L’UE è aspirata nell’ingranaggio di una guerra europea dai contorni ben lontani dalla loro rappresentazione mediatica. Sono in gioco la sua stabilità economica e le sue capacità negoziali
Siamo perfettamente coscienti che queste nostre riflessioni non interessano nessuno fra i decisori del pianeta, ma sentiamo l’obbligo morale di farle se non altro perché da giovani, molti anni fa, avevamo immaginato un’Europa come nuova protagonista dei grandi dossier internazionali. Poi anche perché pensiamo che, comunque, delle scelte politiche basate su di una ipocrita manipolazione della realtà, su delle fake-news che gli interessi prevalenti fanno passare per pubbliche verità assolute, per definizione indiscutibili, finiscano prima o poi per rivelarsi esiziali anche per coloro che le hanno messe in circolazione. Non occorre scomodare il coraggioso analista svizzero Jacques Baud, per osservare il modo singolare con cui la comunità occidentale ha reagito prontamente alla crisi ucraina, quando la stessa comunità ha tranquillamente accettato, se non applaudito, il massacro di popolazioni musulmane o arabe dal 2001 sino al presente, del resto segnato dalla inesistenza di concrete reazioni occidentali contrarie, in particolare europee, a quanto di inaudito sta succedendo in questi ultimi mesi in Israele e in Palestina.
Nell’atteggiamento occidentale, esteso certamente alle due rive dell’Atlantico, sulla questione ucraina vanno distinti tutta una serie di fattori.
La prima componente della percezione è certamente la russofobia. In Ucraina si è sviluppata all’inizio del XX secolo come lotta contro il “giudeo-bolscevismo” che ispirava le milizie paramilitari ultranazionaliste, mai scomparse nel Paese da allora. Ma in tutto l’Occidente è sempre esistita in maniera latente. Se no, non si spiegherebbero la soppressione dei corsi su Dostojevski alla Bicocca, l’allontanamento di direttori russi dalle orchestre o la discriminazione dei tennisti russi costretti a non figurare con la loro nazionalità nei grandi tornei, come all’Open di Australia, anche se sono dei campioni indiscussi. E, soprattutto, non si spiegherebbe l’immediata applicazione di sanzioni europee contro la Russia, già in atto sei ore dopo la invasione del territorio ucraino del 24 febbraio 2022, quando si sa quanto normalmente sia complesso fare applicare delle regole a 27 Stati membri normalmente noti per delle diversità che più che geopolitiche, sembrano di natura quasi antropologica.
Poi abbiamo la componente strategica, in cui la UE, per la totale mancanza di indipendenza militare, resta totalmente all’interno di qualunque visione gli Stati Uniti concepiscano secondo la loro particolare Weltanschauung di paese dal “destino manifesto”, attraverso i tempi, dalla fine della seconda Guerra Mondiale.
Qui bisogna riflettere alla totale diversità delle percezioni russa e occidentale.
Se ci soffermiamo sul punto di vista russo, come più volte ricordava sino all’ultimo la compianta Hélène Carrère d’Encausse, invitando a considerare l’immensità pianeggiante del territorio russo, i Russi, dopo essere stati per secoli vittime di invasioni tutte venute da Occidente (1812, 1918-22, 1941-45), senza contare la Rivoluzione bolscevica del 1917, istigata dalla Germania, hanno sempre nutrito una profonda diffidenza verso gli Occidentali. Sul piano strategico, la Russia ha sempre cercato di circondarsi di una zona cuscinetto, neutra e non ostile, se non altro per avere più tempo per preparare la risposta ad un avanzamento nemico condotto su territori facili, privi di ostacoli naturali. Poi c’è un secondo elemento, mai ricordato nei narrativi occidentali sulla Russia e che, da voce isolata, Barbara Spinelli ha invece ricordato recentemente in un convegno in Italia. Qui la ragione strategica muove da un contenuto più emotivo. La frantumazione dell’URSS ha lasciato fuori dai confini della attuale Federazione Russa 25 milioni di Russi che si sono trovati in minoranza in paesi ormai divenuti indipendenti e loro ostili. Chi ha un minimo di coscienza storica ricorderà quanto la decisione della Commissione Santer del dicembre 1997 di allargare la UE alla Estonia fra i sei nuovi Paesi ammessi, avesse sollevato le immediate critiche dell’ONG dei diritti umani, come Human Rights Watch, per la condizione subita in quel paese dalle minoranze russe. E’ in questo senso che va interpretata la frase di Vladimir Putin che “il crollo del comunismo sia stata la più grande catastrofe del XX secolo”. Questa “amputazione” psicologica è stata il leit-motiv delle relazioni fra la Federazione e i suoi vicini. L’attitudine russa è invece sempre stata banalmente rappresentata come tendenza fisiologica della Russia anche post-sovietica ad invadere i paesi limitrofi. Quanto poi alla vexata quaestio della percezione russa sul mantenimento, oltre lo scioglimento del Patto di Varsavia, della NATO e poi il suo allargamento ai paesi della nuova Europa a partire dal 1999, non v’è stata subito da parte russa una vera inquietudine, la percezione di una minaccia diretta. Questa sensazione ha cominciato ad alimentarsi nel 2002, con il ritiro americano dal trattato ABM e la successiva disposizione di base missilistiche nei paesi di nuova adesione che riducevano la profondità strategica della Federazione di quasi mille km.
