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Giorgio Caproni, il poeta di Genova

Certo si conosce la Genova di De André, del resto magnificamente interpretata dal Giuliano Malatesta nel suo bel lavoro dal titolo omonimo “Da Corso Italia a Via del Campo” pubblicata da Giulio Perrone editore nel 2019 con prefazione di Marco Ansaldo. O anche la Genova descritta intimamente dal tormentato poeta Dino Campana.  Ma Genova non è una realtà semplice, è una città a terrazze verticali, complessa, segreta nella sua bellezza, splendente ma misteriosa nella complessità della sua storia ricchissima, sfuggente spesso  nel suo significato complessivo  anche per chi ci è nato o ci abita da tempo e si perde nell’intrico dei suoi caruggi tortuosi che qualche volte si abbarbicano anche allo spirito dei viaggiatori, che scoprono un mondo di riserve, di non detti, un clima quasi inglese di “never explain, never complain”, dove le notizie circolano ma solo in mille vortici ristretti che molto spesso non sono intercomunicanti. Del resto, non aveva scritto il nobile senese Enea Silvio Piccolomini divenuto papa come Pio II (1458-1464) che “Genova si compiaceva di rivoluzioni e tumulti quotidiani più di ogni altra città d’Italia”, facendo riferimenti alle continue contrapposizioni fra le grandi famiglie della città? Per questo per descrivere poeticamente Genova era forse piu’ adatto qualcuno che venisse da fuori e che la potesse descrivere con immediatezza senza troppo conoscerne i fori interni, cogliendo gli aspetti più fulgidi ed immediati della sua bellezza soprattutto marina, soprattutto mediterranea.

Caproni sente sua una Genova “verticale”, costellata di salite, ascensori, e rampe. Verticale, e per questo motivo, lirica, quasi irrazionale,  sebbene sappia, come esprime, che la tirannica configurazione geografica costringa i genovesi a espandersi in altezza: “Genova sono io – afferma – anzi sono io che sono ‘fatto’ di Genova.”
Questo quadro non cambia nemmeno nella poetica più matura. In Versi, descrive un frammentato paesaggio genovese. Ecco che dalla funicolare s’intravvedono: bianche tende che si agitano alla prima brezza, un bandone che rulla, il mercato d’erbe, e i casamenti chiusi nella prima nebbia. Alla fine del viaggio resta l’immagine della città amata, invisibile, misteriosamente occulta, ma per dirla alla francese – confessa in definitiva il poeta – “je suis malade de Genova”! Giorgio Caproni nasce a Livorno nel 1912 da Attilio e Anna Picchi.

Arriva a Genova con la famiglia a dieci anni, nel 1922, perché il padre Attilio è assunto da una ditta conserviera di Genova, di cui è titolare Eugenio Cardini, e qui vi continua la sua formazione. Finisce le elementari alla scuola Pier Maria Canevari, dedicata all’eroe ventenne morto alla Scoffera contro gli Austriaci nel 1747, e continua con le complementari (le medie di allora) alla Regia Scuola Tecnica Antoniotto Usodimare, studiando contemporaneamente violino e composizione all’Istituto Musicale Giuseppe Verdi di Salita Santa Caterina, che poi non è la Santa di Siena, ma l’omonima di Genova, Caterina Fieschi Adorno. Si sente più musicista che scrittore, ma a diciotto anni decide di abbandonare le sue ambizioni di violinista dopo aver pur tanto faticato sul pregiato violino Candi, che gli aveva prestato il maestro Armando Fossa. Si sente poco adatto al teso clima dei concerti. Lentamente si volge verso gli interessi letterari frequentando il mondo genovese dei critici letterari e dei giornalisti che allora collaboravano ai molti giornali locali del tempo, Tullio Cicciarelli, Giannino Galloni, ma anche compagni di studi musicali come Ferdinando Forti e Adelio Ciucci. Scopre i grandi poeti del tempo, da Ungaretti a Montale a Camillo Sbarbaro che poi incontra grazie alla rivista “Circoli” cui invia anche i suoi primi componimenti, del resto mal accolti dalla redazione.

