Munch. Il grido interiore” è il titolo della corposa retrospettiva del famoso pittore, ospitata a Milano a Palazzo Reale fino al 26 gennaio e, parafrasando il titolo, si può dire che ” l’ urlo è dentro di noi”, è ciò che spesso ci rifiutiamo di fare emergere; sono il nostro inconscio e le nostre paure.

La mostra è stata allestita per omaggiare il pittore a ottant’anni dalla morte. L’ esposizione, che consta di 100 opere, tra litografie, dipinti, appunti, stampe e disegni, si snoda attraverso le varie stanze, ripercorrendo la vita interiore dell’ artista. Munch ha avuto la sfortuna di una serie di lutti familiari, che lo hanno provato psicologicamente: la morte della madre quando aveva cinque anni, la morte di una sorella e l’ altra ricoverata in una casa di cura e, successivamente, la morte del padre. Egli stesso aveva una salute cagionevole. Tormentata è stata anche la sua relazione sentimentale con Tulla.Pur avendo vissuto il clima della Belle Epoque, non l’ ha raffigurata in modo edonista, ma l’ ha vista con introspezione. È come se gli interessasse più la sostanza della forma.Le sue opere parlano, raccontando dei suoi dissidi interiori.Le sue figure sono evanescenti, abbozzate quel tanto da rivelare i propri sentimenti, ma senza scoprirsi troppo. I suoi, sono i dipinti dei ” moti dell’ anima e dei sentimenti: delle emozioni”.Munch ha la capacità di trasferire su tela le complesse sfumature dell’ animo umano, di dare corpo al nostro inconscio.Le sue opere raccontano il suo passato più che il suo presente, come se volesse esorcizzare i suoi ” fantasmi” rendendoli visibili dipingendoli.Questo accade, per esempio, ne ” La morte nella stanza della malata”, dove le persone sono tutte senza volto e l’ unica con il volto è una donna rivolta verso il pubblico come se fosse l’ unica consapevole del dolore; oppure, ” Disperazione ” dove è rappresentato un uomo con lo stesso sfondo dell'” Urlo”, con un’ espressione indecisa, come se non avesse risposte alle sue domande; o in “Visione ” dove è raffigurata una testa che affiora sul pelo dell’ acqua: è un’ opera molto cara a Munch e rappresenta l’ inconscio. E, ancora, i dipinti nei quali viene trattato l’ amore nelle sue varie forme: “Il bacio”, dove l’ uomo e la donna sono sfumati e sembrano un tutt’uno: un corpo solo e un’ anima sola; o, in “Attrazione” dove la coppia è avvolta dai capelli della donna, quasi a volersi isolare dal resto del mondo e, da ultimo, ” Vampiro”, in cui l’ abbraccio tra una donna e un uomo sembra trasformato nel bacio di una vampira e dà adito a molte e diverse interpretazioni.In tutto questo turbinio di emozioni, scatenato dalla visione di queste opere meravigliose, coinvolgenti e, nel contempo, particolarissime, che colpiscono per i colori e per le forme fluttuanti, manca il “quadro dei quadri”, ossia “L’ Urlo”, una delle opere più iconiche al mondo insieme alla ” Gioconda” di Leonardo. In realtà, è presente in mostra una delle tre versioni de ” L’ Urlo”, la litografia originale del 1895. Le altre due versioni non possono essere più trasportate, perché sono state dipinte su carta e non su tela e, quindi, sono molto delicate e possono essere rovinate dalla luce e dalle lunghe esposizioni.

” L’ Urlo” rappresenta l’ apoteosi delle nostre paure, delle nostre ossessioni: è quasi ” liberatorio”. La paura e l’ angoscia di costruire qualcosa di duraturo, ha impedito a Munch di stringere rapporti solidi con le donne. L’ unica che era quasi riuscita a portarlo al matrimonio, è stata Tulla Larsen. Il pittore vivrà con lei una relazione intensa e turbolenta che culminerà nell’ abbandono dopo una lite nella quale un colpo di pistola gli mutilerà un dito. La fine di questo amore è reso magistralmente nell’ opera ” La morte di Marat”, dov’è il pittore si autoritrae morto, nudo, su un letto, con davanti una donna nuda in piedi. Ci sono due versioni di questo quadro. La prima dà l’ idea di un abbozzo: il pittore non si è ancora ripreso dalla fine della sua storia, la seconda denota la presa di coscienza e consapevolezza del suo dolore e il suo distacco da esso. Da ultimo, si potrebbe azzardare un parallelo con Van Gogh. Entrambi sono stati ricoverati in una casa di cura a causa dei loro ” fantasmi” e d entrambi hanno realizzato opere particolari durante la loro degenza quasi a liberarsi dalle loro inquietudini: colorate quelle di Van Gogh, in bianco e nero quelle di Munch, in quanto ha realizzato 18 litografie intitolate ” Alfa e Omega”, ossia, l’ inizio e la fine, rappresentati da Adamo ed Eva. Due pittori straordinari che hanno usato la loro inquietudine come forza per dipingere la realtà attraverso di essa. Edvard Munch ha assorbito diversi generi pittorici, attingendo da essi, ma non identificandosi mai pienamente: l’ unicità del genio.

Anna Violante 

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