I deputati lussemburghesi recentemente eletti al Parlamento europeo hanno commentato, con accenti diversi, il recente rapporto di Mario Draghi per il rilancio della competitività europea immaginato dall’ex-presidente BCE come finanziabile con 800 miliardi di prestiti da aggiungere in coda al Next Generation EU per futuri investimenti nella difesa, nell’ecologia e nelle innovazioni. Marc Angel (LSPA) lo accoglie favorevolmente perché “riprende una delle richieste maggiori del gruppo S&D, quella della decarbonizzazione della economia. Charles Goerens lo saluta come un rapporto “essenziale e pertinente”, Isabel Wiseler-Lima (CSV) lo indica come un rapporto che “deve chiamare all’azione”, anche se non si nasconde che ci potranno essere problemi di accettazione soprattutto in materia di copertura finanziaria. Fernand Kartheiser (ADR/CR) privilegia la pista del finanziamento con riforme di procedura mentre considera la via del lancio di un prestito comune come “totalmente illegale rispetto ai trattati”. Nello stesso senso sul piano Draghi si era già espresso negativamente il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner.

Ora, nel piano Draghi il rischio corso dall’Europa è obiettivamente molto chiaramente individuato. In materia di competitività si sta ricreando per l’Europa la situazione negativa già conosciuta storicamente dopo la crisi energetica 1974-1979 allora a vantaggio di Giappone e Stati Uniti, oggi a favore di Cina e Stati Uniti. Se l’obiettivo è lodevole, comporta però il rischio che le emissioni ulteriori di euro-obbligazioni lentamente convertano le istituzioni in centri di indebitamento, seguendo la UE l’esempio di paesi come l’Italia o la Francia. Anche se un recente rapporto della Corte dei Conti Europea ha provato che sinora gli stati membri hanno attinto sino a fine 2023 solo un terzo dei 724 miliardi stanziati dal PRR disposto a seguito della pandemia, mentre l’Olaf, l’ufficio antifrodi e  la procura europea sta indagando su grosse malversazioni riguardanti l’utilizzo dei fondi in cui si segnalano almeno due Paesi. Non è escluso del tutto che anche gli stanziamenti importanti previsti da Draghi finirebbero, quindi, anche essi per risultare in parte non utilizzati, riducendo peraltro in tal modo l’importo della nota futura da pagare ai creditori. Ma noi non scriviamo al momento pro- o contro questo testo.

Riflettiamo invece su quelli che a nostro parere sono gli ostacoli strutturali a monte del rapporto, di cui il rapporto quindi non parla ma che a nostro parere la UE dovrà comunque confrontarsi prima o poi, non solo per conseguire una maggiore competitività ma semplicemente per assicurarsi la sua stessa sopravvivenza politica in un mondo che in pochi anni è tanto drammaticamente cambiato.

Primo. Uscire dalla logica della guerra e del sostegno acritico all’Ucraina che ha impedito il piano di pace contenuto negli accordi di Minsk del 2015 fatti saltare dall’interno dai membri del “Protocollo Normandia” (Francia e Germania, v. la confessione di François Holland) e dall’esterno, da Gran Bretagna e Stati Uniti, nel marzo 2022, nella speranza di provocare con la guerra “contro una tigre di carta” un cambio di regime in Russia. Un pio wishful thinking. Finirla insomma con una posizione bellicista che contraddice i principi costitutivi dell’Europa secondo Altiero Spinelli contrari ad ogni nazionalismo e mette di fatto  il sistema europeo al  servizio di un nazionalismo  slavo, della ucrainizzazione totale dell’Ucraina voluta da un Zelinsky animato dalla contrapposizione storica alla Russia della parte occidentale della Ucraina di oggi,  nel quadro di un paese invece da sempre fondamentalmente multietnico, abitato da una forte minoranza di 7 milioni di russi o russofoni. Una situazione di concessione di autonomia alla Trentino-Alto Adige per la minoranza russa del paese (7 milioni sugli originali 42 milioni) era con la mediazione turca nel marzo 2022 sulla porta di casa e avrebbe risparmiato la vita solo ora già a mezzo milione di persone e salvato l’Ucraina dall’annichilimento economico. Mentre le dichiarazioni di Ursula von der Leyen che si sta con l’Ucraina per difendere una “libertà che non ha prezzo” restano indefinite e non si capisce se questo vuol dire che la bandiera stellata della UE deve un giorno sventolare sulla Perspective Nevski di San Pietroburgo. Contro ogni realistica evidenza. O qualcos’altro.

