La filosofa Vera Tripodi ci spiega, a partire dal suo libro, Filosofia della sessualità (ed. Carocci) come le categorie di genere maschile e femminile siano socialmente prodotte e come si sta svolgendo, al riguardo, l’attuale dibattito filosofico.

 

 

Intervista.

 

Di norma dividiamo il mondo in base a due generi: il maschile e il femminile. È ancora possibile usare la nozione di genere?

Credo che l’utilizzo della nozione di genere presenti diversi vantaggi sul piano teoretico. Simone de Beauvoir, ne Il secondo sesso, afferma che le categorie di donna e uomo siano socialmente costruite. Vale a dire, non è la natura né l’anatomia a determinare la distinzione tra i due generi. Piuttosto, questa differenza é un prodotto della nostra cultura. Diversamente dalla nozione di sesso, il genere ha a che fare con quei comportamenti, doveri, credenze, aspettative che una determinata comunità ritiene definisca la condizione della donna e dell’uomo. Ora, ciò che molte donne hanno in comune é il fatto di essere discriminate economicamente e socialmente. Tuttavia, questa subordinazione ha a che fare con questioni culturali: le donne sono generalmente educate a essere passive rispetto agli uomini e la società gli impone di interpretare un certo ruolo sociale.

Il contesto culturale, alimentando aspettative diverse rispetto ai due generi, non concede a donne e a uomini le stesse opportunità. Se così, è immaginabile allora pensare che sia possibile rendere la nostra società più equa attraverso la presa di distanza da un certo modo di pensare le relazioni tra individui di sesso diverso. L’utilità delle categorie di genere allora consiste precisamente in ciò: ci permettono di sottolineare che, se le differenze biologiche sono distinte da quelle sociali, allora possiamo considerare molte delle differenze tra generi come socialmente prodotte e dunque modificabili. La nozione di genere diviene allora un valido strumento di riconoscimento ed emancipazione sociale per combattere discriminazione ed emarginazione.

 Alla luce degli studi che hai compiuto per il libro “Filosofia della Sessualità”, come potremmo definire l’Essere Donna”?

Non credo ci sia un unico modo di definire l’essere donna. Ci sono diversi modi in cui un individuo può esprimere la sua appartenenza a un genere. Come abbiamo detto, i generi hanno a che fare con norme sociali e accettare o meno queste norme sia il processo attraverso cui si diventa socialmente donna. Si diviene donna attraverso una serie di interazioni sociali in un determinato contesto culturale. Non è possibile definire dunque un individuo come donna a prescindere dalla sua cultura, età, religione, orientamento sessuale, gruppo etnico di appartenenza, posizione economica. Fatta eccezione per il fatto di essere per lo più soggetti socialmente discriminati, non c’è quindi qualcosa di unitario o di uniforme che tutte le donne condividono. Vi è piuttosto una relazione di somiglianza tra le diverse donne. Credo per questo che non si è né si diviene semplicemente una donna, ma un particolare tipo di donna.

Nel tuo libro parli ampiamente del fenomeno di oggettificazione del corpo femminile e la pornografia è uno strumento di forte oggettificazione sessuale. Perché secondo te le donne che partecipano a questo genere di produzione di immagine compresa la semplice tv non si accorgono o non soffrono a essere ridotte a oggetti?

Non c’è dubbio che la pornografia sia strumento di oggettificazione sessuale e riduca il corpo a feticcio da guardare e da usare. Sebbene l’oggettificazione sessuale sia un fenomeno che può interessare anche gli uomini, le donne sono le prime a esserne vittima anche quando acconsentono a essere usate (o pagate) per soddisfare certe fantasie sessuali. Si può ritenere, infatti, che anche le donne che lavorano nell’industria della pornografia siano esse stesse vittime di un certo modello che la società patriarcale impone perché hanno interiorizzato il modo in cui una donna è considerata o trattata all’interno di una comunità. Ossia, hanno fatto proprio un modello e uno stereotipo di sessualità maschilista a cui omologarsi. Pertanto, nonostante il consenso ad essere trattate come oggetti, si può essere non del tutto liberi in questa scelta né pienamente consapevoli dei danni e violenze che si subiscono.

Nel definire la sessualità spesso si chiama in causa la nozione di “naturale”. Com’è cambiato l’approccio filosofico, nel dibattito filosofico contemporaneo, rispetto a quella che è stata per secoli definita legge naturale ?

Nel dibattito filosofico contemporaneo l’idea che la divisione dell’umanità in due sessi sia il risultato di una legge naturale è ampiamente criticata: l’essere donna o uomo non ha a che fare con una proprietà naturale (con il fatto di avere un certo corpo) ma piuttosto con una certa condizione o posizione nella società. Tuttavia, il riferimento alla nozione di “natura” gioca ancora un ruolo particolarmente rilevante, specie in etica o bioetica, su questioni come omosessualità e nuove tecniche riproduttive.

C’è chi si appella alla “legge naturale” per definire, per esempio, l’omosessualità come orientamento sessuale “innaturale” perché non ha come fine ultimo la riproduzione. Tuttavia, quest’appello non tiene conto che neppure la biologia considera più la distinzione tra maschio e femmina come naturale (si è anzi proposto di introdurre almeno altre tre sessi ai due convenzionalmente riconosciuti) e che la stessa dicotomia naturale/innaturale sia puramente convenzionale.

 É possibile una società senza razze e generi?

Sarebbe auspicabile! Le razze come i generi biologicamente non esistono, sono una costruzione sociale. La distinzione di razze e generi sono strettamente connessi a relazioni di potere, divisioni sociali e gerarchiche che costituiscono il contesto sociale in cui siano immersi. Al di fuori di queste relazioni di potere, non ci sarebbero individui dotati di genere o di razza né per questo discriminati.

 

Sonia Sion

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