Motivazioni diverse, esperienze diverse, background diversi. Il numero dei giovani altamente qualificati che abbandona l’Italia, lasciandosi alle spalle una situazione di precarietà, cresce sempre di più, anche se è difficile poter far riferimento a delle cifre ufficiali. Per affrontare il tema, abbiamo deciso di incontrare i ricercatori italiani che lavorano presso l’Università di Lussemburgo.
Chi sono gli italiani
Antonio Cosma, Assistant professeur presso la facoltà di Diritto, Economia e Finanza all’Università di Lussemburgo é stato tra i primi italiani assunti in qualità di professore di prova presso la neonata Università di Lussemburgo. “Era l’ottobre 2005 – racconta Cosma – e l’Università era ai suoi albori. Per me l’ingresso in un’istituzione completamente nuova poteva comportare dei rischi. Tutto era da delineare, tutto stava nascendo in quel momento”. Ad oggi Cosma é soddisfatto della sua scelta e per l’opportunità che ha avuto. “ Infatti – dice- l’Università ha il pregio di avere un eccellente ambiente internazionale ed è nata con il concetto di aprirsi sempre al confronto con l’altro. Questo è dovuto sia alla sua qualificata equipe di docenti sia alla multinazionalità dei suoi studenti. L’offerta formativa è davvero ricca e agli studenti viene data la possibilità di una grande mobilità all’estero”.
Andrea Altomani, ex Assistant chercheur presso la Facoltà di Matematica, arriva in Lussemburgo per un post dottorato nel 2008 dopo aver provato numerosi concorsi in Italia. Anche Andrea può vantarsi di essere stato l’unico italiano in un equipe del tutto europea. E sottolinea che la prima differenza che ha notato con la realtà italiana è stato lo stipendio che puo’ considerarsi quasi il quadruplo di quello italiano. “L’Università di Lussemburgo – afferma– gode di ingenti finanziamenti e i fondi di ricerca di certo non mancano: cifre inimmaginabili per l’Italia.
Alessandro Zampini, è invece l’ultimo, in ordine di tempo, dei ricercatori italiani approdati alla facoltà di Matematica di Lussemburgo dove si occupa del corso di Geometria. Dopo otto anni in Germania, con contratti a scadenza semestrale, che egli definisce “il delirio del precariato”, firma un contratto quinquennale per il ruolo di assistente ricercatore all’Uni.lu.
Perchè hanno scelto proprio l’ateneo del Lussemburgo e come si trovano qui?
Per Antonio Cosma, che definisce la sua non una carriera accademica pianificata sin dall’inizio, anche Il contatto con l’Università di Lussemburgo avviene grazie ad un passaparola nei circuiti accademici. Per Andrea Altomani è stata la prima Università europea alla quale si era candidato ad averlo accolto. Andrea dice : “di non aver avuto problemi, dopo tante porte chiuse in Italia, quella dell’Università di Lussemburgo si è spalancata quasi nell’immediato”. Alessandro Zampini scopre solo nell’agosto scorso che a Lussemburgo c’era disponibilità di posto. Per Alessandro è un’università giovane, che sta crescendo , non ingessata come altre attività accademiche e che offre numerose opportunità.
Non manca qualche difetto. “Un’Università che ha ambizioni internazionali e che si fonda sulla mobilità si scontra – afferma il professor Cosma – con i limiti logistici di una città che ha pochi e costosi aerei. Altro difetto potrebbe essere la burocratizzazione che può divenire in certi casi eccessiva e che dipende – in qualche modo – anche da una gestione imprenditoriale dell’Università stessa”. Secondo Andrea Altomani, alla luce della sua esperienza ormai conclusasi presso l’Università granducale “un difetto potrebbe considerarsi il continuo ricambio di personale, previsto dall’art. 122-4 del Code du Travail dell’Università, secondo il quale vige il principio di non rinnovabilità del contratto”. Per Andrea, è un principio del tutto giusto, è lo stesso che vige nell’Università Normale di Pisa (unico istituto in Italia che prevede un principio simile), ma che qui a Lussemburgo va a scontrarsi contro quelli che sono i suoi stessi limiti: è un paese piccolo e con un unico ateneo. Non c’è quindi possibilità di un ricambio così come il principio sancisce. Quindi quasi rimpiange la precarietà italiana? Andrea ritiene che si può rimanere in Italia e crescere professionalmente e che la precarietà italiana, anche se per pochi casi, porta prima o poi ad un posto fisso.
Cosa dovrebbe fare l’Italia per arginare la fuga dei cervelli?
Secondo Alessandro Zampini l’Università italiana viene additata dall’opinione pubblica come il capro espiatorio e dice: “Negli anni Sessanta ci siamo sentiti dire che l’Università era dei ricchi, poi non era più legata al mondo del lavoro, ora che costa troppo e non è più formativa. L’Università italiana – afferma il ricercatore – resta una scuola eccellente ma sta andando in asfissia perché ha bisogno di soldi”. Andrea invece non si ritiene un “ un cervello in fuga”: “Sono andato all’estero perché mi è stata offerta una buona opportunità, e sono contento di averlo fatto. Mi spiace però che sia così difficile rientrare in Italia”.
Chi ritornerebbe in Italia?
Il professor Cosma ritiene che la metà degli italiani all’estero pensano sempre di rientrare in Italia. Intanto, lui stesso non esclude questa possibilità pur tuttavia sapendo di dover accettare il compromesso di guadagnare un pò meno. Anche il dottor Zampini ritornerebbe volentieri in Italia a lavorare, ma lo fa soffrire la penuria di possibilità che c’è in Italia. Mentre Andrea Altomani punterà su altre università europee, essenzialmente in Francia o Germania.
di Amelia Conte