È questo il titolo della brillante conferenza tenuta il 19 ottobre scorso alla libreria  caffetteria Altrimenti dal prof. Massimo Montanari, docente di storia medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna.

 

 

Si può veramente parlare di una cucina italiana? La nostra penisola, che politicamente è rimasta divisa fino al 1861, ha sviluppato un panorama gastronomico ricchissimo e enormemente differenziato. Si tratta di una cucina così eterogenea che una delle nostre più importanti e prestigiose istituzioni nazionali di cultura gastronomica ha preferito chiamarsi Accademia italiana della cucina piuttosto che “Accademia della cucina italiana”, proprio a sottolineare che una cucina italiana non esiste.

Eppure già fin dal Quattrocento e nonostante le grandi differenze e le divisioni politiche si percepiva un’identità culturale della cucina italiana. I ricettari di cuochi italiani famosi come Maestro Martino e più tardi di Bartolomeo Scappi comprendevano ricette provenienti da tutto il paese.

Nel 1550 Ortensio Lando scrisse il suo  “Commentario de le più notabili & mostruose cose d’Italia”, una sorta di guida Michelin ante litteram in cui si illustravano le specialità italiane regione dopo regione per un ipotetico viaggiatore straniero. La cucina rappresentava quindi l’espressione culturale facilmente riconoscibile di un paese che non esisteva politicamente.

Nel 1891 viene scritto il più famoso e amato ricettario italiano di tutti i tempi, “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene”. L’autore è Pellegrino Artusi di cui si può praticamente dire che operò l’unificazone dell’Italia dal punto di vista dell’identità gastronomica.

 

Il suo celebre ricettario che comprendeva ricette provenienti da tutt’Italia,  diffuse la cultura della pastasciutta al nord e del risotto al sud e rese nazionali specialità che fino ad allora erano considerate esclusivamente locali.  Artusi  si impegnò anche ad elaborare una lingua culinaria italiana comune.

Da questa sua enorme varietà e diversità la cucina italiana ha tratto la sua forza e la sua unicità. Al contrario di quella francese non ha creato dei canoni unici ed è sempre stata molto rispettosa delle differenze regionali, o addirittura delle varianti che esistono tra città vicine e persino delle variazioni di una stessa ricetta tra famiglia e famiglia. Se nei secoli scorsi questo ha costituto una sua debolezza nei confronti ad esempio della cucina francese, più facile da riprodurre e da proporre anche all’estero,  in tempi recenti l’enorme diversificazione è diventata la grande forza e l’identità della cucina italiana, in un mondo sempre più spaventato dalla globalizzazione.

 

Daniela Maniscalco

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