Domenica 8 ottobre 2023, nel Granducato di Lussemburgo, si sono tenute le elezioni legislative (Chamberwalen)  per il rinnovo dell’assemblea parlamentare che, in questo Paese, è composta da 60 deputati. Poiché il mandato di parlamentare è di cinque anni, le ultime elezioni si tennero nell’ottobre 2018, a testimonianza e riprova del fatto che la politica lussemburghese ama la stabilità e non conosce le crisi anticipate di legislatura che tanto caratterizzano la politica italiana, e non solo italiana

Cerchiamo di leggere queste elezioni attraverso due dati: quello “matematico” della partecipazione e quello più squisitamente politico. Ben sapendo che numeri e politica sono ambiti estremamente correlati e vicini.

Cominciamo dalla partecipazione. Alle elezioni legislative del 2018 gli elettori iscritti alle liste elettorali e, dunque, con diritto di voto erano poco meno di 260.000 e i votanti furono poco più di 233.000. Nelle elezioni dell’ottobre scorso, gli elettori con diritto di voto erano poco meno di 287.000 e i votanti sono stati quasi 250.000 L’incremento di circa il 10% del corpo elettorale è dovuto anzitutto all’aumento della popolazione del Granducato che tra il 2011 e il 2021 (gli anni degli ultimi due censimenti nazionali), è aumentata di oltre il 25%, passando da 512.000 abitanti a 644.000.

Questi dati ci dicono anche che, a fronte di un aumento consistente di residenti, per lo più non lussemburghesi, la percentuale che, di costoro, si è iscritta alle liste elettorali è ancora molto debole. Se è vero che, da un lato, la democrazia lussemburghese è una “democrazia zoppa” in quanto il parlamento nazionale è votato da meno della metà dei residenti (caso più unico che raro in Europa e, più in generale, nel mondo delle democrazie mature), è anche vero che coloro che potrebbero acquisire la cittadinanza lussemburghese e, quindi, accedere al diritto di voto per le legislative, è ancora troppo bassa.

Vediamo ora il versante più squisitamente politico. I dati ci dicono che il Paese  vede un leggero incremento dei socialisti (LSAP) che guadagnano un seggio; un sensibile incremento di voto dei liberali (DP) che guadagnano due seggi ma, tuttavia, lontani dal vero e proprio exploit visto alle elezioni comunali del giugno scorso; una tenuta anch’essa sostanziale dei cristiano-sociali (CSV) che si confermano essere il partito più votato con ventuno seggi; una conferma del partito di sinistra (Déi Lénk) che conferma i due seggi della precedente legislatura; un vero e proprio crollo di consenso dei Gréng che perdono oltre il 50% dei consensi passando dai 9 seggi del 2018 ai 4 delle elezioni di quest’anno.

Una attenzione particolare meritano il partito di destra (ADR) che ottiene cinque seggi (uno in più rispetto al 2018) e i Piraten con tre seggi, anch’essi uno in più rispetto alle legislative di cinque anni fa. Due partiti, ADR e Piraten, certamente diversi per origine e natura, ma accomunati dal forte sentimento “anti-establishment” e dal desiderio di portare in politica sempre più democrazia diretta a scapito delle istituzioni rappresentative, a cominciare proprio dal parlamento nazionale.

Se dovessimo adottare le categorie politico-culturali di “Destra-Sinistra” oppure di “Conservatori-Progressisti”, il dato politico che balza immediatamente all’occhio è quello di un incremento dell’asse liberal-conservatore a scapito di quello progressista: DP e CSV da soli contano ben 35 seggi. E cioè, in termini percentuali, quasi il 60% della totalità dei seggi parlamentari. Se, facendo un poco una forzatura e adottato la macro-categoria “conservatori” nel senso più generale del termine,  a questi due partiti aggiungiamo i conservatori dell’ADR, il fronte liberal-conservatore arriva a ben 40 seggi.

Dall’altra parte, il fronte progressista, con i seggi di LSAP, Déi Lénk e Dèi Gréng, si ferma a soli 17 seggi. Difficile, come già menzionato, collocare i Piraten dentro questa lettura bipolarista.

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Le osservazioni politiche che si possono trarre sono le seguenti.