Caproni ritiene di essere giunto a maturità nel suo itinerario poetico solo nel 1932, dopo un ritorno a Carducci. Le sue prime raccolte “Come un’allegoria” e “Ballo a Fontanigorda” sono pubblicate nel 1938 e nel 1939 dall’editore genovese Emiliano degli Orfini. Intanto, dopo un breve impiego presso un avvocato (Studio Colli di via XX Settembre) diventa, dopo il servizio militare svolto a Sanremo sino al 1934, maestro elementare, il mestiere di tutta la vita. Ottiene la cattedra nella piccola località di Loco di Rovegno nella Valle Trebbia a 40 km. da Genova. La vallata dell’entroterra genovese, estesa verso Piacenza, in realtà esaltata dalla bellezza del fiume, celebrata dallo stesso Ernest Hemingway durante la sua convalescenza dopo Caporetto nel corso della Prima guerra mondiale come “la valle più bella del mondo”. Questi cinque anni di radicamento nell’immediato entroterra (nel 1939 si trasferirà a Roma, sempre come insegnante elementare, con l’amata moglie Rina proprio originaria di Loco di Rovegno), servono al poeta probabilmente per meglio cogliere l’umanità della gente del luogo, esprimente una filosofia di vita meno influenzata dalla febbrilità della vita urbana della grande città, a cui comunque si riconduce l’interesse del poeta. Presto le vicende della Seconda guerra mondiale si intersecheranno con la vita della famiglia Caproni.  L’8 settembre 1943 Caproni è a Loco dove raggiunge le fila della Resistenza molto attiva il Val Trebbia con le Brigate Verdi di Paolo Emilio Taviani e di Aldo Gastaldi “Bisagno”. È commissario del Comune di Rovegno. La sua vita di resistente riecheggia nella raccolta “Il Passaggio di Enea” che raccoglie tutte le sue poesie pubblicate sino al 1956. A Roma, dopo una attività dedicata all’insegnamento sino al 1973, ma anche ad una ricca opera di traduzione di autori francesi, muore nel 1990. E’ sepolto con la moglie Rina nel piccolo cimitero di Loco di Rovegno.

Giorgio Caproni non sarà dimenticato dalla sua città di origine, Livorno, che gli ha dedicato una targa apposta sulla casa dove nacque nel 1912 in Corso Amedeo e gli ha intitolato una piazza del centro. Ma anche Genova in vari modi ha ricordato il suo cantore. La Provincia gli ha dedicato a Montebruno “il Parco naturale Giorgio Caproni” mentre la vicina Fontanigorda, cantata nella sua prima opera, ha inaugurato il “Sentiero Giorgio Caproni”. Due lungometraggi sponsorizzati rispettivamente da Livorno – Il cappotto di lana -presentato nel quadro del Festival Caproni (Luca Dal Canto) e dalla Provincia di Genova – “Statale 45-Io Giorgio Caproni” – ricordano la figura del poeta. Oltre alle due opere  già citate  Giorgio Caproni ci lascia  come principali testimonianze poetiche “Il Passaggio di Enea”, raccolta di poesie pubblicata da Vallecchi nel 1956, “Il seme del piangere”, pubblicato da Garzanti nel 1959 per il quale ha ricevuto il premio Viareggio per la poesia, “Poesie 1932-1986” pubblicato sempre da Garzanti nel 1986, “Quaderno di traduzioni” che Einaudi pubblica nel 1998,  “Genova di tutta la vita” e “I faticati giorni” che San Marco dei Giustiniani pubblica rispettivamente nel 1997  e nel 2000. In omaggio al suo passato di giovane violinista, il compositore Luca Brignole ha musicato una sua poesia Radura con una composizione per soprano ed orchestra eseguita dal Conservatorio Niccolò Paganini di Genova nel 2012, nel centenario della sua nascita. (Loris Jacin)

LITANIA

Genova mia città intera.

Geranio. Polveriera.

Genova di ferro e aria,

mia lavagna, arenaria.

 Genova città pulita.

 Brezza e luce in salita.

Genova verticale,

 vertigine, aria scale.

Genova nera e bianca. 

Cacumine. Distanza.

 Genova dove non vivo,

mio nome, sostantivo.

Genova mio rimario.

 Puerizia. Sillabario.

Genova mia tradita,

rimorso di tutta la vita.

Genova in comitiva.

Giubilo. Anima viva.

Genova in solitudine,

 straducole, ebrietudine.

Genova di limone.

Di specchio. Di cannone.

Genova da intravedere,

mattoni, ghiaia, scogliere.

Genova grigia e celeste.

Ragazze. Bottiglie. Ceste.

Genova di tufo e sole,

rincorse, sassaiole.

Genova tutta tetto. 

Macerie. Castelletto.

Genova d’aerei fatti,

Albaro, Borgoratti.

Genova che mi struggi.

Intestini. Caruggi.

 Genova e così sia,

mare in un’osteria.

Genova illividita.