Quanto sembra lontana la dichiarazione del ministro degli affari esteri tedesco Genscher del 1990 “ ogni tentativo di estensione militare della NATO sul territorio della DDR bloccherebbe la riunificazione tedesca”! Alla percezione russa si contrappone la visione americana che, strutturata sulla certezza dei neo-conservatori americani dopo il crollo dell’URSS di costituire un Impero ormai capace di creare nel mondo “la propria realtà”, non ha mai abbandonato l’obbiettivo di indebolire la Russia. Dotati di una rendita di posizione dopo il 1991 e cullati dalla cosiddetta “illusione unipolare” gli USA hanno iniziato il ritiro da tutti gli accordi conclusi con l’USS durante la guerra fredda: Trattato ABM (2002), Trattato Open Skies ( 2018), Trattato sulle forze nucleari di portata intermedia (FNI) (2019). Nel quadro, come osserva Baud, di un “mobbing strategico” inteso a mettere la Russia al bando della comunità internazionale, come nuovo rogue state, stato canaglia, dopo Iran, Iraq, Corea del Nord, e prima della Cina.
Tale strategia può anche comprendere e la distruzione fisica dello Stato Russo e il frazionamento dell’URSS, come appariva chiaramente dalla torta di compleanno del capo dei servizi segreti militari ucraini – GUR – Budanov, che ha fatto il giro del mondo. Obiettivo che ha anche circolato spesso negli ambienti del Dipartimento di Stato americano, nel quadro della Commissione Helsinki. Nei fatti, come ha osservato Robert H. Wade della London School of Economics and Political Science “the US and the NATO have long wanted Russia to attack Ucraine”, solo che la loro strategia si è sempre basata su di un wishful thinking (pensiero di speranza, ndr) di cui si sono fatti perfetti interpreti tutti i media occidentali nelle loro rappresentazioni dell’Ucraina sino ad oggi. La rappresentazione della guerra nei media europei, in particolare nei media francesi ed italiani, riuniva in sé tutti i principi della propaganda di guerra che per comodità ricordiamo ai lettori nella rappresentazione che ne fece pochi anni fa la scrittrice italo-belga Anna Morelli (Noi non vogliamo la guerra; è il campo avverso il solo responsabile della guerra; il leader del campo avverso ha il volto del diavolo; noi difendiamo una causa nobile e non degli interessi particolari; il nemico provoca volontariamente delle atrocità mentre noi se commettiamo degli abusi lo facciamo solo involontariamente; Il nemico utilizza delle armi proibite; noi subiamo poche perdite, le perdite del nemico sono invece enormi; gli artisti e gli intellettuali sostengono la nostra causa; la nostra causa ha un carattere sacro; quelli che mettono in dubbio la nostra propaganda sono solo dei traditori).
Ma proprio perché la strategia occidentale si basava sin dal principio su di un wishful thinking e non su di una concreta percezione della realtà, ci si vedeva continuamente costretti ad accordare la rappresentazione con una realtà ben diversa nei fatti. A marzo 2022 l’obiettivo dichiarato era il cambiamento di regime in Russia, approfittando delle condizioni di salute di un capo definito come sicuramente malatissimo. In base a questa rappresentazione, il dialogo iniziato proprio nel marzo 2022 fra Zelinsky e la Russia per una soluzione negoziata era prontamente stoppato da Joe Biden e da un Boris Johnson subito volato a Kiev per interrompere ogni via di pace ed esigere la continuazione della guerra, del resto incoraggiata dal quasi mezzo miliardo di EURO messo subito a disposizione della Ucraina da parte della UE col famoso strumento “a sostegno della pace”.
Ma a fine aprile 2022 l’obiettivo cambia: come dichiarato apertamente da Hillary Clinton, bisognava indebolire la Russia in modo da impedirle in futuro di immaginare simili avventure.