Per l’Europa poi i costi della guerra sono insostenibili dopo gli effetti devastanti del Covid ed ancora più insostenibili sono gli effetti suicidari delle  17.500 sanzioni  europee che anziché indebolire la Russia come auspicato (chi non ricorda al proposito le frasi del Ministro francese dell’Economia?) stanno portando anche per effetto delle scelte anti europee degli alleati americani (distruzione dei gasdotti Nord-Stream, introduzione del Chips Act e dell’Inflation Reduction Act, entrambi devastanti per gli interessi europei) alla de-industralizzazione di massa in Europa con paesi come la Germania che in due anni perdono un 6% del PIL o come l’Italia, in deindustrializzazione continua da diciotto mesi con l’ultimo indice ISTAT di luglio che segna un -3,3% rispetto allo stesso mese del 2023.

Come è possibile vedere quasi come unica ragione esistenziale dell’UE  l’entrata in una guerra ( molti stati-membri della UE sono ormai di fatto co-belligeranti contro la Federazione Russa in virtu’ di accordi bilaterali sottoscritti con l’Ucraina) ad impatto mondiale contro un paese che ci ha sempre permesso la più grande competitività dell’industria europea attraverso la fornitura di energia a basso costo oltre a fertilizzanti e materie rare di cui solo la Russia ha il  monopolio e che adesso invece rafforzano i grandi concorrenti mondiali ( dall’India alla Cina) della industria europea, che  ricevono energia a basso costo al posto nostro mentre l’Europa compra  dall’America la stessa energia a quattro-.cinque volte tanto? Questo, insieme all’acquisto di miliardi di armi americane contro l’ultimo nemico, dopo Serbia, Iraq, Libia, Afghanistan a scapito di investimenti nel sociale, nella sanità, nell’educazione, con la prospettiva di batterci in seguito nel Mar Cinese Meridionale dopo la Russia contro il nuovo avversario individuato dall’America profonda: la Cina di Xi Jinping.

Secondo. Modificare il funzionamento dell’EURO. L’EURO  così come è stato concepito dopo il noto compromesso franco-tedesco Mitterand-Kohl del dicembre 1991 che ne ha fatto una moneta unica e non comune, in assenza di unità politica acquisita, di una politica comune fiscale o di bilancio,   favorisce solo i paesi già a moneta forte e comprime o annulla ogni prospettiva di crescita negli altri paesi perché poggia su di un sistema cui manca non solo una banca centrale (la BCE non è una banca centrale perché non è prestatrice di ultima istanza dei governi) ma anche crudelmente la gamba costituita da trasferimenti finanziari di equilibrio fra la Germania e gli altri paesi, come accade in ogni paese a moneta unica. Con un gap di competenza di natura monetaria del 20% la Francia è costretta così a pagare per evitare il crollo del suo sistema industriale in aiuti alle imprese sino ad un terzo del suo debito consolidato. Passaparola ha già pubblicato un capitolo critico sull’Euro a cui rimandiamo. E gli investimenti non si fanno in Germania perché il paese vuole essere a tutti i costi il primo paese esportatore del mondo e non si fanno negli altri paesi perché la corazza dei criteri di convergenza congegnati – da ultimo il trattato del 2012- soffoca da troppi anni le possibilità di spesa statale. Rendendo problematica l’attuazione di ogni manovra di tipo anti-ciclico.