 Inverno nelle dita.

Genova mercantile,

industriale, civile.

Genova d’uomini destri.

Ansaldo. San Giorgio. Sestri.

Genova in banchina,

transatlantico, trina.

Genova tutta cantiere.

Bisagno. Belvedere.

Genova di canarino,

 persiana verde, zecchino.

Genova di torri bianche. 

Di lucri. Di palanche.

 Genova in salamoia,

acqua morta di noia.

Genova di mala voce.

Mia delizia. Mia croce.

 Genova d’Oregina,

lamiera, vento, brina.

Genova nome barbaro,

 Campana. Montale, Sbarbaro.

Genova dei casamenti 

lunghi, miei tormenti.

Genova di sentina.

Di lavatoio. Latrina.

 Genova di petroliera,

 struggimento, scogliera.

Genova di tramontana.

 Di tanfo. Sottana.

Genova d’acquamarina,

aerea, turchina.

Genova di luci ladre.

Figlioli. Padre. Madre.

Genova vecchia e ragazza,

 pazzia, vaso, terrazza.

Genova di Soziglia.

Cunicolo. Pollame. Trilia.

Genova d’aglio e di rose,

di Pré, di Fontane Marose.

Genova di Caricamento.

Di Voltri. Di sgomento.

Genova dell’Acquasola,

dolcissima, usignuola.

Genova tutta colore.

 Bandiera. Rimorchiatore.

Genova viva e diletta,

 salino, orto, spalletta.

Genova di Barile.

Cattolica. Acqua d’Aprile.

Genova comunista,

bocciofila, tempista.

Genova di Corso Oddone.

 Mareggiata. Spintone.

 Genova di piovasco,

follia, Paganini, Magnasco.

Genova che non mi lascia.

Mia fidanzata. Bagascia.

95 Genova ch’è tutto dire,

sospiro da non finire.

Genova quarta corda.

Sirena che non si scorda.

Genova d’ascensore,

paterna, stretta al cuore.

Genova mio pettorale.

Mio falsetto. Crinale.

Genova illuminata,

notturna, umida, alzata.

 Genova di mio fratello.

Cattedrale. Bordello.

Genova di violino,

di topo, di casino.

Genova di mia sorella.

Sospiro. Maris Stella.

Genova portuale,

 cinese, gutturale.

 Genova di Sottoripa.

Emporio. Sesso. Stipa.

 Genova di Porta Soprana,

d’angelo e di puttana.

Genova di coltello.

Di pesce. Di mantello.

 Genova di lampione

 a gas, costernazione.

Genova di Raibetta.

Di Gatta Mora. Infetta.

Genova della Strega,

 strapiombo che i denti allega.

Genova che non si dice.

Di barche. Di vernice.

Genova balneare,

d’urti da non scordare.

Genova di “Paolo & Lele”.

Di scogli. Furibondo. Vele.

Genova di Villa Quartara,

dove l’amore s’impara.

Genova di caserma.

Di latteria. Di sperma.

 Genova mia di Sturla,

che ancora nel sangue mi urla.

Genova d’argento e stagno.

Di zanzara. Di scagno.

Genova di magro fieno,

canile, Marassi, Staglieno.

Genova di grige mura.

Distretto. La paura.

Genova dell’entroterra,

sassi rossi, la guerra.

Genova di cose trite.

La morte. La nefrite.

 Genova bianca e a vela,

 speranza, tenda, tela.

Genova che si riscatta.

 Tettoia. Azzurro. Latta.

Genova sempre umana,

presente, partigiana.

Genova della mia Rina.

Valtrebbia. Aria fina.

Genova paese di foglie

fresche, dove ho preso moglie.

Genova sempre nuova.

Vita che si ritrova.

Genova lunga e lontana,

patria della mia Silvana.

Genova palpitante.

Mio cuore. Mio brillante.

Genova mio domicilio,

dove m’è nato Attilio.

 Genova dell’Acquaverde.

Mio padre che vi si perde.

 Genova di singhiozzi,

mia madre, Via Bernardo Strozzi.

 Genova di lamenti.

Enea. Bombardamenti.

Genova disperata,

 invano da me implorata.

Genova della Spezia.

 Infanzia che si screzia.

 Genova di Livorno,

Partenza senza ritorno.

Genova di tutta la vita.

Mia litania infinita.

 Genova di stoccafisso

e di garofano, fisso

bersaglio dove inclina

la rondine: la rima.

Giorgio Caproni

 Il passaggio d’Enea, Einaudi, Torino, 1986

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