Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.

Leonardo Sinisgalli

Leonardo Rocco Antonio Maria Sinisgalli nasce a Montemurro (Potenza), in Basilicata, nel 1908. Non si chiama Leonardo per caso. Curioso di ogni conoscenza, vuole dapprima fare il garzone di bottega del fabbro mastro Tittillo, dopo aver frequentato la bottega di don Vito Santoro, ma poi continua gli studi a Caserta, Benevento, Napoli sino a Roma, dove si laurea in Ingegneria Elettronica e Industriale dopo un biennio di matematica, ma adora la poesia. Scriverà in seguito:” Mi pareva di avere due teste, due cervelli, come certi granchi che si nascondono sotto le pietre”.  Tutta la sua vita si ingegnerà da matematico-poeta a conciliare le conoscenze scientifiche con le sue passioni umanistiche. Nel 1929 rinunzia all’invito di Enrico Fermi ad entrare nell’Istituto di Fisica di via Panisperna per concentrarsi sulle attività letterarie, ma lo fa con i dubbi e le tensioni legate ai due poli magnetici che lo attirano entrambi. Dopo aver sostenuto a Padova nel 1932 l’esame di stato per l’esercizio della professione di ingegnere parte per Milano ed è qui che si esprime umanisticamente. Già a Roma aveva frequentato gli artisti che si incontravano al Caffè Aragno, come il pittore Scipione, Mario Mafai, Libero de Libero, collaborando alla rivista Italia Letteraria. In seguito si fa apprezzare da Giuseppe Ungaretti e con il suo incoraggiamento partecipa ai Littorali per la gioventù a Firenze nel 1934, vincendo il premio per la sua poesia “Interno orfico”. Rientra a Montemurro nel 1935, dopo avere a Milano per nove anni trovato interesse in ogni cosa, interessandosi di architettura, decorazione, pubblicità, critica artistica.

Ma poi il richiamo degli amici come Domenico Cantatore e Cesare Zavattini lo riporta a Milano. La sua raccolta “Campi Elisi” del 1939 viene pubblicata da Giovanni Scheiwiller già editore della sua opera prima “18 Poesie” che con lui inaugura la fortunata collana “All’insegna del pesce d’oro” dal nome dell’osteria in cui si riunivano Scheiwiller e Sinisgalli, ma  anche Quasimodo e Cantatore.  Lo plaudono anche critici illustri come Emilio Cecchi e Francesco De Robertis. La sua ispirazione poetica subisce l’influenza delle sue conoscenze scientifiche nella ricomposizione in un disegno unitario delle due culture scientifica e artistica, che il poeta esprime con “Ritratti di macchine” e “Quaderni di geometria” per darvi compiuta espressione piu’ tardi nella rivista “Civiltà delle macchine”. Su consiglio di Alfonso Gatto fa domanda e viene assunto dalla Società del Linoleum come organizzatore di convegni e collaboratore di una rivista specializzata.

L’anno dopo, Adriano Olivetti lo assume come responsabile dell’Ufficio Tecnico di pubblicità. Il suo lavoro professionale è di grande successo, all’origine delle vetrine e dei manifesti pubblicitari del tempo che sono quasi antesignani della pop-art. Ma anche la sua antologia poetica è encomiabile. Alla base della sua ispirazione sta la Lucania, primordiale, astorica, immobile (dove, poi scriverà, chiedeva “ ispirazione alle vigne e alle vette”) e se lo svolgimento è influenzato dall’ermetismo di Gatto o di Quasimodo, il taglio è molto piu’ nitido, incisivo, la pronunzia è “netta, senza sbavature”, come scriverà Giacinto Spagnoletti, lontana dal terreno allusivo e sfumante dominante in territorio ermetico, restando  incline all’esprit de géometrie. In seguito da  Vidi le Muse (1943) a Nuovi Campi Elisi (1949) sino a Dimenticatoio (1978) il taglio diventa piu’ epigrammatico-aforistico. Ma è il suo “secondo cervello” ad impegnarlo di continuo.