Anche in Lussemburgo, come nel resto d’Europa (con forse la sola eccezione della Spagna e del Portogallo)  le sinistre, nelle loro diverse declinazioni e sensibilità, fanno fatica ad affermarsi. Ci sono, esistono, ma arrancano a fatica in una opinione pubblica che spesso paga sulla propria pelle i morsi del modello sociale liberal-mercantilista ma che non vuole rinunciare alla libertà del mercato e al rassicurante senso di “protezione” che, in un mondo percepito sempre di più come villaggio globale, solo i partiti conservatori sembra riescano dare. Più Stato e meno Stato? Più privato o meno privato? Pur essendo innegabile che l’LSAP ha mantenuto alcuni punti fermi sui cosiddetti acquis sociaux, è innegabile che esso talvolta è apparso ambiguo e ondivago sui temi, e le preoccupazioni, della vita comune: il costo della casa, il costo della vita, la qualità della vita più in generale in una società, quella lussemburghese, che si è popolata molto e in fretta. Per cui, specularmente, il voto di domenica 8 ottobre conferma la natura conservatrice del Granducato e la sua “mission” di piccolo Paese, incastonato nel cuore d’Europa, che deve assicurare il funzionamento di un’economia terziaria e finanziaria per risultare attrattivo e, sul versante più squisitamente sociale, offrire un welfare certamente più solido di quello di altri Stati europei, ma non privo di crescenti contraddizioni e limiti.

Un altro aspetto che merita particolare attenzione è il vero e proprio crollo dei Verdi (Déi Gréng) che ha trascinato con sé il crollo della maggioranza di governo uscente (DP, LSAP, GRENG).  Il crollo potrebbe trovare una spiegazione nella natura di questo partito, che si muove e si esprime, in Lussemburgo e non solo, quasi esclusivamente su temi ambientali, senza coniugare questo ambito, come invece dovrebbe essere, ai temi sociali. I trasporti pubblici gratuiti, l’economia circolare, l’attenzione più in generale alla qualità dell’ambiente vanno bene, ma l’opinione pubblica ha bisogno di capire anche quale impatto sociale hanno queste scelte sulla qualità della vita, sulla qualità dei diritti sociali e nel mondo del lavoro.

Quali prospettive ora? Vale la pena ricordare che la legge elettorale lussemburghese per le elezioni legislative è puramente proporzionale. Per cui, come accade nei sistemi proporzionali, la campagna elettorale si caratterizza per essere una sorta di “gara” tra partiti ad acquisire più consensi possibile. Una volta terminata la campagna e terminato il conteggio dei suffragi, i partiti, a cominciare da quelli che hanno ottenuto più consensi,  decidono come muoversi e con chi negoziare per trovare la maggioranza parlamentare che dovrà sostenere il futuro governo. Per cui, come accade anche nei tanti comuni lussemburghesi, a seconda del risultato elettorale, partiti che prima erano al governo, possono trovarsi all’opposizione, e viceversa. 

Qualche giorno fa, secondo le procedure previste dalla Costituzione lussemburghese, il Granduca Henri ha incaricato Luc Frieden, il candidato leader del partito CSV (che ricordiamo, è stato il partito più votato ma che era all’opposizione), di formare il nuovo governo.

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Il prossimo governo del Granducato sarà, con buona probabilità una alleanza tra CSV e DP che, se vogliamo, si configura come una specie di novità visto che l’ultima volta che questi due partiti hanno composto una alleanza di governo è stato nella legislatura tra il 1979 e il 1984, quindi oltre quarant’anni fa (Governo Pierre Werner). L’alleanza di governo CSV-DP, guidata da Luc Frieden, confermerebbe lo spostamento a destra del futuro esecutivo, con l’intero fronte progressista (LSAP, Lénk e Gréng) all’opposizione. Una situazione a cui sono molto abituati i Lénk, abbastanza abituati i Gréng e decisamente meno abituati i socialisti del LSAP che sono ininterrottamente al governo del Granducato dal 1984 (Governo Jacques Santer).

Chissà, forse un po’ di opposizione potrebbe risultare salutare per riprendere quel vigore necessario e imprescindibile per chi ha visione e valori che si richiamano alla storia del socialismo.

Roberto Serra

Fonti:

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