A Roma, all’Officina hub culturale che porta il suo nome, una serata evento per raccontare il suo rapporto con la musica
Da un’idea di Elisabetta Malantrucco, Luciano Ceri e Piero Fabrizi, che ne ha curato anche la direzione musicale, tra racconti, aneddoti e musica, mercoledì 9 marzo, si è “conversato”, grazie alla guida esperta del critico Enrico De Angelis, intorno al rapporto tra Pier Paolo Pasolini e la musica, con particolare riferimento al mondo della “Canzone”.
Pier Paolo Pasolini fu, infatti, anche autore di testi di canzoni. I suoi primi “pezzi” furono scritti su musiche di Piero Umiliani, Franco Nebbia e Piero Piccioni, e vennero incisi da Laura Betti nel 1961: “Macrì Teresa detta Pazzia”, “Cocco di mamma”, “Il valzer della toppa” e “Cristo al Mandrione”, queste ultime due superbamente interpretate sul palco da Ilaria Pilar Patassini (nella foto).
Pasolini e la musica è per molti una scoperta mentre per lui un interesse costante: nel 1963 collabora con Sergio Endrigo, per il quale prepara un testo utilizzando alcuni versi tratti dalla raccolta La meglio gioventù. Ne nasce “Il soldato di Napoleone“, canzone contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano e cantata in sala da David Riondino. Quattro anni dopo segue la stesura del testo di “Cosa sono le nuvole” su cui giganteggia il verso “finché sorriderò tu non sarai perduta”. Inclusa nel film a episodi “Capriccio all’italiana” (1968), la canzone – che chiude l’omonimo episodio diretto da Pasolini – è interpretata da Domenico Modugno che aveva già lavorato con Pasolini l’anno precedente, cantando, in modo del tutto inusuale, sue parole nei titoli di testa e di coda di “Uccellacci e uccellini”.
Per rinnovare la bellezza della produzione dei suoi testi in dialetto, gli Stornelli romani tratti da Mamma Roma sono stati portati sul palco dai ragazzi dell’Officina, Isabella Alfano, Jacopo Bertini, Virginia Dioletta mentre A Pa’ di De Gregori è stata interpretata da Carlo Valente.
Il racconto si fa più intimo, quasi riservato, scevro di iperboli dialettiche quando parla Dacia Maraini che con Pier Paolo vanta un’amicizia ultradecennale oltreché collaborazioni di tipo artistico. Racconta l’uomo semplice, quasi timido, introverso e silenzioso, ben diverso da quello che appariva in pubblico quando, con la libertà che lo ha contraddistinto, non esitava a manifestare le sue idee anche se scomode. La Maraini ha recentemente scritto un libro in forma epistolare “Caro Pier Paolo” (Neri Pozza, 2022) e dice “non l’ho mai sentito pronunciare una parola rabbiosa o mai visto un gesto fuori posto”. “Ci parlo ancora oggi – continua – perché, grazie alla cultura dei morti che ho assorbito nei miei anni infantili in Giappone, io credo che loro siano ancora qui e non dobbiamo averne paura…”.
Pasolini, la cui figura è stata tardivamente rivalutata (come spesso capita nel nostro paese) parlava di umili e poteva parlarne perché ne aveva assoluta consapevolezza. Di lui, sulla cui morte aleggia ancora un imperdonabile mistero, resta, insieme a tutto il patrimonio artistico che ci ha regalato, il rammarico che non abbia nessun luogo dedicato, se non un Teatro a Casarsa della Delizia in Friuli e l’Hub culturale di Roma, Officina Pasolini, dove, grazie ai suoi insegnamenti, la libertà è di casa.
Gilda Luzzi