Le Missionarie dell’Immacolata – Padre Kolbe riunite in Assemblea Generale Ordinaria presso la sede centrale dell’Istituto a Borgonuovo (BO), hanno eletto, nel maggio dello scorso anno, Giovanna Venturi a nuova direttrice generale. La Venturi ha fatto visita alla comunità di Lussemburgo a metà aprile. L’abbiamo incontrata e intervistata.

 

 mari

Michela Murgia nel suo ultimo libro «Ave Mary» sostiene che la Chiesa ha contribuito a rafforzare lo stereotipo della donna docile, sottomessa, obbediente attraverso la narrazione della figura di Maria (Maria dice sì, Maria obbedisce, Maria accoglie, conforta, consola, serve, non si ribella) mentre in realtà, sostiene sempre l’autrice, il famoso SI di Maria(«sia fatto di me secondo la tua parola») è stato un sì libero che ha costretto alla sua libertà di dire sì ,  tutto il sistema che la circondava e pretendeva di dettarle legge. E continuo con le parole della Murgia: ”Il sì di Maria ha fatto saltare il tavolo, ha stabilito le condizioni del riscatto, ha voltato la carta della storia di Israele e non c’è più nessuno che potrà farle credere che qualcosa non è possibile a una donna. Con una simile madre non c’è da stupirsi se Cristo per tutta la sua vita ha usato alle donne un’attenzione altrettanto anticonformista rispetto al contesto in cui è vissuto”. Cosa ne pensa Giovanna Venturi?

Prima di tutto vorrei esordire con l’ammirazione per Michela Murgia per l’ intelligenza dell’analisi forse a volte spietata del rapporto donna-chiesa, nel contesto del quale colloca la sua riflessione su Maria.

Mi pare che il punto vero della questione sia la strumentalizzazione di Maria da parte di una società patriarcale che piuttosto che farne un modello liberante di donna, ne ha fatto un modello di donna sottomessa. In secoli di storia, la chiesa ha fatto suo il modello patriarcale di società, quindi della donna, dell’uomo, della famiglia. Il “sì” di Maria, pertanto, era letto non come sì liberante che “ha fatto saltare il tavolo” (come dice la Murgia), ma come perfettamente in linea con l’immagine di donna sottomessa a tutte le autorità fuori e dentro la famiglia, propria della società patriarcale.

Quindi sono d’accordo con Michela Murgia che il sì di Maria, ha invece potenzialità insospettate circa il rapporto donna-chiesa. Bisogna avere solo il coraggio di sganciarsi da un contesto culturale che così tanto ha pesato sulla chiesa e che in molti modi la chiesa ha contribuito a confermare e consolidare. Personalmente ritengo che l’apporto dato da Paolo VI alla questione nella Marialis Cultus dai n.n. 34 al 37, sia ancora insuperato per chiarezza e obiettività dell’analisi. Tanto per fare qualche esempio: “La Chiesa quando considera la lunga storia della pietà mariana, si rallegra la continuità del fatto cultuale, ma non si lega agli schemi rappresentativi delle varie epoche culturali né alle particolari concezioni antropologiche che stanno alla base…” (MC 36). In realtà la storia mostra che un legame c’è stato, ma da questo punto bisogna partire per tirare tutte le conseguenze del “sì” di Maria per la donna, oggi. Come dice lo stesso Paolo VI in un altro passaggio della MC: “La lettura delle divine scritture… porterà a scoprire come Maria possa essere considerata modello di quelle realtà che costituiscono l’aspettativa degli uomini del nostro tempo. Così, per dare un esempio, la donna contemporanea, desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità (N.B. siamo nel 1974), contemplerà con intima gioia Maria che, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile, non alla soluzione di un problema contingente, ma a quell’’opera di secoli’, come è stata giustamente chiamata l’incarnazione del Verbo” (MC 37).

Una delle vostre massime recita: “Missionarie come Maria, attente ai segni dei tempi e alle necessità del mondo, operanti  dentro la realtà di popoli e culture diverse, per essere riflesso della bontà, della misericordia, della tenerezza di Dio”. Quanto è difficile, nel 2013, essere riflesso della bontà, della misericordia, della tenerezza di Dio?

Difficile? Forse sì, ma necessario, assolutamente necessario. Credo che ciò che le persone si aspettano oggi è quello di sperimentare bontà, tenerezza, misericordia. Credo che non a caso Papa Francesco stia battendo proprio su questi punti che stanno diventando i pilastri della sua predicazione. È difficile essere riflesso della bontà e della tenerezza di Dio perché è difficile che una persona nella sua fragilità umana e segnata dal peccato possa esprimere pienamente tutto questo. Tuttavia sappiamo che ogni gesto di amore, ogni gesto di tenerezza, ogni gesto di bontà, sia pure segnato dal limite e dal peccato, riflette l’amore di Dio. Anche Maria, che pure è senza peccato, è un raggio, solo un raggio della bontà e dell’amore di Dio. Guardando a lei, creatura umana come noi, che ha fatto suoi i sentimenti del Figlio (cfr. Fil 2,5), possiamo avere fiducia che Dio si serve di noi per dare il suo amore, la sua bontà, la sua misericordia, agli uomini e alle donne del nostro tempo.

 

Paola Cairo

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