Nel nuovo centro giovanile Asterix, che ospita anche lo sportello EUROPE DIRECT e 4 start-up sociali si organizzano una serie di attività che favoriscono la partecipazione  giovanile,  l’orientamento, l’educazione e la formazione. Ne parliamo con Roberto Masullo, il responsabile

Alle porte del “Bronx”,  a San Giovanni a Teduccio periferia Est di Napoli, sorgono le bellissime ed imponenti opere di Jorit, ma quando ci si addentra per le strade si percepisce la totale negligenza delle istituzioni. Nel quartiere  sorgono intere palazzine di edilizia popolare, che per densità abitativa competono con Pechino, abbandonate dal Comune ed espugnate dalla camorra, come emerge da una recente indagine.

San Giovanni a Teduccio è un quartiere dalle tante risorse non valorizzate come le sue belle spiagge di origine vulcanica,  ancora negate e considerate non sicure per chi vuole fare un tuffo, nonostante i dati dell’Agenzia Regionale sono incoraggianti, rispetto al passato. Anche la Apple si è accorta di San Giovanni a Teduccio investendo con la Developer Academy in collaborazione con l’Università Federico II. Altra risorsa per il quartiere è la società civile che opera sul territorio attraverso associazioni e comitati con progetti di riqualificazione urbana, sociale e culturale del quartiere.

Noi abbiamo incontrato Roberto Masullo, project manager dell’associazione Callysto, il catalizzatore di tutte le attività che da anni l’organizzazione porta avanti.  Parlare di periferie significa dare voce ai protagonisti silenziosi che ogni giorno lavorano per migliorare il proprio territorio.

Da qualche mese l’associazione Callysto gestisce il Centro giovanile Asterix, uno spazio dedicato ad attività socio-educative, culturali, informative e spettacolari. Vi si svolgono attività nel campo del movimento (teatro, danza, arti orientali), della musica, degli audiovisivi e attività ludiche e di animazione. Quando si  entra all’interno dei locali e  si incontrano i giovani che vivono questi spazi, sembra di stare in una qualsiasi città europea, gli operatori usano metodologie innovative come la formazione non-formale in cui i giovani sono al centro dell’attività educativa, si sentono responsabili, mettono in gioco interessi personali, trovano una motivazione forte, sviluppano la propria autostima e, come risultato, accrescono le proprie capacità e competenze. 

Una delle mission dell’associazione è quella di rendere meno distante l’Europa per i giovani del quartiere, difatti il centro Asterix ospita anche lo sportello EUROPE DIRECT che mette in rete tutte le opportunità che la Commissione europea offre per la mobilità giovanile, incoraggiando, di fatto  lo sviluppo di scambi giovanili,  di cui l’associazione è promotrice da anni.

A dicembre scorso avete presentato ufficialmente il nuovo Centro Asterix nella periferia est di Napoli. Quali sono le attività che state mettendo in atto?

Il progetto del nuovo centro giovanile Asterix prevede l’ideazione e lo sviluppo di attività diverse e complementari allo stesso tempo.  Al centro del processo di riqualificazione, abbiamo realizzato uno spazio di co-working indirizzato ad accogliere individualità, associazioni e gruppi informali nel tentativo di facilitare la creazione di reti sociali e professionali, in grado di animare attraverso l’innovazione e l’ibridazione delle competenze. Al momento, abbiamo intercettato quattro start-up inerenti al settore dell’innovazione sociale che andremo ad accompagnare attraverso il supporto di professionisti e consulenti per la definitiva trasformazione in imprese sociali e/o enti del terzo settore da iscrivere al RUNTS. Attraverso un avviso pubblico, siamo stati selezionati come partner per lo svolgimento di attività in qualità di centri EUROPE DIRECT (2021-2025). Pertanto, e fino a dicembre 2025, sarà attivo presso il centro Asterix, lo sportello ED Vesuvio per offrire servizi ed organizzare attività informative per conto della Commissione europea in materia di politiche e programmi afferenti il progetto europeo. L’ufficio ED Vesuvio opera attraverso un piano di comunicazione redatto su base annuale, il cui fine è quello di informare e coinvolgere i cittadini, stabilire relazioni con media e moltiplicatori locali, sensibilizzare l’opinione pubblica su temi rappresentativi dell’Agenda europea e sostenere attività nelle scuole in materia di cittadinanza europea e promozione delle politiche europee. La dimensione internazionale del centro è data inoltre dal via vai, ancora discontinuo, caratterizzato dai flussi di partecipanti appartenenti a percorsi di mobilità per l’apprendimento legate alle opportunità del programma Erasmus+ e dei Corpi Europei di Solidarietà.

