovalutare l’apporto dei Socialisti e Democratici alla composizione del Parlamento. Da questa riflessione emerge, per esempio, che il primo criterio è un elemento fondamentale alla base della scelta ma non è strettamente necessario.
In conclusione, se ancora non è possibile definire con certezza il futuro dell’Unione, la partecipazione al voto e le critiche che si nascondono dietro i risultati delle elezioni non possono essere sottovalutate. Il dibattito resta ancora aperto: c’è bisogno di piú Europa o semplicemente di un’Europa piú impegnata?
Elisa Pizzi