C’è chi dice che in Italia si legga sempre meno, e che il fumetto resti confinato a un pubblico di nicchia. Poi ci sono realtà come BAO Publishing, che in poco più di quindici anni ha saputo ribaltare i luoghi comuni, costruendo un catalogo riconoscibile e amatissimo, capace di conquistare lettori di generazioni diverse. Alla guida creativa della casa editrice c’è Michele Foschini, Chief Creative Officer e co-fondatore, che insieme a Caterina Marietti ha firmato alcune delle pagine più interessanti della scena editoriale italiana contemporanea. Con lui abbiamo ripercorso la storia di BAO, tra momenti difficili e slanci luminosi, riflettendo sul presente del mercato, sul legame speciale con Zerocalcare e sulle sfide che attendono il fumetto come linguaggio capace di emozionare, parlare al cuore e rinnovarsi senza perdere coerenza. In attesa di incontrarlo (insieme a Zerocalcare) martedì 23 settembre presso il Centre Culture de Rencontre Abbaye de Neumünster in occasione dell’evento intitolato “Dalla profezia a quando muori”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia in Lussemburgo, in collaborazione con la LIL (Libreria Italiana Lussemburgo), leggete cosa ci ha detto

Cominciamo dalla vostra storia e le tappe più significative della vostra società editrice. Ci sono stati momenti bui? e quelli più luminosi?

Caterina Marietti e io abbiamo fondato BAO alla fine del 2009, perché ci pareva che mancasse un editore di fumetti “dalla parte dei lettori”. Volevamo fare fumetti per chi legge romanzi in prosa, e per questo ci siamo focalizzati da subito sulle librerie generaliste come canale di mercato privilegiato. Nel 2012 abbiamo iniziato a pubblicare Zerocalcare; nel 2015 è arrivato in Dozzina al Premio Strega. Nel 2017 finalmente abbiamo portato un segno “+” nei nostri bilanci. Nel 2021 abbiamo iniziato a curare la Produzione esecutiva delle sue serie animate per Netflix. Nel mezzo decine di libri ci hanno sorpreso in positivo, incontrando più successo delle aspettative, e altrettanti ne hanno riscosso meno del previsto, ma non per questo ci siamo sentiti delusi da loro. La cosa più bella del nostro lavoro è quando l’entusiasmo che proviamo nel lavorare con autrici e autori si trasmette intatto a lettrici e lettori. Allora il senso dell’essere i veicoli delle storie ci è chiaro, ed è molto gratificante.

Il vostro catalogo è diventato un marchio di fabbrica. Come l’avete costruito, tu e Caterina? Come riescite a vendere copie e rimanere in piedi, in Italia, se ci sono sempre meno lettori e i libri digitali vengono consumati di più di quelli cartacei?

Il catalogo BAO ha preso forma dapprima seguendo la nostra intuizione che certi tipi di storie mancassero dagli scaffali delle librerie italiane, poi è stato guidato dal gusto di Caterina e mio, e negli ultimi anni sono stati le autrici e gli autori con cui abbiamo sviluppato rapporti forti (Radice e Turconi, Macaione, Marchesini e Dicataldo, Daniel Cuello e molti altri) a influenzare le linee tematiche della nostra offerta. Non sono i libri digitali a fare concorrenza a quelli cartacei, ma tutte le distrazioni dei social, che erodono il tempo che le persone possono dedicare alla lettura e l’attenzione che sono capaci di prestare a ciò che leggono. Per contrastare l’apatia e l’indifferenza, oltre a pubblicare opere significative, che è un’etichetta abbastanza soggettiva e relativa, bisogna intessere un dialogo costante, aperto e onesto con il lettorato, per dimostrare di avere a cuore la comunità, la cultura e la verità, al di là del mero profitto commerciale.

Zerocalcare è ormai indissolubilmente legato a BAO, ma come scegliete le altre voci da pubblicare? Cosa deve avere un autore o un’autrice per entrare nella vostra “famiglia”?

Diciamo sempre con un certo orgoglio che per “tenerci” Zerocalcare non abbiamo avuto bisogno di proporgli contratti speciali, perché il nostro accordo standard era già giusto e onesto. La verità è che abbiamo molti temi in comune, ci rispettiamo profondamente, e abbiamo imparato a proteggerci dalle insidie esterne facendo gruppo. Sono ormai quattordici anni che lavoriamo con lui, e abbiamo venduto più di tre milioni di copie complessive dei suoi libri. Per quanto lui sia vitale per il nostro bilancio, è tra gli autori con i quali abbiamo i rapporto più sereni in assoluto, di base perché è anche una bella persona.
La scelta degli autori si basa sul nostro gusto, sulle affinità artistiche e sulla sensazione di poter raccontare, contestualmente alle opere che realizzano, anche parte del loro percorso umano individuale. Perché a chi legge piace conoscere un poco le vite di chi scrive (e disegna) ed è bello favorire questo processo di scoperta.

Che cosa deve avere un fumetto per parlare davvero al cuore dei lettori e costruire un legame intergenerazionale? E come riuscite a mantenere coerenza editoriale senza rinunciare alla sperimentazione?

Sperimentare, anche a costo di non guadagnarci, è connaturato all’esistenza degli editori, quindi non abbiamo meriti specifici: il lavoro si fa così, provando a capire se le nuove narrazioni possono piacere ai lettori che già ci sono, interessando anche chi ancora non ci legge. Un fumetto, per piacere, deve essere onesto sulle emozioni che racconta o vuole suscitare, perché è nella natura del mezzo narrativo mettere a nudo la parte emotiva di chi racconta usando questo strano ibrido di parole e immagini. Quindi nel fumetto l’onestà e la schiettezza pagano, sempre, e chi pensa di poter raccontare a fumetti solo mediante artifici narrativi scopre che è più importante mettersi in gioco che dominare le tecniche del racconto.

picci

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