A giugno 2022, gli obiettivi occidentali si riducono a fornire armi all’Ucraina perché consolidi la sua posizione in future negoziazioni e progressivamente la guerra diventa “an unvincible war”, anche se questa è una circostanza quasi sempre occultata nei media occidentali.
Si spera nel 2023 anche nella riuscita della grande controffensiva. Dopo il massacro di Bakmut, che ricorda gli orrori della prima guerra mondiale a Verdun, non succede più niente. Ma si continua a promettere altri fondi ed armi all’Ucraina per la continuazione della guerra. Addirittura da parte della UE 50 miliardi sono promessi, come una sorte di macabro Next Generation War Fund dopo il Next Generation EU, come se la situazione dei cittadini europei e i loro cento nuovi problemi dovuti proprio alla guerra e alle sanzioni, ma anche alla velleitaria politica ecologista all’europea, fossero l’ultima delle preoccupazioni nutrite dalla Commissione di Bruxelles.
Un impegno in un pozzo senza fondo di stanziamenti per spese militari a favore dell’Ucraina dove la UE figura veramente come il vero dindon de la farse quando la guerra d’Ucraina permette al vero procuratore della proxy war, gli Stati Uniti di Joe Biden, ogni vantaggio in vendite di GPL a cinque volte il gas russo di tubo e forniture militari incredibili per miliardi di dollari che arricchiscono soprattutto Lockheed Martin, RTX, Northrop Grumman, Boeing, General Dynamics, contemporaneamente impoverendo i futuri elettori europei. Tutto ciò nella più totale auto-referenzialità degli ambienti politici europei che comminano treni di sanzioni alla Russia, innanzi tutto distruttive, non come voluto della economia russa che vende ad altri quello che gli europei per motivi etici accompagnati dalla opportuna distruzione dei gasdotti russo-tedeschi non vogliono più acquistare, ma per la stessa disastrata economia europea che appena usciva dalla crisi del Covid 19. Una autoreferenzialità diventata talmente evidente da consigliare ad un geopolitico francese serio come Pascal Boniface di non invitare più gli alti funzionari di Bruxelles nei suoi panel perché affaticato dalla loro costante langue de bois. Evidentemente, il rumore dei trattori tedeschi schierati a Berlino lungo la Unter den Linden non può arrivare sino agli ambienti della Commissione di Bruxelles, dove importanti leader europei pensano già dimettendosi al loro immediato avvenire. Ma i cittadini, i cittadini europei nei loro quotidiani problemi chi li ascolta? Eppure l’Unione Europea sembrava imboccare con i Next generation EU una via nuova di solidarietà, recuperando buona parte del consenso perduto. Poi è venuta l’Ucraina e gli Stati Uniti hanno di nuovo raccolto intorno a sé e alle sue scelte militari l’Unione europea. Ricompattando l’Europa intorno alla NATO, ma perdendo al tempo stesso l’adesione di ca. due terzi del pianeta che si tengono ben lontani dall’Europa e dalle sue contrapposizioni nazionalistiche. Creando, vittima dell’ingranaggio della guerra, una situazione che ha efficacemente riassunto il noto imprenditore italiano Carlo De Benedetti “una guerra che si sovrappone ad una recessione molto severa è assurda, senza senso. Le conseguenze sarebbero catastrofiche”. Del resto, come osservato dall’ economista americano Steve H. Hanke della John Hopkins, le sanzioni anti-russe costituiscono per l’intera Europa l’equivalente di “un patto economico suicida”.
Eppure, proprio nel senso di quanto immaginato dai suoi Padri fondatori, l’Unione europea avrebbe dovuto conservare un potere di intermediazione negoziale nel primo grande conflitto europeo. Non lo ha fatto, in questo modo rientrando nell’ingranaggio devastante della prima proxy war europea. Non ha senso che il ministro degli esteri europeo Josep Borrell dichiari che la soluzione del conflitto europeo spetta alla Cina. Con un’opzione che oseremmo definire assurda, se si volesse dimenticare il Grande Gioco che si sta giocando intorno all’Europa. Quello che, riferendolo all’Afghanistan ottocentesco, il conte Alexander Nesselrode, ministro degli esteri dello zar Alessandro I definiva Bol’saja Iqra, Il Torneo delle ombre. Invece una soluzione del conflitto riguarderà inevitabilmente la Russia e gli USA, nella ripetizione di quella che una volta si chiamava guerra fredda e che è adesso “una guerra mondiale a pezzi”, secondo le parole di Papa Francesco. Europa, quantum mutata ab tempore illo!
Carlo degli Abbati
Carlo degli Abbati è professore associato di Politica Economica e Finanziaria e cultore della materia di Diritto della Unione europea presso la Facoltà di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova