Riceviamo e pubblichiamo la lettera – appello della nostra concittadina Martina Patone in merito all’invito della Philharmonie di Luxembourg all’Orchestra Filarmonica di Israele
L’Orchestra Filarmonica d’Israele alla Filarmonica di Lussemburgo
Leggo che il 9 Novembre 2025 la Filarmonica di Lussemburgo ospiterà l’orchestra Filarmonica d’Israele(https://www.philharmonie.lu/en/programme/2025-26/beethoven-tchaikovsky-000000e9001ab953). Dopo quasi due anni di genocidio, in cui ho visto soldati israeliani sparare a persone in fila per un sacco di farina, incendiare tende con dentro famiglie, gareggiare nel colpire con piu precisione agli arti i bambini e compiere simili atrocità senza alcun rimorso, la scelta della Philharmonie mi sembra insensibile e inopportuna.
I più sbrigativi ridurranno la mia indignazione a una censura dell’arte, ripetendo il ritornello dell’arte come ponte tra i popoli. Ma il mio rifiuto non è un attacco all’arte, è una posizione consapevole, radicata proprio nel mio rispetto verso di essa e nella memoria delle azioni compiute dallo Israele.
Agli inizi degli anni 2000, le immagini provenienti da Israele erano quelle di repressione militare, checkpoint, demolizioni di case e vittime civili palestinesi. Israele veniva percepito quasi esclusivamente attraverso la lente di conflitti, terrorismo, occupazione e militarizzazione. Per ribaltare questa immagine, il governo iniziò a finanziare e incoraggiare artisti, musicisti, compagnie teatrali, festival e mostre che presentassero il Paese come creativo, moderno e culturalmente vivace. Questa operazione ha un nome: Brand Israel. E molti di noi, me compresa, ne siamo stati influenzati: da ragazzina sognavo la vita notturna di Tel Aviv e i suoi festival di danza.
Oggi l’immagine di Israele, responsabile di un genocidio sotto gli occhi del mondo, torna a essere legata alla violenza e alle violazioni dei diritti umani. I suoi crimini vengono documentati quotidianamente sui social, mentre agli Oscar arrivano film sull’occupazione in Cisgiordania. E la strategia di ripulitura culturale prosegue. Così, la decisione della Filarmonica di Lussemburgo di ospitare l’orchestra Filarmonica d’Israele, che si fregia di essere il più grande ambasciatore culturale del Paese («È impossibile immaginare Israele senza la sua Orchestra Filarmonica», diceva Shimon Peres, ex presidente e primo ministro di Israele), sembra un tentativo di proteggere l’immagine del Paese, offrendogli una vetrina di prestigio. Anche la Germania nazista utilizzò le tournée internazionali della Filarmonica di Berlino per mostrare all’estero un volto raffinato e colto, mentre in patria perseguitava e sterminava milioni di persone. All’epoca quei concerti venivano accolti come eventi artistici, ma oggi sappiamo che significarono anche legittimare culturalmente il regime.
La scelta della Filarmonica di Lussemburgo appare ancora più sconcertante perché avviene proprio mentre la Global Sumud Flotilla è in mare verso Gaza, con 60 imbarcazioni provenienti da 44 Paesi e circa 26.000 volontari che hanno fatto domanda per portare aiuti umanitari. Solo a Genova, grazie alla mobilitazione popolare, sono state raccolte più di 100 tonnellate di viveri. Dopo due anni di massacri, la società civile non intende più restare ferma. In questo contesto, non è affatto improbabile che molti cittadini e cittadine scelgano di non partecipare a un concerto che celebra l’eccellenza culturale di chi, nello stesso tempo, sta bombardando, affamando, assetando, torturando, bruciando vivi e privando di cure mediche milioni di civili palestinesi.
Questo episodio conferma che, mentre la società civile ha aperto gli occhi ed esprime la propria indignazione, le istituzioni restano prigioniere del pensiero coloniale occidentale e continuano a garantire protezione a Israele, nonostante crimini che tradiscono i valori umani su cui dovrebbe fondarsi la nostra società. La Filarmonica di Lussemburgo, forse in buona fede, avrà pensato di offrire un segnale di pace tra culture. Ma un governo responsabile della morte di 18.700 bambini non può trovare legittimazione su un palcoscenico. E se un’orchestra accetta di farsi ambasciatrice culturale di un Paese che rinchiude, affama e bombarda milioni di persone, allora la crisi di valori non riguarda solo quel regime, ma anche chi lo rappresenta artisticamente.
Lancio quindi un appello ai cittadini e alle cittadine che amano frequentare i concerti della Philharmonie, di farsi sentire, scrivendo all’istituzione per esprimere il nostro dissenso. Invito la Philharmonie a rivalutare la scelta di ospitare l’orchestra Filarmonica d’Israele e a cancellare l’evento. Chiedo inoltre al governo di intervenire direttamente sulla Filarmonica di Lussemburgo, che riceve finanziamenti pubblici, affinché ritiri l’invito, e più in generale di imporre sanzioni a Israele, e di riconoscere ufficialmente il genocidio in corso, la Nakba del 1948, la colonizzazione dei territori palestinesi e l’apartheid israeliano. Perché riconoscere lo Stato di Palestina senza riconoscerne la storia significherebbe compiere un atto superficiale e privo di valore.
Per concludere, vale la pena ricordare che l’orchestra Filarmonica d’Israele nacque nel 1936 con il nome di Palestine Orchestra, fondata dal violinista Bronisław Huberman e composta in gran parte da musicisti ebrei fuggiti dall’Europa nazista. Dopo il 1948, con la fondazione dello Stato di Israele e la Nakba palestinese, l’orchestra assunse il nome attuale di Israel Philharmonic Orchestra.
Martina Patone
