Nella maggior parte dei Paesi europei la questione della presenza di simboli religiosi nelle scuole pubbliche non ha una cornice normativa. Questo è sovente fonte di polemiche che possono dare origine a contenziosi giudiziari

Il noto caso Lautsi c. Italia (*) giunse fino alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che, con sentenza del 18 marzo 2011, statuì che compete allo Stato la valutazione circa la presenza di simboli religiosi nelle aule delle scuole pubbliche. Vediamo, dunque, qual è la situazione negli Stati europei qui di seguito indicati. Partiamo dall’Italia dove attualmente, in assenza di disposizioni di rango legislativo e in base a una lettura costituzionalmente orientata, l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non è obbligatoria. Questa non obbligatorietà non si traduce, tuttavia, in un divieto di affissione del crocifisso, nel senso che la comunità scolastica può deliberarne la presenza nelle aule, prestando però attenzione a eventuali pareri dissenzienti. In proposito, giova citare la sentenza del 9 settembre 2021 n. 24414, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto illegittima la circolare di un dirigente scolastico che, nel richiamare il corpo docente al rispetto della volontà degli studenti di tenere esposto il crocifisso in aula, non aveva tenuto conto del parere dissenziente di un insegnante. Quest’ultimo era stato sospeso per avere sistematicamente rimosso il crocifisso durante le sue lezioni per poi ricollocarlo al suo posto al termine delle stesse. La sanzione disciplinare irrogata al docente è stata ritenuta illegittima dalla Corte che, per risolvere il conflitto, ha applicato il principio dell’accomodamento ragionevole, del compromesso, della mediazione e del dialogo, secondo la “logica dell’et et, non dell’aut aut”.

In Germania, con la sentenza del 16 maggio 1995, il Tribunale costituzionale federale ha dichiarato l’incostituzionalità del regolamento bavarese, che prevedeva l’obbligo di esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche elementari, in quanto contrario al principio di neutralità dello Stato e incompatibile con la libertà religiosa dei non cattolici. Successivamente il Parlamento bavarese ha emana-to un’ordinanza tesa a garantire la presenza del crocifisso nelle scuole, fatta salva la possibilità di opposizione per i genitori dissenzienti.

In Francia, la legge n. 2004-228 del 15 marzo 2004 vieta l’uso di simboli o abiti con i quali gli studenti manifestino in modo palese un’appartenenza religiosa nelle scuole e nei licei pubblici.

Il Lussemburgo privilegia il criterio della tolleranza, in assenza di disposizioni che vietino agli alunni di esibire simboli religiosi, quali il crocifisso o il velo. Questo, tuttavia, non vale per gli insegnanti, i quali, al pari di qualunque altro funzionario pubblico, sono tenuti a osserva-re il principio di neutralità.

Maria Teresa Caracciolo, avvocata in Italia e in Lussemburgo  

mariateresa.caracciolo@barreau.lu

(*)Il caso Lautsi contro Italia trae origine da un ricorso proposto da una cittadina italiana di origini finlandesi, Soile Lautsi, contro la Repubblica italiana. Con sentenza del 3 novembre 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo deliberò che l’esposizione di un simbolo di una data confessione nelle aule scolastiche costituisse una violazione del “diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le loro convinzioni” e del “diritto dei bambini scolarizzati di credere o di non credere”, e condannò l’Italia a risarcire 5 000 euro alla ricorrente per danni morali. La sentenza definitiva del 18 marzo 2011 ne ribaltò l’esito. Secondo la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, “non ci sono prove che l’esposizione di un simbolo religioso sulle pareti dell’aula possa influire sugli studenti”.

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