Se il Mediterraneo, che si vede nella carta, è quel mare nostrum a noi tanto familiare il significato di questo mare interno si può però anche estendere come Medio-Oceano dall’ Atlantico sino all’Oceano Indiano attraverso il Mar Rosso
In questo mare allargato si individuano tredici colli di bottiglia marittimi, quelli che l’ammiraglio americano Alfred Thayer Mahan ha definito a fine Ottocento i “Choke Points”, letteralmente i punti di soffocamento, posizioni di rilevante importanza strategica. A parte il Canale di Suez, nel Mediterraneo geografico se ne contano undici da Ovest a Est: lo Stretto di Gibilterra, le Bocche di Bonifacio fra Corsica e Sardegna, il Canale di Sicilia fra Sicilia e Tunisia, il Canale di Messina fra Scilla e Cariddi, il Canale di Malta fra Sicilia e Malta, il Canale d’Otranto fra la Puglia e l’Albania, il Canale di Corinto fra Attica e Arcadia in Grecia, lo Stretto di Citera fra ll Sud-Peloponneso e l’isola di Citera, i due stretti dei Dardanelli e del Bosforo ( Bogăz in turco). Ma un tredicesimo check point di massima importanza è costituito oltre il canale di Suez a sud del Mar Rosso dallo strategico stretto di Bâb al Mandab (in arabo la Porta del Lamento) nel punto in cui la larghezza del mare si riduce a meno di 20 miglia (27 km.) fra lo Yemen e Gibuti, fra il Corno d’Africa e la Penisola Arabica. Uno stretto che vede attraversare da e per il canale di Suez lungo l’unica rotta obbligata che evita il lungo doppiaggio del Capo africano di Buona Speranza 25.000 navi all’anno trasportanti fra l’altro il 40% delle
Inevitabile che Gibuti, ex-colonia francese già denominata la Costa dei Somali, divenuta indipendente nel 1977 come Repubblica di Gibuti (Jumhûrîyah Jibûtî) abbia visto concentrarsi sul suo territorio desertico appena più grande della Toscana (23.200 km2) una serie di basi militari con migliaia di soldati. Certamente la base americana nell’area di competenza della V Flotta, ma anche l’unica base militare cinese al di fuori della Repubblica Popolare, ma anche una grande base francese e poi basi saudite e giapponesi (prima base estera dal 2009). Infine, anche una base italiana con la presenza di 300 militari. In realtà si tratta della prima base interforze d’appoggio logistico all’estero del dopoguerra inaugurata nell’ottobre 2013. In realtà bisogna ricordare che le acque del Mar Rosso, del Golfo di Aden e del bacino somalo rappresentano un teatro d’impiego della Marina italiana sin dalla fondazione del Regno d’Italia.
La società genovese di navigazione di Raffaele Rubattino, la stessa che aveva offerto a Garibaldi i due piroscafi Lombardo e Piemonte (v. foto del ringraziamento dello stesso Garibaldi, da una collezione privata) per la spedizione de Mille aveva ottenuto già nel 1870 la baia di Assab nella prospettiva di stabilirsi in un punto nevralgico delle tratte con l’Asia. Assab diverrà italiana nel 1882 e sarà seguita dalla conquista di Massaua nel 1885. Ma andando a periodi molto più recenti, vediamo nell’ultimo dopoguerra l’Italia presente in Kenya con una base di lancio su di una piattaforma marina al largo di Malindi per satelliti di ricerca scientifica che venne abbandonata solo nel 1975, dopo la adesione dell’Italia all’ESA (Agenzia Spaziale Europea) che puntava sul sito spaziale di Kourou in Guyana. La base di Malindi ribattezzata Luigi Broglio Space Center è ancora attiva come stazione di terra per il tracciamento dei satelliti. Fra le missioni dei militari italiani a Gibuti si è in particolare curato l’addestramento dei militari dell’esercito somalo, mentre la presenza della flotta italiana nel Corno d’Africa risponde ad un’interpretazione estensiva dell’area d’interesse strategico nazionale secondo il concetto di Mediterraneo allargato e ad un ruolo di protezione delle linee di comunicazione marittime in un’area fortemente instabile che concerne Somalia, Eritrea e la stessa Etiopia.
Ma quale è l’effetto della presenza di migliaia di soldati sulle condizioni di vita dei gibutiani? Trae il paese forme di crescita e di sviluppo da una tale massiccia presenza di forze militari straniere? A prima vista non sembrerebbe il caso. Per il 1.001.454 gibutiani censiti nel 2021 dall’INSTAD, l’Istituto di statistica di Gibuti, residenti per metà nella capitale, gli indici di sviluppo umano tracciati dal PNUD (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) non sono confortanti. Il paese si situa per parametri economico-sociali negli ultimi venti posti nelle classifiche mondiali, al 171° posto su 191 paesi censiti con un HDI di 0,509. Indubbiamente la popolazione gibutiana composta da somali (gli Issa, 46%), da dancalo-etiopici (gli Afar, 35) oltre che di arabi (11%) e di europei (5%) vive in una regione, il Corno d’Africa, che conosce da tre anni la maledizione delle piogge, una delle peggiori siccità degli ultimi decenni (v. il capitolo sulla Somalia nella nostra rubrica). Ne sono coinvolti tutti gli stati della regione dal Kenya all’Eritrea alla Somalia all’Etiopia e anche Gibuti.
Secondo le analisi del PAM, l’agenzia dell’ONU specializzata nell’alimentazione con sede a Roma, sono a rischio in questi paesi 13 milioni di persone per effetto dell’insicurezza alimentare, fra essi 5,5 milioni di bambini affetti da malnutrizione acuta, come le ONG operanti in Africa non cessano mai di ricordare. La siccità ha già provocato la perdita del 70% dei raccolti,, la moria del bestiame (drammatico il caso della Somalia già trattato nella nostra rubrica), fonte principale di sostentamento delle famiglie. Ma prima della perdurante siccità, la regione aveva anche conosciuto gli effetti delle inondazioni, l’invasione delle locuste, le situazioni di conflitto in Somalia e in Etiopia, oggi in Sudan e in Sud-Sudan (di nuovo già trattato nella nostra rubrica). Un mix drammatico, di cambiamenti climatici e di conflitti, per di più aggravati dallo scoppio della pandemia di Covid-19 in aree dalle vaccinazioni quasi inesistenti. In questa situazione drammatica la popolazione di Gibuti vive di attività rilevanti come quelle agricole e della pesca, quelle che dipendono dalla zona franca di Gibuti , oltre che dalle molte basi militari straniere. Gibuti è poi collegata ad Addis Abeba da una storica linea ferroviaria di fabbricazione italiana, solo di recente nel 2016 sostituita da una moderna linea costruita da compagnie cinesi attivissime nel paese cui stanno offrendo anche prospettive spaziali, con la prevista costruzione di centinaia di satelliti di rilevamento in cooperazione con Huawei.
Un vero rompicapo strategico per gli Stati Uniti e i suoi fedeli alleati occidentali nell’area. Comunque è evidente come la forte presenza delle forze militari straniere incida molto relativamente sulle condizioni del benessere delle popolazioni sul territorio. Ci si può domandare con altri (si vedano le riflessioni dell’AGI, Agenzia Italia) come mai le autorità di Gibuti non abbiano mai pensato di invitare tutte le potenze straniere che affollano questo stato ad aiutare in maniera attiva la popolazione gibutiana. Questione di orgoglio nazionale o vincoli dei protocolli di rifornimento delle basi militari presenti?
Ricordiamo per esperienza diretta che nei venti anni di controllo NATO dell’Afghanistan che avevano fatto seguito alla invasione americana del 2001 per vendicare l’attacco di Al-Qaida alle torri di New York, i contingenti militari presenti impegnati contro al Qaida e contro l’insorgenza talebana avevano comunque organizzato la rete dei Provincial Reconstruction Teams (PTR). Si trattava di nuclei di personale militare e civile dei “contributor states” impiegati nel territorio afghano per stabilire contatti con ONG, capi locali, agenzie ONU con le quali lavorare in rete per fornire un sostegno alle popolazioni locali di natura diversa, alimentare, sanitaria, di educazione o infrastrutturale.
Dall’aprile 2005 il contingente italiano aveva così , oltre ad assicurare il Regional Command West NATO dell’Afghanistan, gestito il PTR di Herat, dislocato all’interno dell’abitato. Consideriamo che anche nella base italiana di Gibuti il contingente italiano potrebbe trarre ispirazione da quanto già fatto in Afghanistan dai militari italiani e proporne la ripetizione a Gibuti a favore della popolazione gibutiana. Questo potrebbe anche aver un effetto di trascinamento a favore della popolazione locale presso le altre più importanti basi militari presenti, fra cui si distinguono per grandezza con 4000 uomini la base americana (Task Force Horn of Africa) e con 1400 la base francese (Camp Lemmonier).
Un sostegno per la popolazione di un paese che nonostante la formidabile posizione strategica e la forte presenza militare straniera figura ancora oggi nella categoria dei paesi a basso sviluppo umano. Come se l’eredità coloniale del continente africano, il circolo vizioso della plantation economy continuasse a sopravvivere, certo insieme alla corruzione delle élite, secoli dopo le acquisite indipendenze.