Due anni dopo l’Olivetti è il passaggio alla Pirelli come direttore artistico, dove vi fonda l’house organ Pirelli, la rivista del Gruppo che troverà poi espressione nel 1953 in “ Civiltà delle macchine “. Il suo manifesto  che rappresenta una suola con lo slogan “CAMMINATE PIRELLI” diventa celebre. Nel 1949 un suo documentario scientifico sui solidi superiori, Lezione di geometria,  è premiato al Festival del Cinema di  Venezia come anche Millesimo di millimetro, un cortometraggio girato con Virgilio Sabel che avrà lo stesso riconoscimento. Nel 1950 pubblica Furor mathematicus, raccolta di saggi scientifici che prelude alla Civiltà delle macchine. Ma lavora anche per Finmeccanica e su richiesta di Enrico Mattei si impegna in una vasta campagna pubblicitaria per l’AGIP che lo porta a girare il mondo. Nel 1961 diventa anche consulente part-time per l’Alitalia. Si dà nel frattempo al disegno e al ritratto e nel 1962 comincia le esposizioni a Milano dove ritorna nel 1963. Pensa di avervi ormai acquisito una solida nomea ma la “città tecnica” di Paola Emilio Gadda sembra averlo nel frattempo dimenticato. Ritorna deluso a Roma dove fonda la Rivista di design La botte e il violino, collabora al “Mondo” di Pannunzio e al “Tempo Illustrato”. Crea allora una house organ per l’Alfa Romeo, “Il quadrifoglio” rivista automobilistica che dirigerà sino ai 65 anni. Nel 1966 una sua antologia la Poesia di ieri vince il Premio Fiuggi.  In pensione dal 1967 cura dopo il Teatro dell’Usignolo, programma radiofonico curato nel dopoguerra, un nuovo programma “La lanterna”  con il noto regista televisivo Giandomenico Giagni,  che andrà avanti per due anni. Intanto negli anni ’70 si moltiplicano i premi e i riconoscimenti, il premio Gubbio-Interami (1971), il Premio Viareggio (1975), il Premio Vallombrosa nel 1978 che è anche il doloroso anno della perdita della moglie Giorgia de Cousandier. Nel 1980 vedono la luce le “Imitazioni della Antologia Palatina” per le edizioni della Cometa. Ma il poeta è ormai preso dalla passione per il disegno, fonda a Roma la Galleria “Il Millennio”. Durante una sua seconda mostra personale di acquarelli e di disegni nella Galleria muore d’improvviso per un secondo infarto il 31 gennaio 1981. E’ sepolto a Montemurro (Potenza) con una lapide su cui, per volontà dell’esecutore testamentario Rodolfo Borra, sta scritto:” Risorgerò fra tre anni o tre secoli tra raffiche di grandine nel mese di giugno”. Per auspicio del Comune di Montemurro e della Fondazione Banco di Napoli nel centesimo della sua nascita è nata la Fondazione Casa delle Muse nella casa prospiciente a quella dove nacque il poeta che conserva libri, disegni, pubblicità, pubblicazioni editoriali, riviste e poesie sue e di altri artisti a lui cari come Gentilini, Cantatore, Turcato. Una Casa delle Muse che racchiude tutta la versatilità straordinaria del Leonardo, ingegnere-poeta.

Loris Jacin

“Decade inesorabilmente l’idea dell’arte come mestiere perché inesorabilmente decadono i mestieri e subentrano le tecniche. Con le mani si fanno i tappeti e piramidi e pergamene a beneficio dei sacerdoti e dei principi, delle moschee e delle reggie, si fanno vetrate per le cattedrali e mosaici. Si alimenta l‘ozio dei ricchi, la voluttà dei vecchioni, si fa crescere il numero dei porci di Epicuro. Quali benefici hanno tratto i popoli dall’arte? Pane e cicoria, pane e cipolla, pane e pummarole. Intanto il pascià e il vescovo carezzano i damaschi e ascoltano il canto del cardellino automatico.

Sulle rive della Mosa, sule sponde del Nilo e del Tevere, del Limmat e dell’Hudson, dove mi capita di trovare una fila di vecchi alberi e potermi appoggiare coi gomiti ad antichi parapetti mi viene di pensare alla precarietà e alla fatalità della vocazione poetica. Perché scrivono i poeti? Per capire qualcosa bisognerebbe indagare sulle circostanze in cui si svolse la loro fanciullezza. Quasi sempre c’è un lutto, c’è la morte di una persona amica o di una persona cara che fece scaturire dall’anima di un ragazzo i primi accenti, confusi al sapore delle prime lacrime. O fu una storia d’amore infantile. Non c’è dubbio che all’origine nel cuore del poeta giovinetto c’è l’illusione di caratterizzare in modo unico la propria storia. C’è come l’istintiva superbia del novizio entrato in una setta a partecipare alla celebrazione di un’operazione occulta. E in questa fase  credo che onanismo, narcisismo, sadismo abbiano un peso innegabile malgrado la cortina di silenzio e di fumo in cui di solito sono avvolte queste vicende nella storia della poesia. Naturalmente questa fede, questa disposizione al miracolo, questa tensione fisiologica non si possono nutrire di artifici né diventare una regola.

La poesia è dunque di essenza caduca. Il poeta muore nel giro di qualche stagione ed è costretto necessariamente a cambiare vita e abitudini. Puo’ diventare uno storico o in retore, può anche cavare sproloqui e profitti dalla propria miseria. Ma Socrate sapeva bene di essere fallito. Perché la verità è nociva alla poesia come lo zolfo è nocivo al ferro e lo snerva anche in minime dosi. Mi rendo conto della gravità di questa affermazione. Ma sono in piena coscienza. Nell’arte non si deve chiedere la verità. Guai a prendere questo giudizio come una boutade surrealista, non voglio difendere né la bellezza né il sogno.