Terzo. La terza condizione è la revisione del ruolo europeo nella alleanza con gli Stati Uniti. L’abbraccio occidentale della UE secondo una dipendenza satellitare con questo paese può rivelarsi per l’Europa un abbraccio mortale. Gli Stati Uniti secondo una realtà quasi nascosta sono oggi  un paese in profonda crisi sociale, con la peggior situazione distributiva interna fra i paesi OCDE (indice di Gini a 0,49) , che conosce grandi fratture interne, dove il 13% della popolazione non ha alcuna copertura sanitaria mentre il rapporto del salario fra PDG e impiegato medio  è passato da 20 volte nel 1960 a 278 volte nel 2018 e dove il 10% della popolazione più ricca che paga poi meno tasse di tutti (8%) possiede più della metà dell’intero reddito del paese, con il risultato che i suoi presidenti sono di fatto prescelti prima delle complesse elezioni democratiche  da una ristretta cerchia di ricchissimi oligarchi come Elon Musk. Paese che comunque grazie al suo potente esercito, alla dotazione di basi nel mondo intero rimaste dal 1945 e alla sua alta tecnologia vuole conservare ad ogni costo la sua egemonia. L’Europa deve invece a nostro parere ritrovare una propria autonomia ed aprirsi al mondo del Restsenza rimanere come oggi prigioniera del West e della NATO. I BRICS PLUS stanno aumentando sempre più la loro importanza nel mondo e presto scalzeranno gli occidentali dall’attuale piedistallo fondato sullo strapotere del dollaro, ricreando quella condizione di equilibrio delle forze (Mutual Assured Distruction) che rimane forse l’ultima condizione per salvare il mondo dalla Terza Guerra Mondiale e dai focolai che continuano ad aprirsi nel mondo da quando negli USA si è fatto spazio dopo la frantumazione dell’URSS  l’illusione nutrita dai neo-conservatori di un mondo unipolare,  un mondo cioè che dovrebbe accettare solo le regole da loro inventate, usando anche false prove, come la fialetta di Colin Powell, agitata all’ONU contro  l’Iraq di Saddam Hussein. Nella realtà il complesso militare industriale americano di cui parlava il presidente Ike Eisenhower in epoca non sospetta non ha mai lavorato tanto dalla caduta dell’URSS per rendere il mondo sempre meno pacifico. Bosnia, Serbia, Siria, Afghanistan, Libia, oggi Palestina e Ucraina, i due paesi che gridano al mondo il suo doppio standard, i due pesi-due misure della politica americana attuale. Ma con i cittadini americani in sofferenza come non mai e con l’Europa zitta,  infelice e impaurita a seguire le scelte atlantiche al seguito della  lobby interna  costituita da un gruppo di paesi ex-sovietici entrati in massa fra il 1999 e il 2004 nella UE, per volontà americana, contro l’unica inutile resistenza francese di allora,   che immaginano ancora di essere  impegnati nella lotta contro il  bolscevismo sovietico, defunto da più di trent’anni, ma mantenuto in vita dalla falsa propaganda dei media. E qui ci si domanda dove sono finiti i consulenti russologhi delle istituzioni.

Quarto. Se Il mondo sta cambiando nel senso della insicurezza globale ma anche ecologicamente, occorrono certo dei provvedimenti anche europei ma la Commissione non può finire nel fondamentalismo regolamentare che ha finito per prendere a picconate l’unico settore industriale che ancora funzionava in Europa: quello automobilistico a propulsione termica, oltre al settore agricolo.  Finendo solo per incoraggiare la molto piu’ avanzata produzione elettrica cinese, con migliaia di auto elettriche cinesi oggi bloccate dalle dogana belga (ma fino a quando?) sulle ceramiche blu dei moli del ponte di Anversa.

Persa ogni autonomia ed autorevolezza di giudizio leader europei obbiettivamente mediocri – e questo non è per l’Europa un problema secondario- stanno portando l’UE contro il muro. Lentamente i cittadini vedono compromesso il loro presente e il loro futuro. Avevano vissuto e condiviso decenni marcati dalle tre P, Pace, Progresso, Prosperità. Oggi vivono nelle tre I, nella insicurezza economica e sociale, nell’inquinamento, in un’immigrazione che diventa problema anche per mancanza di crescita, nella Guerra e votano sempre piu’ contro questa insoddisfacente situazione per i partiti della destra sovranista, i cui consensi aumentano di elezione in elezione, anche se ufficialmente si continua a dichiarare ad ogni tornata che non sono ancora abbastanza per costituire un livello di pericolo. Ma gli avvertimenti contrari non mancano. Anche l’imperatore etiopico Heilé Selassié aveva dichiarato nel 1936 alla impotente Società delle Nazioni di Ginevra che se non si faceva qualcosa contro l’Italia fascista dopo sarebbe toccato agli altri. Previsione puntualmente avverata. Domani potrebbero scendere in massa nelle strade i cittadini europei – anche le formiche nel loro piccolo si incazzano – come hanno già fatto i “gilet gialli” in Francia e gli agricoltori europei di fronte a dei regolamenti penalizzanti, completamente distaccati dalla loro difficile realtà operativa. Le istituzioni vogliono davvero in futuro lavorare a Bruxelles in un clima simile a quello delle Cinque Giornate di Milano?

Questi sono per noi i fatti. Il resto è il muro o come dice Briatore il blabablabla.., nella splendida imitazione di Maurizio Crozza.

Carlo degli Abbati

Carlo degli Abbati è cultore della materia di Diritto Europeo preso il Dipartimento di Lingue e Culture Moderne della Università di Genova. Ha insegnato alla Università del Nord-Est di Metz e alla Università di Trento.

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