Carlo degli Abbati (in cover: Gibuti vista da Hugo PRATT)
Encadré Paese preferito per le vacanze dal grande disegnatore Hugo Pratt, che aveva vissuto in Etiopia, Gibuti è un paese desertico poco più grande della Toscana (23.200 km2) con una popolazione che secondo il censimento del 2021 è di 1.001.454 ab. e presenta una bassa intensità abitativa di soli 43 ab./km2. La popolazione già citata si compone di Afar, Issa, Arabi, Europei, oltre a gruppi minori ed ha un’età media di soli 20 anni. Il paese si situa con un clima caldo (34,93° in media nel 2022) e secco con non piu’ di 16 giorni annui di precipitazioni (2021) sullo stretto di Bab al Mandeb, all’estremità meridionale del Mar Rosso, confina a N con l’Eritrea, a SE con la Somalia, a S e O con l’Etiopia e si affaccia sul golfo di Aden. Oggi il paese si colloca fra i paesi a basso sviluppo umano (LDI), al 171° posto sui 191 paesi censiti dal PNUD con un valore HDI di 0,509. Presenta un PIL di 3,589 Miliardi di USD (2021) e un PIL pro-capite annuo che se è passato dai 1.918 USD del 2017 ai 5.025 (in PPA 2017) del 2021, risulta in effettivo inferiore ai 300 USD mensili. Le attività principali sono i servizi (53,8%) e il settore primario (33,1%). Il settore secondario non supera il 13,1% degli attivi. L’aspettativa di vita alla nascita è in media di 63,4 anni, 61,7 per gli uomini e 65,2 per le donne (2021), la fecondità è di 2,9 (2021), la elevatissima mortalità infantile (da 0 a 1 anno) è del 58 per mille, la mortalità giovanile (da 0 a 5 anni) è del 67,8 per mille, mentre la mortalità materna concerne 383 casi su 1000.000 nascite. Gibuti presenta una perfetta piramide demografica con una popolazione di +80 anni che non supera lo 0,5 per mille del totale (2021). La scolarità attesa è in media di 7,4 anni (2021) mentre la scolarità effettiva è in media di 4,1 anni, senza che si possiedano precise statistiche disaggregate di scolarità per genere. L’analfabetismo concerne ancora quasi il 30% della popolazione. La spesa pubblica per la sanità concerneva nel 2018 l’1% con una disponibilità di posti letto di 1,4 per 1000 ab. ed erano 0,256 i medici disponibili per 1000 ab. nel 2021. La popolazione gibutiana si concentra nelle città al 78,2 % e la popolazione attiva rappresenta il 44% della popolazione totale. Alto il livello della disoccupazione totale, il 27,5% per il 2021, che raggiunge il 35,9 % per la componente femminile e l’86,2% nei giovani dai 15 a 24 anni . Il numero di utenti Internet è stato di 590 per 1000 ab. nel 2020, il consumo di energia elettrica /ab, di 36 KWh (2018), la disponibilità di calorie ab./g. di 2776 ( 2019-21), le emissioni di CO2 /ab, di 0,355 t. nel 2021. Gibuti non offre alcuna statistica su gli indici di MPI (povertà multidimensionale globale) normalmente riportati dal PNUD, ma i dati che l’INSTAD di Gibuti offre nel suo Annuaire 2022 sulla malnutrizione acuta cronica e sull’insufficienza ponderale nei bimbi da 6 a 59 mesi sono molto significativi. In ambiente rurale, cioè nelle condizioni ambientali peggiori, la malnutrizione globale concerne il 15,1% della popolazione, quella severa il 3,3%. Il ritardo di crescita globale è del 33,6 %, quello severo del 12,3%. L’insufficienza ponderale globale raggiunge il 30%, quella severa il 7,4%. Venendo ai dati macroeconomici, le entrate complessive del bilancio sono state nel 2021 di 129.535 Mil. FDJ e le uscite di 137.611 Mil. FDJ (1 USD = 178 Franchi di Gibuti), il che significa che il budget di Gibuti e di ca, ¾ di miliardo di USD. Il debito consolidato dello Stato è stato nel 2020 di 2,679 Miliardi USD (cioè quasi quattro volte il livello del budget annuale), la bilancia commerciale ha segnato nel 2021 -686 mil. USD, mentre gli aiuti dall’estero hanno totalizzato nel 2020 259 mil. USD, pari al 7,6% del PIL. Infine per quanto riguarda le differenze di genere Gibuti non offre alcuna statistica in termini di Gender Development Index.
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
- Elmor LEONARD, Gibuti, Einaudi, 2012
- Sonia LE GOURIELLEC, Djibouti, La diplomatie de géant d’un petit Etat, Pu Septentrion, 2020
- Adan Omar ABDILLAHI- Jean-Nicolas BACH, Djibouti au XXI Siècle:- Enjeux politiques et économiques dans un environnement troublé, Karthala, 2023
*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.