Attraverso il lavoro di organizzazioni giovanili operanti nel settore della gioventù, partecipanti ed animatori socio-educativi (E.G. youth worker) hanno la possibilità di utilizzare gli spazi del centro per promuovere le proprie attività, ideando ed implementando sessioni educative e formative di carattere non formale, promuovendo l’apprendimento tra pari e processi di auto-riflessione e valutazione delle competenze non formali generate. Una ulteriore dimensione del centro pone il focus sull’inclusività. A tal fine, stiamo terminando l’allestimento della buvette adiacente al teatro presente nel centro. La buvette sarà gestita da un team di giovani caratterizzati da un lieve disagio psichico (E.G. affetti da autismo, Asperger) che, attraverso un percorso di formazione pratica ed il supporto di operatori specializzati R.B.T., potranno essere inseriti in ambito lavorativo. Quest’ultima iniziativa è sostenuta da il bando “I Quartieri dell’Innovazione”, promosso dell’Assessorato alle Politiche Sociali e al Lavoro del Comune di Napoli che mira a promuovere inedite forme di innovazione, creatività e sostenibilità capaci di apportare trasformazioni di valore alla città. Il nome del progetto Q-Est si collega appunto al concetto di quartieri dell’Est, la cui ambizione è tesa ad innescare un processo virtuoso all’interno del quartiere, dando spazio ad iniziative di stampo culturale ed artistico, ispirate dal teatro di strada, dalla creatività urbana e dal melting-pot di quelle esperienze associative che, per mancanza di risorse o altro, non sono in grado di auto-sostenersi nel tempo. Risultato atteso è, quindi, la realizzazione di un festival di comunità, nell’ottica di attivare micro economie in grado di reggere la sfida sociale, economica, culturale ed ambientale.

Svolgere attività in quartieri come San Giovanni a Teduccio è importante, ma spesso si legge che è difficile operare nelle periferie. Quali sono le difficoltà?

Il lavoro nelle periferie è oggettivamente complesso ed, in particolare, nelle periferie del sud Italia, questo lavoro assomiglia più ad un mandato donchisciottésco. La mancanza di una visione chiara sul piano politico in merito al tema dello sviluppo delle periferie, ostacola lo sviluppo e la nascita di nuove idee ed esperienze organizzative, sia di tipo associativo che di natura imprenditoriale,  sopra ogni altra cosa, preclude una doverosa quantomai auspicabile programmazione sia in funzione dell’ente pubblico  che in favore degli organismi che animano il privato sociale. Il caso del centro Asterix è una disfunzione di sistema, l’eccezione che conferma la regola.

La riqualificazione del centro è stata possibile tramite il supporto finanziario del bando “Giovani per i Beni Pubblici” che prevedeva come requisito di partecipazione, che nel caso di valutazione idonea e nel rispetto della soglia tecnica di qualità, il bene oggetto del bando dovesse essere assegnato in gestione dal Comune di riferimento all’organizzazione capofila per un minimo di cinque anni. Dopo essere risultati aggiudicatari ed aver espletato le procedure amministrative, in meno di 18 mesi è stato prodotto più lavoro che negli ultimi vent’anni, a dimostrazione ulteriore del fatto che iniziative dal basso, e specialmente quelle a trazione giovanile, dovrebbero essere maggiormente stimolate ed incentivate invece che stigmatizzate. Tuttavia l’intenzione più nobile, col tempo, non può che lasciarsi corrodere dallo spirito del tempo in cui è stata concepita, e pertanto, senza individuare meccanismi volti alla sostenibilità, anche questi processi virtuosi sono destinati ad esaurirsi.

