Il mondo dell’editoria è un mare di squali, un’oceano infinito in cui è facile disperdersi o affondare, ma per fortuna vi sono dei fari che aiutano autori e lettori a navigare consapevoli.  La Lumien Edizioni è una casa editrice italiana specializzata nel fantastico che  pubblica autori esordienti e/o emergenti prettamente italiani, obiettivo che la casa editrice si è prefissato sin dalla nascita. Dopo quasi due anni, la casa editrice di Mestre (VE) è ora un porto sicuro per autori e lettori dove le storie assumono forme reali e, soprattutto, fantastiche.  In seguito all’incredibile successo al Salone Del Libro di Torino-  in cui lo Stand N06 nel Padiglione 3 è stato assaltato dai lettori –  abbiamo voluto intervistare questa sana e magnifica realtà editoriale

Siete fruitori di storie. Siete autori ed editori, lettori e critici. Raccontateci una storia. La vostra storia.

La storia di Lumien è una storia che parla di destino e sogno. Il percorso di Alvise Canal, direttore editoriale e fondatore della CE, si è allontanato tante volte dall’ambito editoriale, salvo tornarci ogni volta, in un ciclo infinito, un percorso che gli ha permesso di acquisire le conoscenze laterali fondamentali per gestire una casa editrice. Lumien nasce così da un sogno, ovvero quello di offrire alle tante penne italiane un modo per raccontarsi e per vincere il pregiudizio che vuole solo le penne estere capaci di affrontare il fantastico.

Affrontare e sconfiggere i pregiudizi sul genere Fantasy è una scelta ardua e coraggiosa. In quale modo, nei libri che pubblicate, o nei racconti della vostra rivista letteraria Sussurri , portate avanti la vostra crociata contro gli stereotipi?

Già di per sé pubblicare penne solo italiane dimostra la nostra volontà di spezzare questi stereotipi. Con la nostra linea editoriale vogliamo distruggerne tre: la presunta incapacità delle penne italiane rispetto a quelle estere; la presunta inferiorita delle autrici di fantastico rispetto alla controparte maschile; il presunto minor valore del fantastico rispetto ad altra narrativa (non di genere, ma non solo). Questo lo facciamo pubblicando poche storie ma di grande valore e con la nuova collana Lanterne, nata proprio per raccontare e valorizzare il fantastico.

Il genere fantastico ha centinaia di sottogeneri, temi e sfumature. Da poco avete pubblicato un manuale salvagente “Anatomia Del Fantasy” per tutti gli autori e lettori dispersi nel mare immenso quale il genere fantastico.  Quale/quali sottogeneri il pubblico ama maggiormente? Quale voi preferite? Cosa non avete ancora pubblicato e vorreste pubblicare ?

Troppe domande, impossibile dare a tutte una degna risposta, perché necessiterebbero di tanto spazio. Oggi i generi fantasy più amati, e di conseguenza venduti, sono tre: high (inteso come tutto il filone più classico), dark e romance (in misura inferiore, seppur la risonanza mediatica sia elevatissima). Alvise predilige l’high fantasy a tinte dark, storie con sistemi magici hardissimi, mentre Giulia divora i “romantasy” (se poi c’è una componente heist è la fine). In futuro ci piacerebbe tanto pubblicare urban, grimdark, umoristici, cozy e portal: insomma, tutti i sottogeneri che ancora non siamo riusciti a raccontare.

Tra i vostri autori esordienti ci sono soprattutto, italiani. Perché ritenete importante diffondere la cultura italiana del fantasy?

Non ci sono “soprattutto italiani”, ci sono SOLO italiani, e così sarà sempre. Di fantasy estero, soprattutto anglofono, siamo già pieni. È quello italiano che aveva bisogno di aiuto, di un alleato. Ed eccoci qua.

Abbiamo parlato della cultura dell’Italia nelle vostre storie e, quindi, non si può non citare Enzo De Simone, napoletano Doc e l’ ultima vostra pubblicazione “Megalò” o anche, dello stesso autore, “Il Rione Dei Raggiri” pubblicato da Acheron in cui Napoli ha un ruolo centrale. A Lussemburgo vi è una forte comunità napoletana che, seppure lungi da casa, colora questo Paese di azzurro. Attraverso che cosa traspare Napoli nei vostri libri? E in generale, come l’ambiente in cui l’autore vive influenza la narrazione ?

In “Megàlo” non traspare molto di Napoli, seppur gran parte del romanzo sia ambientato a Capua, città campana non troppo distante, perché l’ambientazione è quella dell’antica Roma. Napoli traspare forse di più in “Le notti di Cliffmouth”, ma non per come ve lo aspettereste. Quella partenopea è più un’ispirazione alla base di alcuni elementi, una forte suggestione del nostro autore Mattia Manfredonia (intervistato da PassaParola, QUI), anch’esso napoletano.

Avere un rapporto stretto tra editore, autore e lettore è fondamentale.  Credete avvenga nell’editoria italiana? Che rapporto avete con i vostri autori e con i lettori?

In Italia, ma anche all’estero, difficilmente avviene. Consapevoli di questo, abbiamo lavorato molto affinché non ci fosse distanza fra gli “operatori”. Fra noi, le nostre penne e chi legge/acquista i nostri libri cerchiamo ci sia un canale di contatto diretto, una certa vicinanza. Per questo le tante live e i tanti momenti di interazione con chi ci legge. Con gli autori, poi, abbiamo un rapporto fantastico: siamo un team davvero incredibile ed è una cosa che ci rende super orgogliosi e che crediamo traspaia dalle nostre azioni, soprattutto in fiera. La nostra intenzione è creare un modo di fare editoria in cui editori, lettori e scrittori sono sempre più vicini.

Al Salone del libro di Torino di quest’anno sono emerse le gioie e i dolori di molte case editrici.  Qual è, secondo voi, il problema più grande nell’editoria odierna? Quale la più grande caratteristica italiana?

Servirebbe un’intervista solo per questo argomento. Molte problematiche sono emerse anche al Salone, basti pensare alla presenza di editori a pagamento nella fiera più importante d’Italia. Sono però due i problemi, anzi, proprio le malattie, che affliggono questo settore. Il primo è molto difficile da affrontare e argomentare in poco spazio, perché dipende in modo significativo da quelle che sono le politiche culturali e sociali in Italia. Il sintomo più evidente di questa malattia è la mancanza di lettori. Nel nostro Belpaese si legge troppo, troppo poco. Ma veramente poco. E le cause sono radicate nella nostra società, nel sistema scolastico, ecc.

Il secondo problema, invece, è la distribuzione, un vero e proprio monopolio che rende la vita a piccoli e medi editori molto difficile, nel momento che i distributori, di proprietà dei principali gruppi editoriali, trattengono il 60% del costo di copertina di un libro nel suo ciclo di vita/vendita. Quello dell’editoria è un mondo per lo più sconosciuto, che da oltre vent’anni soffre gli stessi problemi, che di giorno in giorno rovinano questo settore, minacciandolo. Noi abbiamo qualche asso nella manica, qualche strumento per cercare di rinnovare i meccanismi editoriali, ma servirà tempo e dedizione, e tanti alleati: ma quelli, forse, stiamo riuscendo a tirarli su.

Erlond per PassaParola Mag

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