Il racconto del nostro collaboratore Ignazio Binanti, partito con un gruppo di volontari da Lussemburgo verso la Polonia, fino ai confini con l’Ucraina. Con un piano semplice: trasportare beni all’andata e persone al ritorno
Il 20 marzo scorso mi è arrivato un messaggio WhatsApp dall’amico Matteo Ressa, italiano che come me risiede in Lussemburgo. Mi chiedeva: “Ti interessa venire in Ucraina dal 31 marzo al 3 aprile? Siamo 10 van mancano 2 autisti”.
Avrei voluto andare in Italia con mio figlio in quei giorni, ma ci ho pensato pochissimo. Rimandato il viaggio di qualche giorno, accettata la proposta, mi sono ritrovato nella carovana di 10 van. Nessuna organizzazione, solo un gruppo di amici, uno sponsor, il passaparola per raccogliere tonnellate di beni di prima necessità.
Il piano semplice: trasportare beni all’andata e persone al ritorno.
Partiti il 31 marzo da Lussemburgo con destinazione Wroclaw (Breslavia), dove abbiamo trascorso la notte.
Fino a venerdì 1 aprile TESCO era per me solo il nome di una catena di supermercati inglese. Da quel giorno questo nome significa qualcosa di profondamente diverso: è il TESCO refugee centre Prezemyśl. Se cercate le immagini su google trovate un supermercato trasformato in riparo e dormitorio per i rifugiati ucraini fuggiti da una guerra che non hanno voluto ma che stanno subendo. Persone che hanno attraversato la frontiera a Medyka, l’ultimo villaggio ai confini con l’Ucraina, per trovare rifugio in Polonia.
Nei corridoi del TESCO non ci sono più vetrine luccicanti, ma pareti in compensato a proteggere la privacy. Bambini corrono su e giù, mamme riordinano i pochissimi abiti. Quanta “vita” possono contenere un trolley ed un borsone?
Nel parcheggio nessuno carica la spesa nelle auto. Ci sono solo mezzi di volontari. C’è anche un TIR italiano con su scritto “pizza”.
Una grande tenda arancione ospita un paio di computer, ove si registrano i dati dei volontari arrivati da tutta Europa: polacchi, italiani, spagnoli, francesi, lussemburghesi, tedeschi, belgi, olandesi…
Nel retro del TESCO non arrivano più le consegne dei fornitori abituali. Ci sono tanti furgoni in coda che consegnano beni di prima necessità, raccolti col passaparola o acquistati grazie a donazioni. Arrivano da tutta Europa.
Anche noi scarichiamo qui i nostri materiali. Il 2 aprile ripartiamo da Rzeszow in direzione Prezemyśl, questa volta alla stazione: ci sono rifugiati che cercano la pace, di bambini che giocano con le bolle di sapone, volontari che traducono russo, inglese, polacco e tedesco. Abbiamo cominciato ad attendere il treno da Odessa che ogni giorno passa alle 12, ma che spesso ora arriva in orari imprevedibili.
Il meccanismo utilizzato per far incontrare domanda ed offerta è rudimentale, ma in queste condizioni è difficile pensare a qualcosa di meglio.
Chi ha da offrire dei posti in auto, in van, o in bus, espone un cartello, tradotto in ucraino (alfabeto cirillico) dai volontari traduttori. Ognuno di noi, sul retro della sua casacca arancione, ha le sigle con le lingue parlate. Mi ha aiutato Ada, una volontaria inglese, con nonno italiano, che ha studiato in Russia (RU / EN). Ada correva su e giù per connettere un rifugiato con chi offriva un passaggio, senza mostrare segni di stanchezza e senza perdere il buonumore, mentre, allo stesso tempo cercava di districarsi tra una miriade di conversazioni che avvenivano sul suo cellulare.
Da Prezemyśl ci rimettiamo in viaggio verso Dresda (Germania), con le 13 persone che abbiamo preso in carico.
In un caso abbiamo dovuto recuperare uno di loro che era finito nelle mani sbagliate, in casa di un ospite senza cuore, e trasferirlo in una nuova famiglia “sicura”. Nel migliore dei casi, comunque, queste persone non potranno dimenticare quello che hanno lasciato, la guerra. E forse continueranno a svegliarsi al rumore di una porta che sbatte, temendo si tratti di un’esplosione.
Al mattino del 3 aprile il tempo per una foto di gruppo e si parte per le varie destinazioni richieste dai nostri nuovi concittadini, verso il Lussemburgo, la Germania, la Francia.
Spero fortemente che tutti loro possano trovare un po’ di pace e serenità. Ma so che non sarà così facile.
Cosa ho imparato? a valutare correttamente l’enorme ricchezza di cui dispongo: vivo libero, in un Paese pacifico, in una casa calda, con un armadio pieno di camicie e maglioni, con un frigo stracolmo di prelibatezze, con dei figli che non rischiano la vita per una mina.
Ho imparato che donare un poco del mio tempo agli altri fa bene a tutti.
Un grazie immenso al nostro sponsor che ha coperto le spese di hotel per tutti, volontari e rifugiati.
Ignazio Binanti