Una ricerca di “Changes Unipol”, elaborata da Ipsos, rileva che solo 1 italiano su 5 ha una conoscenza specifica del PNRR e solo il 5% della popolazione ne ha una consapevolezza approfondita, tra questi c’è la generazione Z. Il vostro lavoro vi permette di incontrare i giovani: quali sono le loro richieste per il futuro?

Assistiamo lucidi e valutiamo nel quotidiano l’impatto che la pandemia ha avuto sulle giovani generazioni. Il quadro che emerge è drammatico. Abbiamo davanti un’intera generazione che ha perduto fiducia nel domani. Le ripercussioni di questo presupposto sono tutt’altro che positive. I giovani hanno smarrito il senso dello scopo e del fine, e da soli non sembrano in grado di uscire da questo vicolo cieco. A questo si aggiunge la crisi del sistema dell’istruzione tradizionale che si trova a dover affrontare l’epoca della transizione digitale senza però essere riuscita prima a risolvere l’annosa questione del think global and act local, ovvero del rispondere ai rapidi  cambiamenti della società all’interno di un contesto globale in continua evoluzione. Quest’anno a dispetto del maggiore numero di operatori volontari impiegati in progetti di Servizio Civile Universale si prevede un netto drop delle richieste di partecipazione rispetto agli anni precedenti. Eppure uno degli ambiti di intervento del programma è proprio riferito al superamento delle emergenze, come a lasciar intendere, che oramai il dado è tratto e poco importa affannarsi per la ricostruzione del Paese, tanto i giochi sono fatti.

Il PNRR è ricco di obiettivi, qualitativi e quantitativi per il terzo settore. Manca tuttavia un’individuazione dei processi, e degli attori, che dovrebbero portare alla loro realizzazione. Lei è un esperto n materia di progettazione sociale e in fondi europei. A suo avviso, cosa significa “investire bene” i finanziamenti del PNRR?

Investire bene queste risorse significa, da un lato, orientare i programmi verso risultati visibili e misurabili nel breve periodo, questo per superare lo stato emergenziale ed andare a risanare le situazioni più critiche scaturite dalla pandemia e dalle restrizioni. Dall’altro lato, tali risorse dovrebbero sostenere processi virtuosi orientati alla sostenibilità economica, sociale ed ambientale dei risultati prodotti, non per forza in questo ordine ma risultando in egual misura ed intensità d’azione. E questo lo si può immaginare in svariate modalità ed approcci, la questione resta ancorata alla domanda “come applicare logiche innovative in linea con il contesto globale evitando di cadere nelle trappole del passato ed offrire soluzioni che troppo spesso si sono rivelate fallimentari?”. Per questioni legate alla prospettiva di ognuno, non avrei dubbi nel direzionare un comparto di risorse alla “rivoluzione” del sistema educativo. Una rivoluzione di un’idea è necessaria, nel momento in cui, la trasformazione dell’idea stessa non fa altro che trasformare risultati negativi o insufficienti, in altrettanti risultati negativi o insufficienti. Pertanto, si dovrebbe lavorare per concepire un nuovo modello educativo, un nuovo campo fertile che permetta alle nuove generazioni di poter esprimere appieno il proprio talento e le proprie capacità, acquisendo un’adeguata consapevolezza sul proprio ruolo di cittadini all’interno della società e delle sfide, emerse e latenti, del contesto globale. Al contempo, si dovrebbe ammettere di aver commesso errori nel passato, tuttavia la tendenza, tutta italiana e dominante, è quella del rattoppo.

Paolo De Martino

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