Ne ha viste tante, mamma Roma. Dai tempi di Romolo e Remo a quelli del balcone di piazza Venezia. Ha resistito a bombardamenti reali e metafisici, a ripetuti saccheggiamenti messi in atto dalla politica e anche un po’ da noi romani. Traffico caotico, mezzi pubblici obsoleti e ritardatari, servizi essenziali divenuti marginali, rifiuti mal riciclati e mal raccolti. Insomma, una città allo sbando, difficile da governare e anche da vivere. Ma una città viva, nonostante i suoi problemi “centenari”.
Poi un giorno di marzo tutto questo si è azzerato, evaporato per l’attacco di un nemico sconosciuto e invisibile che sta mettendo in ginocchio l’Italia intera, il mondo intero.
Si è fermata, mamma Roma, ed è rimasta a leccarsi le ferite, ancora un volta, per risorgere. Sempre bella, bella da impazzire!
Oggi non si respira aria spettrale tra le sue mura, né di angoscia o di morte. Si respira un innaturale silenzio, questo sì, ma è il silenzio del rispetto per tutti quelli che non ce l’hanno fatta, per quelli che stanno ancora combattendo, per gli operatori che, indefessi, continuano instancabilmente al loro fianco. E per noi tutti che dobbiamo solo restare a guardare se ne vogliamo uscire.
Un brivido forte l’abbiamo provato passando davanti all’Altare della Patria, dove le bandiere tricolori sventolano a mezz’asta. Abbiamo chiuso gli occhi, accecati dal sole, mentre guardavamo via della Conciliazione che da sola faceva compagnia al Cupolone. Ci si è stretto il cuore avvicinando i senzatetto che non hanno cambiato dimensione – loro no – e sono sempre lì, agli angoli delle strade, aspettando l’aiuto di qualcuno che, in questi giorni di distanziamento sociale, è più difficile da incontrare.
Davanti al “Palazzaccio”, sede della Corte di Cassazione, abbiamo avuto l’impressione che tutto oggi sia davvero fermo in un tempo sospeso, anche i verdetti più o meno negativi. Abbiamo sofferto guardando gli ingressi chiusi dei teatri storici della Capitale, dove tutte le locandine esposte sono già sbiadite, come il ricordo di stagioni ormai lontane. E’ strano guardare le serrande abbassate di bar, pub, ristoranti, librerie: a volte sono colorate e disegnate, quasi opere d’arte, e noi non ce ne eravamo mai accorti. Così come non facevamo più caso ai sampietrini o ai balconi dove ora con orgoglio non sportivo sventolano fieri i tricolori. Un colpo al cuore ci è venuto passando davanti ai cancelli chiusi dell’Università e a San Lorenzo, il quartiere che, oggi come al tempo delle bombe, più di ogni altro sembra manifestare, nel vuoto delle sue strade, il momento triste che stiamo attraversando.
Abbiamo gioito, invece, nel vedere le chiare, fresche e dolci acque del biondo Tevere, mai così pulite come oggi e nel sentire i più piccoli rumori della città che rimbombano come in un teatro vuoto mentre si fanno le prove. Così come risuona forte, insieme allo scorrere dell’acqua delle fontane, il canto degli uccelli e il profumo penetrante degli alberi e dei fiori che adesso, finalmente, hanno ripreso cittadinanza nell’aria di Roma e se ne compiacciono.
Non è sparita mamma Roma, anzi. Culla i propri concittadini e prepara un domani migliore. Noi dobbiamo solo aspettare e cogliere questa opportunità per cambiare i nostri atteggiamenti scellerati ed egoistici.
Ascoltiamola, dunque, mamma Roma, anche se quello che oggi ci dice non ci piace e non è facile da fare: perché, si sa, una mamma vuole sempre il bene dei suoi figli!
Gilda Luzzi