La poesia si nutre di amore, amore della poesia. La vera spinta, la sollecitazione, la promotion alla poesia viene dai poeti, i poeti adorati. Non fate poesia che imiti la poesia dico ai poeti giovinetti, il contrario preciso di quel che raccomandano i poeti libertini. E del resto le rivoluzioni e le rivolte hanno senso soltanto se nascono come correzioni alle regole, alle consuetudini. Pensate che con un piccolo termine aggiunto Einstein ha cambiato l’universo. L’originalità del poeta consiste in piccole aberrazioni millesimali, in frazioni di angolo, come avviene nei calcoli astronomici e nella fisica delle particelle. L’acume che noi riconosciamo ai maestri, quasi sempre si manifesta nell’uso di piccoli nessi, congiunzioni, particole, spezzoni, tacche del linguaggio e nodi nella struttura. Un dente in più o in meno in una ruota di orologio o di turbina basta a rovinare un dispositivo. Sempre più l’esercizio dell’arte deve avvicinarsi a un processo scientifico, compensare la grazia perduta dei poeti fanciulli con la sapienza degli adulti, La testa molle del bambino deve diventare un duro teschio.

Non c’è altro latte per i poeti fuori dalla poesia. Le lait plat più del gaio veleno, più del fervido vino. Il poeta si attacca alle mammelle dei poeti, grandi mamme sella poesia.

P.S. Mi accorgo che nel giro di queste ultime notti di novembre partito con la presunzione di castigare il mestiere dopo tanti raggiri sono tornato all’unica conclusione accettabile.”

Leonardo SINISGALLI

Elegie

1
Mi ricorderò di questo autunno
Splendido e fuggitivo dalla luce migrante,
Curva al vento sul dorso delle canne.
La piena dei canali è salita alla cintura
E mi ci sono immerso disseccato dalla siccità.
Quando sarò con gli amici nelle notti di città
Farò la storia di questi giorni di ventura,
Di mio padre che a pestar l’uva
S’era fatti i piedi rossi,
Di mia madre timorosa
Che porta un uovo caldo nella mano
Ed è più felice d’una sposa.
Mio padre parlava di quel ciliegio
Piantato il giorno delle nozze, mi diceva,
Quest’anno non ha avuto fioritura,
E sognava di farne il letto nuziale a me primogenito.
Il vento di tramontana apriva il cielo
Al quarto di luna. La luna coi corni
Rosei, appena spuntati, di una vitella!
Domani si potrà seminare, diceva mio padre.
Sul palmo aperto della mano guardavo
I solchi chiari contro il fuoco, io sentivo
Scoppiare il seme nel suo cuore,
Io vedevo nei suoi occhi fiammeggiare
La conca spigata.

2
Dolce compagno dove sei? I rami
Degli alberi gemelli intrecciano
In nitide ombre le linee
Delle nostre due vite sulla terra.
Io ti cerco come Ulisse cercava i suoi compagni
Nel porcaio. Il guardiano mi dice:
Non t’inganni il colore, il porco nero
Occùpa, il porco bianco fa più lume.
Ma il mio occhio è stanco e poco sagace.
Io non sono più astuto come un tempo
Ero con te furbo mercante ai giuochi.
Se la luna potesse spargere, questa sera,
Per un attimo solo, sui miei porci bianchi
E neri come rondini il miele di Circe
Ti ritroverei mio compagno dai denti forti.
Ti racconterei le gioie di quest’inverno
Di provincia, trascorso nelle terre della nostra
Infanzia. Ho toccato con la mia mano
Ho cacciato dalla tana la mia solitudine.
Dioniso torna ancora alle nostre feste
E le donne sbattono i campani
Per cacciare il capro dalle selve.
Io ti cerco nei pozzi chiari questa sera
Come allora che nel corpo dipinto delle rane
Si cercavano i nostri morti.

( da Vidi le Muse)

POESIA D’AMORE

Chi ama non riconosce, non ricorda,

trova oscuro ogni pensiero,

è straniero ad ogni evento.

Mi sono accorto più tardi

di tutti gli anni che l’aria

sul colle è già più leggera,

l’erba è tiepida di fermenti.

Dovevo arrivare così tardi

a non sentire più spaventi,

pestare aride stoppie, raspare

secchie murate, coprire la noia

come uno specchio col fiato.

Sono un uccello prigioniero

in una gabbia d’oro. La selva

variopinta è senza colore per me.

L’anima s’è trovata la sua stanza

intorno a  te.

( da Nuovi Campi Elisi)

NARNI AMELIA SCALO

 I ricordi li cancelli questa sera
che un nome nuovo ti solleva la fatica
e una data scritta sopra la lavagna.
Sostano in mezzo alla campagna
i convogli dei treni merci,
ooi girano lentamente sul ponte della Nera.
T’è lontana la voce lungo i nastri
trasportatori, straniera la terra
distesa sotto la tettoia.
Ti sembra che ogni guerra
si concluda in una resa e che ti valga
per la tua povera gioia
la docile sorpresa dei tuoi astri
familiari in un cielo d’esilio.
È un’ora buona per te e questi allarmi
di campanelle nel fumo non ti dolgono.
Aspetti che risalga
il secchio dalla stridula cisterna.
Oscillano nell’oscura fuliggine i vetri rossi
della lanterna. Tu senti che è primavera
da queste ventate di meli scossi
dai treni lungo la pianura.

(da Poesie)

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