Delia Pifarotti, insegnante e giornalista del Tageblatt ci regala le sue considerazioni sui film che ha visto. Una panoramica sul tema degli immigrati, protagonisti del cinema italiano e sui cambiamenti della società italiana.
Italia: Love it or leave it
Ognuno di noi ha un suo modo molto personale di reagire e affrontare i problemi. C’è chi li analizza obiettivamente e propone soluzioni, chi si fa beffa di essi e li combatte con umorismo e ironia, chi si impegna in una lotta feroce o, al contrario, mostra indifferenza. Tanti modi per affrontare un punto nevralgico della nostra vita e della nostra società, che ci affligge o ci disturba.
È lo stesso per i film e per il modo in cui i registi portano sullo schermo cio’ che li colpisce. Così, guardando tutti i nuovi film proiettati quest’anno al Festival è sorprendente vedere a che punto gli italiani si interroghino sul loro paese, sul futuro che li attende, sui mali che affliggono la loro società, l’inefficienza e la corruzione della classe politica, sull’inerzia che sembra paralizzare il paese, una volta simbolo della creatività e del genio, invidiato dal resto del mondo. Alcuni ne fanno dei documentari, mettono il dito nella ferita per sensibilizzare l’opinione pubblica e denunciare i responsabili; altre storie raccontano semplicemente cio’ che influenzano la sensibilità dello spettatore e scavano nelle loro coscienze; altri ancora ne fanno delle succulente commedie, dove tutto viene mostrato attraverso una satira coinvolgente e talvolta grottesca. Ce n’è dunque per tutti i gusti! Purché il messaggio arrivi fino in fondo e che qualcosa cambi in Italia, in meglio, naturalmente!
Con “Italia: Love it or leave it“, i due registi Gustav Hofer e Luca Ragazzi hanno scelto di fare un documentario molto speciale… in Fiat 500! Per trovare la risposta alla loro domanda: “Continuare a vivere in Italia o trasferirsi a Berlino?”, hanno viaggiato per 6 mesi in lungo e in largo, non per cercare le bellezze quanto piuttosto la bruttezza e disagio. Le testimonianze delle persone sono raccoltedalla strada. Dai disoccupati alle vittime della mafia, dai volontari che si curano degli immigrati ai giornalisti, dagli scrittori, ai politici e molti altri italiani, che nel bene o nel male, arrivano alla conclusione che sia vile partire e che è importante mettere a fuoco le virtù del paese per sopportarne i suoi difetti. Gustav e Luca sono venuti al Festival per raccontare le loro motivazioni: “Abbiamo incontrato persone incredibili, gente motivata, con un’enorme forza di resistere alla situazione attuale. Dappertutto, le persone cercano di migliorare il Paese mostrando l’altro lato dell’Italia”.
“Qualunquemente” (di Giulio Manfredonia) e “Cose dell’altro mondo” (Francesco Patierno) sono dei ritratti esagerati ma sublimi di personaggi pubblici sfacciatamente razzisti, macho, megalomani e narcisisti. « Castigare ridendo mores » è il più alto livello raggiunto dal proverbio latino. Attraverso Cetto La Qualunque (interpretato da Antonio Albanese) e i suoi compari, Manfredonia ci dipinge la tavolozza di un’Italia basata sulla ineducazione, la frode fiscale, il ricatto e gli scandali sessuali. Tutti difetti apertamente e orgogliosamente rivendicati come segno di potere e di consenso collettivo.
Attraverso Mariso Golfetto (interpretato da Diego Abatantuono), che in TV continua a gridare frasi razziste suggerendo di rimettere tutti gli immigrati sulle loro barche e rispedirli a casa loro, patierno racconta un’Italia senza alcun immigrato. Sono scomparsi! Le aziende si fermano per mancanza di lavoratori, i sacchetti di immondizia si accumulando per le strade, gli anziani non hanno più le loro badanti, i bambini delle scuole perdono i loro compagni di gioco, tutte le città soccombono. Un’ipotesi assurda, certo, ma efficace per comprendere anche l’importanza emotiva della presenza dei lavoratori stranieri, indipendentemente dalla mano d’opera di cui sono portatori.
Molto sentimentale toccante è Terraferma (di Emanuele Crialese) che pur raccontando la vita di poveri pescatori di una piccola isola del Mediterraneo, mette lo spettatore di fronte l’enormità della scelta: lasciare che i clandestini anneghino al largo dell’isola per timore della legge, che vieta di portare loro soccorso; o seguire le leggi tradizionali dei pescatori, secondo le quali un uomo in mare è considerato un naufrago e ha il diritto di essere salvato? Aiutare una donna libica in fuga a partorire, ospitandola illegalmente in casa o segnalarla alla polizia? Inevitabilmente in queste storie come nella vita si tessono legami che rendono la freddezza della legge insopportabile e incomprensibile.
Molti altri film, tali come « Là-bas » (di Guido Lombardi), mostrano in modo completo eppure leggero la realtà di migrazione con la quale l’Italia si confronta per la sua posizione geografica particolare.
Ma, essendo stata essa stessa paese di emigrazione verso il Nord Europa, gli Stati Uniti e l’Australia, non può non tenerne conto ed esprimere un giudizio personale.
Delia Pifarotti
Tageblatt 8/11/2011