Un disco che racconta il ruolo di un mare che unisce i popoli del sud, che ne rivela l’essenza e la resistenza, che suona strumenti originali e canta in sabir, l’antica lingua che mescola francese, spagnolo, italiano e arabo. Stefano Saletti, ci fa scoprire “Mediterraneo Ostinato”, il nuovo CD di Stefano Saletti &Banda Ikona. Un vero e proprio omaggio ai popoli del Mare di Mezzo che lottano e hanno sempre lottato per i valori dell’indipendenza, della libertà e dell’autoderminazione.
In Soundcity si parlava delle città che sorgono sul Mediterraneo, in questo nuovo disco si parla del Mediterraneo che sembra essere più forte di qualsiasi minaccia di sovranismo proveniente dall’esterno. Qual è il ruolo odierno del nostro Mare?
Il Mediterraneo possiamo metaforicamente rappresentarlo come un grande braccio che unisce i popoli del sud dell’Europa e questo è quanto di più lontano ci possa essere dal sovranismo. L’idea di partenza di “Mediterraneo Ostinato” è quella che i popoli che circondano il mare condividano un certo modo di pensare costruito in secoli di incontri, di confronti, di accoglienza, di scambi commerciali e di idee. Infatti, nonostante diverse religioni, culture e tradizioni, permangono punti di contatto molto forti. Inoltre, mi piace contrastare quell’immagine semplicistica che i popoli del sud siano frugali, spendaccioni, meno rigorosi contrariamente a quelli del centro e del nord del nostro continente. Non si dovrebbe dimenticare il ruolo che Paesi come la Grecia, l’Italia o gli scambi con Paesi dell’area del Maghreb siano stati determinanti nell’identità del nostro continente. La parola “ostinato” ha a che vedere con l’essere resistenti, combattenti, l’essere ancora presenti nonostante questa visione che alcuni Paesi hanno nei nostri confronti.
Avete lanciato il nuovo lavoro attraverso il singolo Anima de Moundo, che riprende le parole del noto poeta curdo Abdulla Goran che ha combattuto a lungo per la libertà del suo popolo. Cosa maggiormente vi ha affascinato la storia di questo personaggio?
Ho preso spunto dalla scrittura dei testi di Goran che sono in sabir, l’antica lingua che noi usiamo nelle nostre composizioni. Il brano si ispira a questo grande poeta e militante curdo che recita “io vado madre, se non torno la mia anima sarà la parola per tutti i poeti” un verso drammatico che fa capire quanto abbia vissuto intensamente la lotta per l’indipendenza del proprio Paese. Mi vengono in mente anche altri popoli, come ad esempio quello Palestinese, che ancora oggi combattono per il diritto della libertà e dell’indipendenza. I curdi, pur avendo combattuto contro l’Isis al fianco dell’Occidente, per difendere il valore della libertà, sono stati abbandonati. Mi sembrava giusto, in questo disco, ricordare quei popoli del Mediterraneo spesso dimenticati come loro. Ho ripreso, quindi, le parole di Goran per far luce sui valori dell’indipendenza, della libertà e dell’autoderminazione. Il disco contiene anche un altro brano ispirato al popolo dei curdi e che si chiama Boulegar, cantato da insieme a Nabil Bey.
Banda Ikona è un progetto che include i suoi musicisti storici ma è sempre stato anche un collettivo aperto a tanti grandi artisti della musica world italiana, dalla Galeazzi a Nabil Bey, da Riccardo Tesi a Nando Citarella. Molto sono i musicisti che hanno prestato la loro cultura musicale a questo nuovo disco in un clima di totale collaborazione e amicizia. Cosa rende cosi speciale l’ambiente che si respira in seno al vostro gruppo?
Mi piace pensare alla Banda Ikona come una grande famiglia o anche, come dici tu, un collettivo composto da un nucleo storico di artisti come Barbara Eramo, Mario Rivera, Gabriele Coen, Giovanni Lo Cascio, insieme a Carlo Cossu, Arnaldo Vacca a cui si aggiungono tantissimi altri musicisti. Ognuno porta dentro di sè la propria anima e la propria esperienza. Non si tratta di semplici ospiti perché con loro condivido la stima, la voglia di stare insieme e il modo di pensare.
Ci troviamo tante volte insieme anche a prescindere dal dover suonare, covid permettendo.
Con il tempo il vostro suono sta diventando un marchio di fabbrica ben preciso e difficilmente imitabile che piace sia in Italia che all’estero. Quali pensi siano le sue caratteristiche vincenti?
L’unione degli strumenti del bacino del Mediterraneo come il bouzouki, la darbuka, l’oud, la chitarra, una ritmica molto presente e ricca garantita dal basso, dal drumming e dalla creatività delle percussioni e il fatto di utilizzare spesso le voci femminili sono il nostro marchio di fabbrica. Un marchio che io ricerco da tanto tempo che, partendo dai primi lavori di world music che venivano incisi, arriva fino ai giorni nostri, passando dagli arrangiamenti di Fabrizio De André a quelli di Mauro Pagani che sono i musicisti che mi hanno maggiormente ispirato. Inoltre, il cantare in sabir che è l’antica lingua del Mediterraneo che mescola francese, spagnolo, italiano e arabo.
Paolo Travelli