La competitività come concetto economico utilizzato per bloccare e rallentare l’evoluzione verso il mantenimento o anche il miglioramento di elementi cardini dell’attività dei dipendenti
Nelle attuali discussioni sulla potenziale riforma delle pensioni, qualsiasi misura volta ad aumentare le entrate viene sistematicamente criticata. Uno degli argomenti ricorrenti contro l’aumento delle entrate è il concetto di competitività. Tuttavia, un’analisi più attenta mostra che questi argomenti sono spesso esagerati, persino infondati. In realtà, il rifiuto sistematico di aumentare le entrate è prima di tutto un rifiuto di contribuire a finanziare l’invecchiamento demografico in Lussemburgo.
AUMENTO DELL’ALIQUOTA CONTRIBUTIVA
In primo luogo i datori di lavoro rifiutano categoricamente qualsiasi aumento dell’aliquota contributiva, sostenendo che ciò danneggerebbe gravemente la competitività del Lussemburgo. Secondo il loro ragionamento un aumento dei contributi previdenziali potrebbe dissuadere le imprese dall’insediarsi in Lussemburgo o incoraggiarle a delocalizzare a causa del costo del lavoro. Tuttavia, un’analisi comparativa a livello europeo mette in prospettiva questo timore. In percentuale rispetto ai salari, i contributi previdenziali del Lussemburgo nel loro complesso sono tra i più bassi d’Europa. Un moderato aumento di 1 punto percentuale per parte per finanziare le pensioni non metterebbe a repentaglio questo vantaggio: il Lussemburgo rimarrebbe il sesto Paese con il tasso complessivo di contributi previdenziali più basso. Inoltre, di fronte all’invecchiamento demografico, molti paesi dell’OCSE hanno già aumentato, o stanno pianificando di aumentare, i loro contributi, come ha recentemente sottolineato lo stesso OCSE. Questo contesto riduce notevolmente il rischio che il Lussemburgo perda competitività. Infine va ricordato che l’aliquota contributiva per l’assicurazione pensionistica, a carico sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, non è stata aumentata dal 1976, cioè da quasi 50 anni. Non si può quindi affermare che ci sia una tendenza costante all’aumento, anche se non c’è dubbio che continuerà. Al contrario: per decenni il sistema ha funzionato a un tasso fisso, nonostante i grandi cambiamenti demografici ed economici.
ELIMINAZIONE DEL MASSIMALE
Anche un’altra potenziale misura per aumentare le entrate del sistema pensionistico, ovvero l’innalzamento del tetto o addirittura la sua totale eliminazione, è ferocemente respinta dal fronte dei datori di lavoro, in quanto aumenterebbe la base contributiva.
AUMENTO DELLA TASSAZIONE
Anche un aumento del budgeting del finanziamento delle pensioni, un’opzione che sarebbe perfettamente concepibile, almeno in linea di principio, è ancora rifiutata dai datori di lavoro per paura di aumentare la pressione fiscale. In particolare nel caso del nuovo sistema previdenziale è rifiutata anche dai datori di lavoro per il timore di un aumento della pressione fiscale, soprattutto per le aziende. Tuttavia è importante ricordare che la tassazione delle imprese è diminuita costantemente e in modo molto significativo negli ultimi decenni e l’aliquota fiscale è ancora molto bassa. L’attuale governo intende proseguire questa tendenza riducendo ulteriormente la tassazione sulle imprese. Questo contesto rende difficile giustificare l’argomentazione secondo cui una partecipazione più equilibrata delle aziende al finanziamento delle pensioni, anche attraverso la tassazione, danneggerebbe la loro competitività.
Infine, sembra che qualsiasi misura volta ad aumentare le entrate del sistema pensionistico incontri una feroce opposizione, sempre con il pretesto della competitività. Questo comportamento ostinato dimostra chiaramente che il rifiuto di un sistema pensionistico non è basato su reali rischi competitivi, ma piuttosto sul desiderio sul desiderio dei datori di lavoro di evitare a tutti i costi un maggiore contributo al finanziamento dell’invecchiamento della popolazione. Il rifiuto di qualsiasi aumento delle entrate del sistema è estremamente deplorevole, soprattutto perché, rispetto ad altri Paesi europei, il Lussemburgo è uno dei Paesi in cui le imprese (finanziarie e non) contribuiscono meno alla protezione sociale in percentuale del PIL rispetto ad altri Paesi europei. Il fatto che, nel corso dei decenni, le aziende abbiano accumulato un colossale guadagno di opportunità come risultato di questa situazione rende il loro rifiuto di aumentare le entrate ancora più ingiustificabile.
Tuttavia, nel lungo periodo, e in considerazione dell’invecchiamento della popolazione, un aumento dei ricavi sarà inevitabile se l’obiettivo è quello di preservare la qualità del sistema attuale. Rifiutarsi di farlo significherebbe mettere in discussione l’intero sistema pensionistico così come lo conosciamo. Non si capisce perché si cerchino d’utilizzare argomenti per attaccare la spesa pensionistica che malgrado l’aumento dell’età della popolazione mantiene uno dei migliori sistemi d’Europa e che malgrado l’età pensionabile a 65 anni deve essere rivisto dopo la riforma del 2012 che ha avuto un impatto negativo su persone che hanno lavorato tutta una vita. Le pensioni minime hanno avuto da gennaio 2025 un incremento del 2%.
(A cura di Marcello Magliulo)
Analisi completa nella pubblicazione Econews 3 della CSL
https://www.csl.lu/app/uploads/2025/02/econews-3-2025.pdf
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