La Corte di Giustizia apre ai titolari di permesso di soggiorno unico
Con la sentenza del 2 settembre 2021 (C-350/20) la Corte di giustizia dell’UE ha riconosciuto il diritto dei cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico di soggiorno in Italia di percepire un assegno di natalità (il cd. bonus bebè) e un assegno di maternità quali previsti rispettivamente dall’art. 1, comma 125, legge del 23.12.2014, n. 190 e dall’art. 74 del d.lgs. del 26.03.2001, n. 151.
La querelle è sorta a seguito della prassi dell’INPS di consentire l’accesso a questi benefici ai soli cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri e cittadini di Stati terzi con permesso di soggiorno di lunga durata, ma non anche ai cittadini di Stati terzi in possesso del permesso unico di soggiorno per motivi di lavoro. Così, se le prime categorie potevano accedere al contributo minimo di base per il bonus bebè pari a 960 euro annui, indipendentemente dal reddito, l’accesso a queste prestazioni veniva sistematicamente negato a numerosi nuclei familiari non “lungo-soggiornanti” in condizioni economicamente disagiate o, addirittura, in stato di bisogno. In questa situazione, alcuni giudici di merito hanno iniziato a disapplicare entrambe le normative, ritenendole contrarie al principio della parità di trattamento tra cittadini europei e cittadini provenienti da Stati terzi nel settore delle prestazioni sociali, applicando laddove possibile la direttiva 2011/98.
Nel giugno 2019 la Corte di cassazione ha rinviato la questione alla Corte costituzionale, chiedendole di valutare la compatibilità della normativa italiana con gli articoli 3 e 31 della Costituzione, nonché con diversi articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La Corte costituzionale ha deciso, a sua volta, di rinviare la questione alla Corte di giustizia di Lussemburgo, ritenendo che il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell’infanzia, garantiti dalla Costituzione italiana, dovessero essere interpretati anche alla luce del diritto dell’UE.
La Corte di giustizia, basandosi sul fatto che sia l’assegno di natalità che quello di maternità sono erogati in via automatica in presenza di criteri oggettivi definiti dalla legge, li ha annoverati nell’ambito delle «prestazioni familiari» tutelate dall’art. 12 della direttiva 2011/98 nonché dall’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali e ha concluso che il rifiuto di queste prestazioni ai titolari di permesso unico di soggiorno viola il principio di parità di trattamento nei settori della previdenza sociale.
Questa travagliata vicenda processuale, che vede ancora una volta i giudici del plateau du Kirchberg in prima linea nel garantire un’applicazione quanto più inclusiva dei diritti connessi alla solidarietà sociale e nel contrastare le logiche nazionali miranti a restringere i requisiti di accesso all’assistenza sociale ai soli cittadini, non si è tuttavia ancora interamente conclusa. Peraltro, da una parte, è in corso una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia proprio l’erroneo recepimento della direttiva 2011/98 e, dall’altra, i titolari di permesso unico di soggiorno continuano ad essere esclusi dall’accesso ad alcune prestazioni assistenziali, tra cui il bonus asili nido.
È a questo punto auspicabile che quanto chiarito dalla Corte di giustizia possa spingere le prossime riforme verso un più equo accesso alle prestazioni assistenziali da parte di tutti coloro che vivono e lavorano nel nostro Paese, indipendentemente dalla loro cittadinanza.
Claudia Cinnirella