Questa storia non solamente per la bizzarria del soggetto e per la gaiezza dei pensieri dovrà piacere, e per avervi messe dentro molte finzioni che paiono probabili e verosimili (Luciano di Samostata, “Una storia vera”)
La scorsa domenica 7 aprile, su iniziativa dell’Associazione Regionale Campani e delle ACLI circolo Esch-sur-Alzette, ha avuto luogo al teatro Ariston di Esch sur Alzette la rappresentazione teatrale “Sei personaggi in cerca di autore” di Pirandello.
La sala era piena quasi al limite della capienza. Gli attori hanno incantato gli spettatori, eppure sono dilettanti, ma grazie al loro talento e all’attenta regia di Carla Casaburi sono riusciti a dissimulare perfettamente la circostanza di non essere professionisti. Cosa non da poco per un attore.
Dopo aver segnalato l’eccellente interpretazione degli attori principali, sarebbe ingeneroso non ricordare che tutti gli altri interpreti hanno svolto egregiamente il loro ruolo, fino ai due ragazzini che pur restando muti hanno recitato in modo assolutamente convincente.
Nella sua breve e pregnante introduzione Giuseppe Collot, professore a Belval, ha ricordato non solo i legami tra Pirandello e il mondo culturale tedesco, ma anche la sua profonda affinità con la psicoanalisi di Freud e Jung. Ha toccato pure il tema centrale del dramma in programma, ossia cos’è la realtà e come essa possa essere intesa. “Ehrgeiziges Programm” si direbbe con ironia patibolare in tedesco, “progetto di ampia lena” in italiano.
La trama è semplice, una compagnia teatrale si sta preparando per un nuovo spettacolo, scarseggiano i temi, ma sul palco si affacciano all’improvviso sei personaggi, una famiglia anomala direbbe qualche troglodita. Sono i sei personaggi in cerca di un autore che li racconti. Si raccontano per farsi poi raccontare. Hanno storie vere e drammatiche, per questo cercano chi di lavoro fa l’attore. Si trova l’intesa, il regista giudica interessante la storia e decide che i suoi attori imparino la rispettiva parte direttamente dai singoli personaggi. Vengono a galla vicende aberranti.
Irrompe in scena con slancio il potere della tecnica narrativa, per cui spesso la narrazione è molto più coinvolgente e avvolgente dei fatti reali. Insomma, la favola ha un potere di suggestione amplificato dal destinatario del messaggio. Si spalanca improvviso un baratro: cosa è il reale? Quello che vediamo? Quello che sentiamo? Quello che pensiamo? Quello che ci piacerebbe fosse?
Sono quesiti che ognuno si è posto, essi consentono ogni ipotesi e giustificano ogni risposta.
La narrazione più plausibile per il destinatario è la trappola in cui ci infiliamo da soli (“Mah, smetteranno mai gli uomini di incolpare gli dèi delle loro disgrazie? Dopo che a se stessi i loro mali causano, poi del danno a noi attribuiscono la colpa, e la stoltezza lor chiaman destino”. Omero, Odissea, libro primo, versi 32-35), ma nel contempo è la regina della comunicazione, tra le persone come nel nostro dialogo interiore, nella riflessione che sviluppiamo nella nostra mente convinti di essere sinceri.
Questo è il destino umano: cercare sempre un senso ai fatti, ma con il dovere di onestà e dignità intellettuale di mettere in dubbio questo stesso senso non appena lo si coglie nell’istante magico della rivelazione, come quando una pargoletta mano, scossa da un fremito di avida e lieta frenesia, sta per cogliere la fragoletta matura.
Antonio Dellagiacoma