Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.

Patrizia Cavalli

Nasce in Umbria a Todi, la città di Jacopone, il 17 aprile 1947. Dopo aver frequentato nella sua città il liceo classico dello stesso nome, a 21 anni si trasferisce a Roma dove studia filosofia. Vi incontra Elsa Morante che scopre subito la sua vocazione poetica e sarà all’origine della prima raccolta di versi che la Cavalli nel 1974 le dedicherà con gratitudine. Nel 1976 si trova già pubblicata a  cura di Biancamaria Frabotta accanto a Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque, Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese nell’Antologia “Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi” che l’editore Savelli pubblica nel 1977. Sempre fedele in seguito all’editore Einaudi con lui pubblicherà nel 1974 “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, nel 1981 “Il Cielo”, nel 1992 “L’ io singolare proprio mio”, una trilogia che verrà riunita nel volume Poesie (1974-1992) che esce nel 1992. Seguiranno “Sempre aperto teatro” (1999) che le vale il Premio Viareggio-Repaci e “Pigra divinità e pigra sorte” (2006) che ottiene il premio Dessi“ – Seguiranno “Datura” ( 2013) e “Vita meravigliosa” ( 2020) da cui abbiamo tratto qualche suo verso. Si esprime in un ‘unica prova narrativa in prosa nel 2019 Con “Passi giapponesi” mentre con Einaudi avrà anche una attività di traduttrice dell’Anfitrione di Molière, del Sogno di una notte di mezza Sogno estate e dell’Otello.

Si esprimerà anche in teatro con Diana Tejera con cui nel 2012 realizza il libro/disco Al cuore fa bene far le scale. Per la stessa Tejera e Chiara Civello scriverà il brano “E se” che le vale il Premio Betocchi- Città di Firenze nel 2017. Si spegne a Roma nel 2022.

Se la critica a proposito della poesia di Patrizia Cavalli,  la critica strutturale e non, ha parlato di una complessa tecnica  basata sull’utilizzo di misure classiche, di costruzioni modulari, della presenza di una componente teatrale, a noi  interessa il risultato finale:  una  straordinaria libertà espressiva che coinvolge il lettore e lo fa partecipe del mondo di Patrizia, fatto delle sue emozioni, dei suoi dubbi, delle sue riflessioni umane sul senso della vita per cui leggendola sembra di  ritrovarci nella cucina di famiglia, ad ascoltare in un momento di intimità le confessioni di una sorella. Leggendola si capisce immediatamente perché Bianca Maria Frabotta già mezzo secolo fa l’avesse fatta figurare a vent’anni fra le grandi Donne della poesia italiana. Last but not least: se si vogliono condividere le emozioni scaturite dalla sua poesia inutile arricchire ulteriormente Amazon o aspettare di rientrare in Italia: la LIL di Lussemburgo possiede molte delle sue antologie.

Loris Jacin 

“Vorremmo dire a Patrizia Cavalli che tutte le sue opere composte fino ad oggi, per noi che le vediamo dal di fuori, formano un disegno meraviglioso, una figura riconoscibile che questo libro (La vita meravigliosa, ndr) persegue con visibile armonia di tratti. Ma poi leggiamo un’altra delle sue nuove poesie, sul potere del bacio:” Ah l’avessi saputo/ che bastava un bacio per aprirmi le vie dell’universo:/ stelle e pianeti che si incrociano / parlando, costellazioni intere / che si intessono./ E io in mezzo a loro che le guardo / tessile ordito ardente/ che reggo e non domando”, e allora comprendiamo che ciò che rende una “ vita meravigliosa” non è solo e non tanto quello che si capisce – il processo spiegato, il male interpretato, la forma distinguibile – ma quello che non si capisce e al cospetto di cui si sta, compatti e ardenti, senza domandare. Il mistero, o più precisamente quello che Shakespeare, ben noto alla Cavalli, avrebbe chiamato “the mistery within”, il mistero dentro le cose, che non solo le abita, ma abitandole le tiene insieme. Le fa esistere. Per questo motivo, non possiamo che affidarci ad un’ultima fra le poesie di Vita meravigliosa: Ma prima di morire/ forse potrò capire/ la mia incerta e oscura condizione/ forse per non morire/continuo a non capire/ sicura in questa chiara confusione “. Baciati dai versi di Patrizia Cavalli, anche noi ci sentiamo così: incerti, incerti eppure interi, come tenuti insieme dal mistero della sua poesia. Il punto non è vedere il disegno, ma sentire grazie a lei di farne parte”. Sara De Simone, Il manifesto

Adesso che il tempo sembra tutto mio

E nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,

adesso che posso rimanere a guardare

come si scioglie una nuvola e come si scolora,

come cammina un gatto sul tetto

nel lusso immenso di una esplorazione, adesso

che ogni giorno mi aspetta

la sconfinata lunghezza di una notte

dove non c’è richiamo e non c’è più ragione

di spogliarsi in fretta per riposare dentro

l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,

adesso che il mattino non ha mai principio

e silenzioso mi lascia ai miei progetti

a tutte le cadenze della voce, adesso

vorrei improvvisamente la prigione.

(da Poesie)

Cosa non devo fare

Per togliermi di torno

La mia nemica mente;

ostilità perenne

alla felice colpa di essere quel che sono

il mio felice niente

(da Vita meravigliosa)

O amori – veri o falsi

Siete amori, muovetevi felici

Nel vuoto che vi offro

(da Sempre aperto teatro)

DONNA IMPONENTE

Fermo d’improvviso senza meta

sull’ultimo gradino di una scala

che in nessun posto più mi conduceva

stringendo con la mano la ringhiera

sollevai gli occhi. Ah che cosa era

quell’ovale fervore della porta

che stava chiuse e assorta nel suo stato?

Io come forestiera la guardavo

lo sguardo ormai lasciato alla preghiera

il resto del mio corpo si scioglieva

salendo come spirito alla bocca.

Per conservare forza al mio pensiero

su quella scala mi sedevo

dicendo con la voce: “E’ strano, è strano,

ah da qui però non me ne vado

senza capire, è strano, è così strano”.

Ma più violentemente mi perdevo

In un languore bianco senza storia

memoria precedente a ogni memoria

come fosse una mischia originaria

dove vagassero cellule che ancora

non si erano aggregate nell’umano

presente che noi siamo. E finalmente

priva di pensiero quasi cedevo

del tutto a questa larga nostalgia

che mi portava via con sé lontano

togliendomi alla mia cronologia.

Ma la vile indolenza del mio cuore

capace solo di superstizione

subito chiuse quell’empito in un nome

e lo spazioso caldo senza nome

prese la forma e il gelido colore

Dell’ultimo recluso suo rifugio.

E mi trovai nel buio dell’amore.          

(da Sempre aperto teatro)

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