Qualche tempo fa, il nostro collaboratore prof. Carlo degli Abbati, è stato ospite, a Levanto, del Festival delle Geografie che con tanta dedizione organizza annualmente Laura Canale. Ripercorriamo con lui la storia della pallanuoto genovese, tra borghi, piscine e personaggi che non ci sono più
Come ogni volta a Levanto sono andato a cercare nella locale Farmacia Moderna un mio compagno di liceo, Giulio Bozzo. Questa volta non ho potuto vederlo: era serenamente morto nel sonno un anno prima, come poi mi avrebbe spiegato sua figlia Cristina, divenuta titolare della farmacia. Vinta la tristezza, mi sono messo a ricordare. Giulio dal fisico possente, pallanuotista del RN Sori, un gigante buono e sensibile che io dovevo difendere dagli accenni idioti del nostro professore di lettere nel liceo borghese che frequentavamo allora, che lo chiamava “il figlio dell’oste”, facendo allusione a quello che era in realtà l’ottimo ristorante tenuto dai suoi genitori.
Forse per questo eravamo diventati grandi amici. Andavo spesso da lui a Sori, nell’intervallo dei nostri sudati studi, a seguirlo negli allenamenti. Mi aveva anche ottenuto di parteciparvi qualche volta, con il permesso del suo allenatore, quel Benecchi che qualche anno dopo avrebbe portato il Sori in serie A.
In Liguria, ma non solo, anche in molte altre regioni costiere italiane, si è sempre giocato a pallanuoto. Solo che una volta lo si giocava nei porticcioli, a Imperia Porto Maurizio, a Savona, a Genova-Quinto, Bogliasco, Sori, a Recco, a Camogli. La Rari Nantes Camogli, negli anni ’50, prima della irresistibile ascesa della Pro Recco, la squadra campione d’Italia. Andavo in treno, naturalmente con il permesso indispensabile di mio padre, da Genova a Camogli, per seguire le partite della squadra campione. In porta giocava un grande portiere della Nazionale, Cavazzuti, il centravanti era l’agile e lunghissimo olandese Bjesma dal fisico slanciato cui si accompagnava una splendida coordinazione nel tiro in sospensione, l’ala destra con il suo sette di calottina era un giovanissimo Giorgio Odaglia che sarebbe diventato celebre come professore di medicina dello sport. Già allora molto miope il futuro prof. giocava con delle enormi lenti a contatto corneali che anche nell’acqua consentivano di mantenere il contatto con l’occhio. Avrebbe fondato a Genova il C.I.R.S. (Centro Italiano Ricercatori Subacquei) e lasciato ai cultori delle immersioni il metodo di compensazione della pressione sul timpano, “manovra Marcante-Odaglia”, alternativo al metodo detto di Valsalva, che porta il suo nome, associato a quello di Duilio Marcante, il creatore della scuola italiana dei Carabinieri sommozzatori. La pallanuoto giocata nei porticcioli con qualche ondetta, qualche vibrazione, qualche palla deviata dal vento in quel mare che come canta Paolo Conte “non si ferma mai” aveva un suo fascino particolare. Ancora oggi vedere flottare due porte fra i galleggianti di un porticciolo fa fare un tuffo al cuore. Basta andare a Portovenere per credere.
Ora si gioca per regolarità e comodità nelle asettiche piscine dove non si deve interrompere il gioco quando il tempo marca male o si è levato un scirocchetto ostile , ma sul piano del romanticismo è proprio un’altra cosa. Restano i ricordi, le parate di Cavazzuti, i centri di Odaglia, i rigori di Bjesma, fra i moli partecipi del porticciolo di Camogli, con il campo di gioco leggermente increspato da un filo accettabile di brezza. L’anno scorso? No tanti anni fa, prima che la squadra campione diventasse la Pro-Recco dei Lavoratori, dei fratelli Pizzo, dei Ghibellini. Prima ancora che si costruissero le prime piscine. Quando cioè la luna si poteva ancora specchiare sui campi di gioco.
Carlo degli Abbati